Nel migliore dei mondi possibili non ci sono terremoti, né case costruite male. Ma se ci fossero anche lì, nel migliore dei mondi possibili la Protezione Civile sarebbe l'unico ente, autorità assoluta, efficientissima ed infallibile, a fornire (o quanto meno a coordinare) assistenza e soccorsi. Sulla carta è già così. Ma noi italiani non ci fidiamo mai. Forse facciamo bene, perché conosciamo le debolezze e le inefficienze delle nostre macchine (carrozzoni?) ufficiali. Ma allo stesso tempo, non fidandoci, indeboliamo costantemente le nostre macchine ufficiali.
Stamattina, a Radio Popolare, un responsabile di Rifondazione Comunista ha raccontato che, già dieci ore dopo il sisma, un gruppo di militanti aveva allestito a Tempera, una delle località colpite, una cucina da campo che distribuiva alimenti, colmando, in quella specifica località, la lacuna di intervento della Protezione Civile il cui funzionario, una volta sul posto, si era limitato a fare le pulci sulle certificazioni sanitarie della cucina da campo. In ogni caso il gruppo di Rifondazione aveva proseguito nella distribuzione del cibo. Solo in un secondo tempo anche questo gruppo si era coordinato meglio con la Protezione Civile, nel frattempo organizzatasi a Tempera, i funzionari della quale avevano indicato al gruppo di Rifondazione Comunista di raggiungere una seconda località ancora sguarnita di cucina da campo (spero di avere riassunto bene il contenuto della telefonata tra Bacchetta di Radio Popolare e il rappresentante di Rifondazione, ma penso proprio di sì, avevo già preso un paio di caffè).
Ho una grande ammirazione per chi realizza questi interventi: testimoniano la celebre elasticità italiana che ci permette, con un enorme cuore e con una certa diffidenza nei confronti delle autorità preposte, di sopperire alle carenze strutturali del paese. Ma questa continua (e spessissimo legittima) diffidenza forse contribuisce a indebolire le autorità preposte innescando un circolo vizioso da cui uscire sembra impossibile. Azzardo una domanda: questo agire sempre "all'italiana", non è addirittura partecipe di quella stessa cultura che ci fa costruire case meno sicure, perché tanto poi ci arrangiamo col geometra e con il tecnico del comune, che poi magari sono generosissimi (cuore grande all'italiana) quando c'è da partecipare ai soccorsi, ma molto laschi e poco rigorosi quando devono fare il noioso lavoro di controllo ufficiale cui sono preposti?
Anche le raccolte di fondi... dovrebbe esserci un unico numero in tutto il paese dove mandare i soldi, coordinato dalla Protezione Civile. E infatti il numero c'è: con un sms al 48580 si dona un euro. Sapranno ben loro a chi dare i soldi.
E invece perché non c'è un quotidiano, un partito, una associazione, un ente religioso, un gruppo di tifosi che non stia organizzando, ognuno per conto proprio, un'altra raccolta fondi? A chi mandano questi soldi? Immagino che ognuno di questi enti si creda più accorto della Protezione Civile nel selezionare i beneficiari della colletta. Nel migliore dei mondi possibili dovrebbe essere un unico centro a raccogliere i soldi e poi valutare le esigenze della comunità e dei soccorsi.
E ci dovremmo fidare? Forse per ora no, ma continuando a fare ognuno di testa propria dove crediamo di andare? Ma forse sto sbagliando tutto io e dovremmo solo portare rispetto per chi sta facendo qualcosa, in qualsiasi modo.
in merito al tuo post... vorrei inviarti questa cosa trovata in internet... forse è rischioso pubblicarla... come è rischioso generalizzare... ma io l'ho sentita molto vera... e vorrei condividerla:
RispondiElimina"MA IO PER IL TERREMOTO NON DO NEMMENO UN EURO..."
di Giacomo Di Girolamo
Scusate, ma io non darò neanche un centesimo di euro a favore di chi raccoglie fondi per le popolazioni terremotate in Abruzzo. So che la mia suona come una bestemmia. E che di solito si sbandiera il contrario, senza il pudore che la carità richiede. Ma io ho deciso. Non telefonerò a nessun numero che mi sottrarrà due euro dal mio conto telefonico, non manderò nessun sms al costo di un euro. Non partiranno bonifici, né versamenti alle poste. Non ho posti letto da offrire, case al mare da destinare a famigliole bisognose, né vecchi vestiti, peraltro ormai passati di moda.
Ho resistito agli appelli dei vip, ai minuti di silenzio dei calciatori, alle testimonianze dei politici, al pianto in diretta del premier. Non mi hanno impressionato i palinsesti travolti, le dirette no – stop, le scritte in sovrimpressione durante gli show della sera. Non do un euro. E credo che questo sia il più grande gesto di civiltà, che in questo momento, da italiano, io possa fare.
Non do un euro perché è la beneficienza che rovina questo Paese, lo stereotipo dell’italiano generoso, del popolo pasticcione che ne combina di cotte e di crude, e poi però sa farsi perdonare tutto con questi slanci nei momenti delle tragedie. Ecco, io sono stanco di questa Italia. Non voglio che si perdoni più nulla. La generosità, purtroppo, la beneficienza, fa da pretesto. Siamo ancora lì, fermi sull’orlo del pozzo di Alfredino, a vedere come va a finire, stringendoci l’uno con l’altro. Soffriamo (e offriamo) una compassione autentica. Ma non ci siamo mossi di un centimetro.
Eppure penso che le tragedie, tutte, possono essere prevenute. I pozzi coperti. Le responsabilità accertate. I danni riparati in poco tempo. Non do una lira, perché pago già le tasse. E sono tante. E in queste tasse ci sono già dentro i soldi per la ricostruzione, per gli aiuti, per la protezione civile. Che vengono sempre spesi per fare altro. E quindi ogni volta la Protezione Civile chiede soldi agli italiani. E io dico no. Si rivolgano invece ai tanti eccellenti evasori che attraversano l’economia del nostro Paese.
E nelle mie tasse c’è previsto anche il pagamento di tribunali che dovrebbero accertare chi specula sulla sicurezza degli edifici, e dovrebbero farlo prima che succedano le catastrofi. Con le mie tasse pago anche una classe politica, tutta, ad ogni livello, che non riesce a fare nulla, ma proprio nulla, che non sia passerella.
C’è andato pure il presidente della Regione Siciliana, Lombardo, a visitare i posti terremotati. In un viaggio pagato – come tutti gli altri – da noi contribuenti. Ma a fare cosa? Ce n’era proprio bisogno?
Avrei potuto anche uscirlo, un euro, forse due. Poi Berlusconi ha parlato di “new town” e io ho pensato a Milano 2 , al lago dei cigni, e al neologismo: “new town”. Dove l’ha preso? Dove l’ha letto? Da quanto tempo l’aveva in mente?
Il tempo del dolore non può essere scandito dal silenzio, ma tutto deve essere masticato, riprodotto, ad uso e consumo degli spettatori. Ecco come nasce “new town”. E’ un brand. Come la gomma del ponte.
Avrei potuto scucirlo qualche centesimo. Poi ho visto addirittura Schifani, nei posti del terremoto. Il Presidente del Senato dice che “in questo momento serve l’unità di tutta la politica”. Evviva. Ma io non sto con voi, perché io non sono come voi, io lavoro, non campo di politica, alle spalle della comunità. E poi mentre voi, voi tutti, avete responsabilità su quello che è successo, perché governate con diverse forme - da generazioni - gli italiani e il suolo che calpestano, io non ho colpa di nulla. Anzi, io sono per la giustizia. Voi siete per una solidarietà che copra le amnesie di una giustizia che non c’è.
Io non lo do, l’euro. Perché mi sono ricordato che mia madre, che ha servito lo Stato 40 anni, prende di pensione in un anno quasi quanto Schifani guadagna in un mese. E allora perché io devo uscire questo euro? Per compensare cosa? A proposito. Quando ci fu il Belice i miei lo sentirono eccome quel terremoto. E diedero un po’ dei loro risparmi alle popolazioni terremotate.
Poi ci fu l’Irpinia. E anche lì i miei fecero il bravo e simbolico versamento su conto corrente postale. Per la ricostruzione. E sappiamo tutti come è andata. Dopo l’Irpinia ci fu l’Umbria, e San Giuliano, e di fronte lo strazio della scuola caduta sui bambini non puoi restare indifferente.
Ma ora basta. A che servono gli aiuti se poi si continua a fare sempre come prima?
Hanno scoperto, dei bravi giornalisti (ecco come spendere bene un euro: comprando un giornale scritto da bravi giornalisti) che una delle scuole crollate a L’Aquila in realtà era un albergo, che un tratto di penna di un funzionario compiacente aveva trasformato in edificio scolastico, nonostante non ci fossero assolutamente i minimi requisiti di sicurezza per farlo.
Ecco, nella nostra città, Marsala, c’è una scuola, la più popolosa, l’Istituto Tecnico Commerciale, che da 30 anni sta in un edificio che è un albergo trasformato in scuola. Nessun criterio di sicurezza rispettato, un edificio di cartapesta, 600 alunni. La Provincia ha speso quasi 7 milioni di euro d’affitto fino ad ora, per quella scuola, dove – per dirne una – nella palestra lo scorso Ottobre è caduto con lo scirocco (lo scirocco!! Non il terremoto! Lo scirocco! C’è una scala Mercalli per lo scirocco? O ce la dobbiamo inventare?) il controsoffitto in amianto.
Ecco, in quei milioni di euro c’è, annegato, con gli altri, anche l’euro della mia vergogna per una classe politica che non sa decidere nulla, se non come arricchirsi senza ritegno e fare arricchire per tornaconto.
Stavo per digitarlo, l’sms della coscienza a posto, poi al Tg1 hanno sottolineato gli eccezionali ascolti del giorno prima durante la diretta sul terremoto. E siccome quel servizio pubblico lo pago io, con il canone, ho capito che già era qualcosa se non chiedevo il rimborso del canone per quella bestialità che avevano detto.
Io non do una lira per i paesi terremotati. E non ne voglio se qualcosa succede a me. Voglio solo uno Stato efficiente, dove non comandino i furbi. E siccome so già che così non sarà, penso anche che il terremoto è il gratta e vinci di chi fa politica. Ora tutti hanno l’alibi per non parlare d’altro, ora nessuno potrà criticare il governo o la maggioranza (tutta, anche quella che sta all’opposizione) perché c’è il terremoto. Come l’11 Settembre, il terremoto e l’Abruzzo saranno il paravento per giustificare tutto.
Ci sono migliaia di sprechi di risorse in questo paese, ogni giorno. Se solo volesse davvero, lo Stato saprebbe come risparmiare per aiutare gli sfollati: congelando gli stipendi dei politici per un anno, o quelli dei super manager, accorpando le prossime elezioni europee al referendum. Sono le prime cose che mi vengono in mente. E ogni nuova cosa che penso mi monta sempre più rabbia.
Io non do una lira. E do il più grande aiuto possibile. La mia rabbia, il mio sdegno. Perché rivendico in questi giorni difficili il mio diritto di italiano di avere una casa sicura. E mi nasce un rabbia dentro che diventa pianto, quando sento dire “in Giappone non sarebbe successo”, come se i giapponesi hanno scoperto una cosa nuova, come se il know – how del Sol Levante fosse solo un’ esclusiva loro. Ogni studente di ingegneria fresco di laurea sa come si fanno le costruzioni. Glielo fanno dimenticare all’atto pratico.
E io piango di rabbia perché a morire sono sempre i poveracci, e nel frastuono della televisione non c’è neanche un poeta grande come Pasolini a dirci come stanno le cose, a raccogliere il dolore degli ultimi. Li hanno uccisi tutti, i poeti, in questo paese, o li hanno fatti morire di noia.
Ma io, qui, oggi, mi sento italiano, povero tra i poveri, e rivendico il diritto di dire quello che penso.
Come la natura quando muove la terra, d’altronde.
Giacomo Di Girolamo
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