Il mio precedente intervento si chiudeva invitando il professor Ponti a spiegare meglio un suo tweet in cui, parlando di ricerca e sviluppo, diceva testualmente: il privato pretende un ROI di mercato (magari a tre mesi), il pubblico no (se è sovrano). A questo tweet io avevo risposto ricordandogli che (dati del 2011) la Finlandia, che non ha più una propria politica monetaria sovrana, ha speso in ricerca e sviluppo il 3.1% del PIL contro un misero 1,6% della Norvegia la quale, essendo fuori dall'Eurozona (e fuori dalla UE) ha una propria banca centrale e una politica monetaria autonoma.
Ecco, in rosso, la risposta di Ponti (si trova anche nei commenti al precedente post, mi sono permesso di correggere qualche piccolo refuso) ed alcuni miei commenti (in nero). Fate attenzione al colore: in rosso è sempre Ponti anche se all'inizio mi cita (tra virgolette).
Sono sinceramente lusingato da tanta attenzione, troppo onore. Lasciamo perdere "adepto",e "fare il grosso", che pure meriterebbero...
Ammetto che i due virgolettati (miei) erano un po' irrispettosi e guasconi, ma venivano in risposta ad affermazioni che avevo trovato vagamente indisponenti. Sono comunque d'accordo a chiudere qui questo aspetto, che non ci fa fare passi avanti nel merito. (Nella foto a lato la festa di inaugurazione dell'Eurovision Song Contest 2014 a Copenhagen),
Concentriamoci sulla domanda finale: "Se Ponti, che sul suo profilo twitter dice di fare il professore di diritto amministrativo e non il picchiatore o l'usciere (con il massimo rispetto per gli uscieri) mi legge qui, provi innanzitutto a spiegarmi perché ritiene che soltanto se "è sovrano" il pubblico potrebbe investire nella ricerca e nello sviluppo"
A me la risposta appare di una banalità disarmante, ma va comunque data. Grazie. Per sovranità monetaria si intende la possibilità, per lo stato, di fissare (più o meno direttamente, ma comunque controllando l'esito) i tassi di interesse ai quali lo Stato medesimo remunera i titoli del debito che emette (in modo inesatto e fuorviante si dice "stampare moneta"). Nel nostro paese funzionava così prima del "divorzio" tra Banca d'Italia e Tesoro. Bene, lo sapevamo già, ma mi può star bene come definizione: del resto l'onere della definizione spettava a chi ha introdotto il tema della sovranità.
Ora, se io (stato) posso finanziarmi a queste condizioni, dispongo di consistenti margini di manovra nel finanziare gli investimenti, e potrò più agevolmente (e con maggiori mezzi) dedicarmi a finanziare tutte quelle forme di investimento cui il privato invece NON si dedica perché NON garantiscono un ritorno certo, o significativo. I casi sono molteplici (ricerca curiosity oriented, beni comuni, infrastrutture), in cui o manca il profitto (perché lo stato non intende guadagnare) oppure il profitto non è certo (non lo so chi e quando scoprirà che cosa, e che profitti ciò potrà generare).
Qui per me si fa un po' di confusione mescolando due argomenti. 1) Il primo argomento è attinente al quesito: chi finanzia quella parte di ricerca che non ha un ritorno immediato? Lo farà il sig. X (imprenditore privato) o lo Stato Y?. Non c'è dubbio, neanche da parte mia, che sia più facile che sia lo Stato. Il caso più tipico è quello della ricerca sulle malattie rare. L'industria farmaceutica ha ovvie difficoltà a investire milioni per tentare (senza garanzie di successo) di creare farmaci per curare una malattia che ha poche decine di pazienti. Le istituzioni pubbliche, che giustamente hanno come missione quella di tentare di non lasciare indietro nessuno, possono contribuire, magari sostenendo economicamente la ricerca della società del sig. X (ora però non dimentichiamoci che in moltissimi paesi esistono fondazioni tipo la Fondazione Telethon, che supportano la ricerca sulle malattie rare grazie al sostegno dei privati cittadini e questo avviene sia in Stati con sovranità monetaria sia in stati senza sovranità monetaria). In ogni caso, ripeto, non ho nessuna difficoltà ad ammettere che è più facile che sia il pubblico che non il privato a finanziare quella parte della ricerca che non ha un ritorno immediato. Non accetto invece l'affermazione che gli stati "sovrani" abbiano meno difficoltà a finanziarla rispetto agli stati non sovrani. E il caso Finlandia-Norvegia è lì a dimostrarlo: la Finlandia, non sovrana, spende il doppio del proprio PIL in ricerca e sviluppo rispetto alla confinante Norvegia. Insomma: Stato Y batte Sig. X, ma non necessariamente batte Stato W. 2) il secondo argomento è attinente a un'altra domanda: io, Stato, in generale, (indipendentemente da come poi spendo) come mi finanzio? Ma questo piano va tenuto ben distinto dal primo.
Ora, se invece lo Stato decide di finanziarsi SUL MERCATO FINANZIARIO, cioè rinuncia alla sovranità monetaria, cioè si fa prestare i soldi sul mercato ed alle condizioni di mercato, ecco che i margini di manovra si riducono notevolmente. perché i capitali privati vogliono essere remunerati.
perché il tasso lo stabilisce il mercato (e non più lo Stato).
Qui siamo ancora in pieno "argomento 2". L'investitore che deve prendere titoli di Stato finlandesi, difficilmente sarà spaventato dal fatto che siano al sesto posto nel mondo per ricerca e sviluppo. Comprerà titoli di Stato finlandesi (stato non monetariamente sovrano), indipendentemente da come spendono i soldi gli amici di Helsinki, facendo una valutazione sul tasso proposto e sul rischio che il debito non venga onorato. La stessa cosa verrà fatta quando valuterà l'acquisto di titoli norvegesi (stato con sovranità monetaria).
Ora ci troviamo di fronte a una situazione particolare: la Finlandia, che A) non è stato monetariamente sovrano, e che B) spende quasi il doppio della Norvegia in ricerca e sviluppo, ha - oggi - uno spread molto più basso della Norvegia.
Cioè oggi, 11 giugno 2014, paga il proprio debito a un tasso medio di 1,607% (spread vs. Bund a 19,7) contro il 2,654% dei norvegesi (spread vs. Bund a 124,4, ovvero un livello - adesso possiamo dirlo - quasi italiano).
Cioè oggi, 11 giugno 2014, paga il proprio debito a un tasso medio di 1,607% (spread vs. Bund a 19,7) contro il 2,654% dei norvegesi (spread vs. Bund a 124,4, ovvero un livello - adesso possiamo dirlo - quasi italiano).
Evidentemente gli investitori non si stanno preoccupando molto del fatto che i finlandesi non abbiano sovranità monetaria e spendono un sacco in ricerca e sviluppo. Anzi: permettendo ai finlandesi di approvvigionarsi a tassi così bassi, i mercati non scoraggiano i finlandesi a proseguire nella loro opera di finanziamento della ricerca.
Questo sembrerebbe contraddire in modo significativo le affermazioni di Ponti. Ma siamo qui ad attendere le sue eventuali controdeduzioni.
Si noti, per altro, che date queste condizioni, quando capita che la necessità di ricorrere alla spesa pubblica si fa più impellente (nei cicli economici avversi), come leva per rilanciare la crescita, è allora che il denaro (sui mercati) finisce per costare di più, perché il ciclo è negativo, l'economia non tira, e gli investimenti sono più rischiosi. Cioè, la rinuncia alla sovranità monetaria (via indipendenza banca centrale) rende più costosa la spesa pubblica proprio quando ce ne è più bisogno (forte, no?)
Su questo posso concordare: la mancata sovranità, in quei momenti tosti, ti toglie un'arma (la svalutazione) il che può avere messo noi, e magari anche la Finlandia, in difficoltà nei momenti peggiori della crisi finanziaria (quando il nostro spread era sopra i 500 punti), ma A) da allora le istituzioni europee hanno studiato migliori misure di salvaguardia, e altre sono in fase di realizzazione B) una volta finita la fase acuta, il fare parte dell'Eurozona, è tornato, come prima della crisi, a dare il vantaggio di permettere noi (e la Finlandia) di finanziare il debito a tassi ragionevoli.
Se a questo ci aggiungiamo:
1) la rinuncia alla sovranità di cambio, ciò che rende impossibile rilanciare l'economia mediante le esportazioni via svalutazione (quindi, meno probabile la ripresa, quindi più rischioso l'investimento in attività produttive, quindi più costoso il denaro anche per lo stato);
2) la rinuncia alla sovranità fiscale (perché il fiscal compact, che noi ci siamo addirittura autoimposti in costituzione, tagliandoci le palle quando a Bruxelles ci avevano chiesto solo di strizzarle molto forte), con il che - quand'anche lo stato volesse spendere più di quanto incassa, indebitandosi a prezzi di mercato pur di rilanciare l'economia (e fidando sull'effetto del moltiplicatore fiscale, appunto) - non lo si può fare; percui se vuoi spendere di più devi incassare di più in tasse, ma se alzi le tassi deprimi ulteriormente l'economia (austerity, hai presente? citofonare Monti), ergo il denaro costa ancora di più, spirale del debito e via andare...
... ecco che i margini per fare spesa pubblica si sono AZZERATI.
Falso: il caso della Finlandia è lì a dimostrarlo. Sia ben inteso: non sto qui dicendo che la Finlandia sia il paradiso in terra. L'unico punto qui è il livello di spesa pubblica in ricerca e sviluppo/PIL in uno stato dell'Eurozona.
Se lo stato si mette in mano ai mercati per procurarsi le risorse di cui abbisogna (e che gli abbisognano di più quando c'è crisi, cioè quando è più rischioso investire, ed il denaro costa fatalmente di più...) disporrà di minore (o, al limite, di nessuna) capacità di spesa. In particolare, per quella spesa che lui solo (lo stato) sarebbe in grado di fare (perché il privato non la fa).
Nei momenti acuti è vero, ma valgono le considerazioni di cui poco sopra.
Chi è dentro l'euro:
1) o è la Germania (che si finanzia a tassi negativi ormai da 4 anni), ed è quindi sostanzialmente sovrano (visto che la BCE fa gli interessi della Germania)
2) oppure non è più sovrano, e quindi non ha più margini di politica economica, e quindi è nella merda fino al collo.
Falso: il caso della Finlandia è lì a dimostrarlo.
Benedetto Ponti
Qui non c'era nemmeno l'intento irriverente e un po' guascone da parte mia (vedi primo commento in alto: intendevo semplicemente dire che Ponti, nel suo profilo twitter "ci segnala che fa il professore").
Postilla importante: Perché non sembri che io sono l'unico fissato nel confrontare Svezia e/o Norvegia vs. Finlandia (ma, come dicevo, le comparazioni così "comode" sono poche) prendete questo articolo di fine novembre 2011. Il buon Joe Weisenthal, un anti-eurista convinto, commentando gli spread crescenti (allora) della Finlandia e calanti (allora) della Svezia sottolineava che The only obvious difference between the two: Finland is part of the Eurozone, meaning it can't print its own money. Sweden has no such risk.
Oggi, 11 giugno 2014, non solo le dinamiche si sono invertite, ma anche i valori assoluti degli spread sono diversi: la Finlandia, che è nell'eurozona, sorpresa, ha uno spread più basso della Svezia.
Non sono così folle da dimenticare che ha una sua razionalità l'idea di valutare un fattore nel momento di massimo stress e, oggettivamente, in quel momento, novembre 2011, l'Euro, anche in Finlandia, stava performando male, sotto lo stress dei mercati. Questo è stato confermato anche da Paul De Grauwe, a Trento, all'ultima edizione di Festival Economia di Trento. Dopo aver sottolineato l'importanza di avere una propria Banca Centrale, ad una mia specifica domanda: "Da investitore allora io dovrei essere più preoccupato di investire in Bond finlandesi rispetto a Bond svedesi?", lui ha risposto che in tempi normali non fa molta differenza: la differenza emerge in situazioni di crisi (domanda a 1:20:30 e risposta a 1:27:30) come ad esempio nel 2010-11.
Ora se è certamente razionale valutare l'effetto Euro sotto stress, e non oggi che le cose vanno meglio e lo spread della Finlandia è più basso rispetto a quello della Svezia, dall'altro lato questo è anche ingeneroso per due motivi A) la vita normale è fatta principalmente di tempi normali e meno di tempi di crisi B) va ricordato che per i tempi di crisi le istituzioni europee nel 2011 non si erano ancora attrezzate adeguatamente. Non c'era ancora stato il "Whatever it takes" di Mario Draghi e tutte le misure poste in essere e pianificate successivamente. Certo l'eurozona, come dice De Grauwe concludendo, è ancora molto fragile, ma meno fragile del 2011 e più fragile di quanto lo sarà nel 2020.
Postilla importante: Perché non sembri che io sono l'unico fissato nel confrontare Svezia e/o Norvegia vs. Finlandia (ma, come dicevo, le comparazioni così "comode" sono poche) prendete questo articolo di fine novembre 2011. Il buon Joe Weisenthal, un anti-eurista convinto, commentando gli spread crescenti (allora) della Finlandia e calanti (allora) della Svezia sottolineava che The only obvious difference between the two: Finland is part of the Eurozone, meaning it can't print its own money. Sweden has no such risk.
Oggi, 11 giugno 2014, non solo le dinamiche si sono invertite, ma anche i valori assoluti degli spread sono diversi: la Finlandia, che è nell'eurozona, sorpresa, ha uno spread più basso della Svezia.
Non sono così folle da dimenticare che ha una sua razionalità l'idea di valutare un fattore nel momento di massimo stress e, oggettivamente, in quel momento, novembre 2011, l'Euro, anche in Finlandia, stava performando male, sotto lo stress dei mercati. Questo è stato confermato anche da Paul De Grauwe, a Trento, all'ultima edizione di Festival Economia di Trento. Dopo aver sottolineato l'importanza di avere una propria Banca Centrale, ad una mia specifica domanda: "Da investitore allora io dovrei essere più preoccupato di investire in Bond finlandesi rispetto a Bond svedesi?", lui ha risposto che in tempi normali non fa molta differenza: la differenza emerge in situazioni di crisi (domanda a 1:20:30 e risposta a 1:27:30) come ad esempio nel 2010-11.
Ora se è certamente razionale valutare l'effetto Euro sotto stress, e non oggi che le cose vanno meglio e lo spread della Finlandia è più basso rispetto a quello della Svezia, dall'altro lato questo è anche ingeneroso per due motivi A) la vita normale è fatta principalmente di tempi normali e meno di tempi di crisi B) va ricordato che per i tempi di crisi le istituzioni europee nel 2011 non si erano ancora attrezzate adeguatamente. Non c'era ancora stato il "Whatever it takes" di Mario Draghi e tutte le misure poste in essere e pianificate successivamente. Certo l'eurozona, come dice De Grauwe concludendo, è ancora molto fragile, ma meno fragile del 2011 e più fragile di quanto lo sarà nel 2020.
Si.. ma.. se il suo interlocutore Le spiega che per sovranità intende quella di non finanziare il deb. pubblico coi tassi del mercato, non può rispondergli discutendo della sovranità monetaria.
RispondiEliminaRiguardo alla questione di R&S in Finlandia vs Norvegia/Svezia:
potremmo semplicemente concludere che i finlandesi sono più svegli (o meno evoluti economicamente...??? che a me pare che il vero problema della sua tesi è che confronta pere con mele) dei norvegesi/svedesi.
Aggiungo che fare UN esempio in cui un paese dentro l'euro ha investito di più (in proporzione sul PIL non dimentichiamolo, che se parlassimo di paesi confrontabili sarebbe pure utile, ma così..) di uno simile fuori dall'euro non stabilisce alcuna verità teorica.
Un esempio sifatto non dimostra l'assenza di una correlazione, soprattutto se ci sono spiegazioni abbastanza evidenti del perchè abbiamo questa eccezione alla regola.
Caro Ardemagni,
RispondiEliminamolto brevemente:
1) l'aneddotica non è un metodo solido per argomentare (mi pare che glie lo abbia segnalato anche Bagnai a Pescara).
2) Ma qui il punto è un altro. Non è che se un paese dispone della sovranità monetaria, allora spenderà di più (ad esempio in ricerca e sviluppo, ma io parlo di spesa pubblica in generale). Quindi, segnalare che un paese dotato di sovranità spende di meno non dimostra alcunché.
Questo perchè la sovranità (monetaria) consiste piuttosto nel POTER decidere se e quanto spendere con maggiore (MOLTO maggiore) margine di manovra. Poi, quanto EFFETTIVAMENTE uno stato spende, dipende da come quella sovranità viene conretamente esercitata. Il che è frutto di una scelta POLITICA (ci siamo?).
Invece, se uno NON dispone di sovranità, il suo margine di manovra sarà molto ridotto, fino ad annullarsi del tutto (fiscal compact...). Il che non significa che - incidentalmente - una certa voce di spesa non possa essere maggiore di qella che si registra in un altro paese. Significa che, complessivamente, non dispone degli stessi margini di manovra per affrontare le crisi, per reagire agli shock esterni, per scegiere se e quanto spendere. CIOE' ci sono meno margini di scelta POLITICA (o nessuno) sul se e quanto spendere di risorse pubbliche. Poi, ovvio, resta uno spazio sul dove allocare quelle risorse che residuano, ma è appunto la vicenda della coperta corta... il sistema privo di sovranità ha la coperta che il mercato è disposto a vendergli, e non può sceglierne un'altra - più ampia - e quindi potrà solo decidere se lasciare scoperti i piedi, o la testa, o coprire qualcun altro.
NB: da Monti in poi noi stiamo facendo questa terza "scelta", riequilibrando i conti esteri, e cioè coprendo i debiti con la Germania :-).
Insomma la sovranità è una "possibilità"; meglio: un POTERE, il potere di scegliere, di compiere scelte politiche (sottratte alle logiche ed alle forze del mercato dei capitali) sul se e quante risorse spendere, a quali tassi.
Una chiosa: attenzione con gli entusiasmi per la Finlandia. Si veda il QED n. 25 della goofynomics (http://goofynomics.blogspot.it/2014/01/qed-n-25-la-finlandia-e-lacqua-calda.html), e scoprirà che anche li i vincoli monetari cominciano a produrre i loro effetti...
Benedetto Ponti
Caro Ponti, il punto mi sembra molto ben posto e le risponderò volentieri nei prossimi giorni (ora il lavoro chiama). Finalmente (fuori dalle ristrettezze di twitter) si riesce a ragionare più distesamente e con argomenti di maggior portata!
RispondiEliminaNel frattempo mi permetto di segnalarle la postilla che ho aggiunto al post e i link collegati. Mi faccia sapere che ne pensa.
postille alla postilla:
RispondiElimina1) distinguere tra tempi normali e tempi di Crisi?
1.a) ma è Prodi che diceva che con l'Eurro saremmo stati protetti dalle crisi... Poi si scopre che, ops!, è proprio durante le crisi che la moneta unica produce i suoi effetti più nefasti (ma non è così ovviamente: durante le crisi esplodono violentemente le contraddizioni e le storture maturate sin dalla sua introduzione: è solo l'ultimo capitolo del romanzo di centro e periferia)
1.b) in realtà anche la distinzione tra "tempi normali" e "tempi di crisi" è ingannevole, volutamente ingannevole: si vive in uno stato di crisi permanente nella convinzione che prima o poi tornerà la "normalità" (proprio perchè è la normalità, e quindi DEVE tornare). Non è così: lo stato di crisi è divenuta la nuova normalità, perchè è un metodo di governo, un metodo che serve a smantellare il welfare state, ad tagtliare tutele e salari, a tutto vantaggio del capitale. Qui Naomi Klein ha già detto molto (quasi tutto), ed in tempi meno sospetti di quelli attuali (http://it.wikipedia.org/wiki/Shock_economy). Non ci sarà un ritorno alla normalità (con un eurozona meno fragile...). Sempre Romano Prodi dichiaro’ al Financial Times nel 2001: «Sono sicuro che l’euro ci obbligherà a introdurre nuovi strumenti di politica economica. Attualmente è politicamente impossibile farlo. Ma un giorno ci sarà una crisi e nuovi strumenti saranno creati».
2) "va ricordato che per i tempi di crisi le istituzioni europee nel 2011 non si erano ancora attrezzate adeguatamente"
Anche qui, c'è l'idea di fondo (il Sogno) che la costruzione dell'europa federale sia a metà strada, e che questo destino si compierà, basta attendere (e non ostacolare i manovratori che ci stanno portando alla meta). Non è così, per la banale (ma fondamentale) ragione che i tedeschi NON lo vogliono, non ci pensano proprio (a condividere la loro ricchezza con gli altri paesi più deboli, perchè QUESTO è uno stato federale), e non lo vogliono i francesi (ha presente la percentuale di Mme Le Pen?) né l'hanno mai voluto (remember che fine ha fatto il trattato Costituzionale?), insomma i popoli europei (che ci piaccia o no) non lo vogliono...
La moneta unica, nella sua attuale configurazione, non è affatto l'istantanea accidentale di un processo che si compirà nelle magnifiche sorti etc. etc., è piuttosto esattamente il luogo dove una certa élite ha voluto portarci (altrimenti, perchè partire dalla moneta, quando TUTTI quelli competenti in materia dicevano che era un errore?), ed è funzionale allo smantellamento dello stato costituzionale di diritto protettore e propugnatore dei diritti sociali e dell'eguaglianza sostanziale. Questo è, e non potrà convertirsi in qualcos'altro...
Ma insomma, perchè dobbiamo sacrificare vite, generazioni, mancato sviluppo, stati interi (Grecia, ma anche Portogallo, Spagna, Italia) per salvare "l'euro"? Cosa è più importante? Mi spiace se poi sembro un adepto, io penso sa più importante "salvare i cittadini dalla moneta unica" piuttosto che sacrificarli per salvarla.
BP
Caro Ardemagni,
RispondiEliminaun paio di quesiti:
1 - Nel guardare la differenza di spread tra Norvegia e Finlandia si tiene conto della differenza di inflazione? (l'inflazione è maggiore in Norvegia, che sta crescendo, rispetto alla Finlandia, che è in recessione)
2 - Ma non è lapalissiano che la quantità e la composizione della spesa pubblica siano frutto di scelte politiche? Il punto è semplicemente che un vincolo esterno come quello del cambio restringe (in certi casi fino allo zero) gli spazi per fare tali scelte politiche.
La Finlandia fino ad un paio d'anni fa era ritenuto tra i paesi core nell'eurozona - con avanzo delle partite correnti e rating al top. Nessuna sorpresa che finora abbia avuto margini di manovra. Il suo tracollo è iniziato (o quantomeno è diventato evidente) solo in tempi relativamente recenti, e sarà interessante vedere come reagirà quel paese.
1) l'aneddotica non è un metodo solido per argomentare (mi pare che glie lo abbia segnalato anche Bagnai a Pescara).
RispondiEliminaDetta da un professore questa mi pare un po' troppo grossa.
E' vero che non si estrapola dagli aneddoti, ma e' anche vero che un contro-esempio e' tutto cio' che serve per mettere in discussione una teoria.
Ponti fa un blanket statement: o sei la Germania (di fatto sei sovrano) e stai bene, oppure sei nei guai. A un blanket statement si puo' solidamente rispondere con un singolo contro-esempio.
Se affermassi che tutti i cigni sono bianchi basterebbe farmi vedere un cigno nero per invalidare la mia "teoria".
In ogni caso questa discussione mostra tutti i motivi per cui smetto di seguire i dibattiti economici piu' o meno sempre al secondo round.
In questo caso abbiamo i promotori di una teoria (il ritorno alla sovranita' monetaria risolverebbe i problemi dei paesi dell'area Euro) e qualcuno (Ardemagni) che insiste nel notare che l'evidenza a supporto di questa teoria non e' convincente.
Il risultato e' che alla fine si "uniscano i puntini" con curve complesse a piacere, e magari anche saltando i puntini che non ci piacciono: la sensazione e' quella di razionalizzazioni su possibili soluzioni in assenza di dati sufficienti a fornire una risposta, e non puo' che finire in caciara.
L'idea stessa di Ponti e Bagnai a me sembra basata sull'aneddotica piu' del contro-esempio di Ardemagni (giusto o sbagliato che sia il contro-esempio).
Tanto per fare un esempio, vivendo negli USA mi rendo conto che esiste un modo completamente diverso di vedere l'economia federale. Tuttavia la mia ignoranza mi impedisce di cogliere davvero tutte le differenze e i meccanismi economici che consentano a un Paese come gli USA di avere un governo molto piu' "leggero" di quelli Europei (a prescindere dalle opinioni politiche sul welfare state, lo sottolineo), con livelli di investimenti in ricerca superiori a quelli italiani (sia ricerca pubblica che privata, e il discorso sul ROI non mi convince per niente, Microsoft Research e IBM offrono esempi lampanti del fatto che la ricerca privata puo' essere di base e di ottima qualita' senza cercare necessariamente ROI a breve termine), con un federalismo fiscale pieno ma nello stesso tempo con una moneta unica.
Casi come quello del Massachusetts, con scuole pubbliche di ottimo livello, assistenza sanitaria pubblica (benche' non universale), e cosi' via, dovrebbero dimostrare che, se non altro, avere alti livelli di spesa pubblica in un contesto federale con moneta unica sia possibile, anche senza essere nella stessa posizione della Germania.
Qualcuno puo' spiegarmi perche' negli USA la moneta unica sembra funzionare e in Europa l'unica soluzione sia tornare alla frammentazione monetaria?
Perche' alla fine questo e' il dubbio che mi rimane: che il ritorno alle sovranita' "classiche" sia una semplice soluzione per tornare allo status quo precedente, ma che non sia l'unica soluzione ne' la piu' efficace.
Alla fine e' di giochi a somma positiva che stiamo parlando, e intuitivamente mi aspetterei che questi giochi venissero giocati su campi di gioco sempre piu' ampi e inclusivi, non il contrario...
Parto da "anonimo" che chiede: "2 - Ma non è lapalissiano che la quantità e la composizione della spesa pubblica siano frutto di scelte politiche? Il punto è semplicemente che un vincolo esterno come quello del cambio restringe (in certi casi fino allo zero) gli spazi per fare tali scelte politiche".
RispondiEliminaSì, ma non dimentichiamo che io cercavo esclusivamente di confutare il tweet di Ponti che, parlando di investimenti nella ricerca diceva: "il privato pretende un ROI di mercato (magari a tre mesi), il pubblico no (se è sovrano)".
L'esempio della Finlandia almeno a questo è servito: a dire che NON SOLO se è sovrano il pubblico può investire in ricerca e sviluppo a fondo perso.
E infatti, sia anonimo che Benedetto Ponti ora parlano di restrizione dei margini o degli spazi di scelta politica negli stati non sovrani (e non più di impossibilità al 100%). Un piccolo passo avanti.
Per il momento mi fermo qui, leggerò con calma tutti i commenti e i link inviati, anche via twitter, e tornerò ad aggiornare magari nel fine settimana.
Per Omar, grazie per il sostegno. Penso che la risposta standard a: "perché negli USA la moneta unica funziona?" potrebbe essere: "perché negli USA i fattori di produzione, in particolare i lavoratori, si muovono assoluta libertà tra uno Stato e l'altro, in Europa no, e perché negli USA c'è maggiore flessibilità di prezzi e salari".
Grazie Ardemagni.
RispondiEliminaProvo a specificare meglio la domanda viste le sue risposte (mi piace darle del lei come se fossi un Cirri o un Solibello qualunque).
Perché negli USA i fattori di produzione, in particolare i lavoratori, si muovono assoluta libertà tra uno Stato e l'altro, in Europa no
Fair enough dal punto di vista qualitativo, ma mi chiedo quanto questo possa davvero incidere quantitativamente sugli effetti generali. E comunque non mi pare che i nostri concittadini abbiano mai avuto problemi a spostarsi in Nord Europa nonostante le barriere linguistiche e culturali.
negli USA c'è maggiore flessibilità di prezzi e salari
Hmm... ne siamo sicuri?
In ogni caso, rispetto alle caratteristiche di Optimal Currency Area manca all'appello (che io sappia) un fattore, che a me sembra abbastanza rilevante: il federalismo fiscale vero.
In un articolo sulle caratteristiche di tre federazioni (Germania, Canada, USA) leggo questo:
Furthermore, in all three federations attention
has had to be directed to vertical (federal – state
– local) and horizontal (state -- state) imbalances
where the expenditure responsibilities of each
government and its constitutionally allocated
revenue resources are not in balance. These arise
because in all three federation the major taxing
fields have been assigned to the federal
governments because these taxes are important
instruments for affecting and regulating the
economy and for performing a redistributive role,
while more substantial expenditure
responsibilities have been assigned to the
governments of the states or provinces in the
interests of effective decentralization or to meet
political pressures from the constituent units for
maintaining their distinctiveness. Consequently,
in all three federations provision has been made,
either constitutionally (as in Germany) or by
governmental action in the United States and
Canada, for financial transfers from the federal
government to the state or provincial
governments to correct the vertical and
horizontal imbalances. The scope and form of
these transfers has varied and will be analysed
later in this report.
[http://www.queensu.ca/iigr/WorkingPapers/watts/wattsboadway.pdf]
Questa attenzione alla riduzione degli sbilanciamenti orizzontali e verticali fra stati, regioni, province, esiste in nell'EuroZona? E' efficace? A me, da ignorante, sembra che in Europa accada qualcosa di molto diverso.
Ma al di la' di tutto, siamo sicuri che il problema dell'Italia sia l'Euro? Anche ammesso che fossimo liberi da Patti di Stabilita' e che potessimo tornare a stampare moneta liberamente, nessuno mi toglie dalla testa che l'Italia sarebbe incapace di sfruttare la situazione in ogni caso.
RispondiEliminaIn altri termini: e se il problema non fosse la perdita di sovranita' monetaria ma l'incapacita' di stare al passo con i tempi? Abbiamo una struttura industriale e imprenditoriale abbastanza arretrata, una pubblica amministrazione pesantissima ed inefficiente, non abbiamo quasi piu' innovazione e ricerca.
La domanda, ovviamente, e' se questi siano effetti o cause. Certo e' vero che le politiche di austerity abbiano inasprito certi meccanismi perversi di impoverimento generale del Paese, ma mi pare che i problemi fossero gia' strutturali e cristallizzati da tempo.
Il Brain Drain non e' una novita', l'inefficiente tessuto imprenditoriale fatto di innumerevoli PMI non e' una novita' tanto recente, mi pare, e cosi' l'incapacita' di innovare tecnologicamente.
Tutte queste pecche strutturali si traducono in bassa competitivita', che certo l'austerity non puo' controbilanciare ma solo accentuare.
Se uscissimo dall'EuroZona ci ritroveremmo di nuovo a battere moneta: ma per farne cosa, esattamente?
Magari la terza via e' da un lato aggiustare la federazione europea, dall'altro ammodernare un Paese che ha perfino gravi problemi infrastrutturali (Siracusa-Trapani o Napoli-Pescara tanto per fare due esempi, senza auto sono viaggi della speranza).
In ogni caso uscire dall'Euro mi pare una risposta poco convincente. E lo dico, ripeto, da profondo ignorante consapevole di aver potenzialmente scritto un mucchio di baggianate.
Mi piacerebbe capire.
Mi sono imbattuto in questa discussione quasi per caso, anche se da tempo, come molti immagino, mi sto dando da fare per capire cosa ci sta succedendo attorno.
RispondiEliminaAmmetto di essere francamente sorpreso da quel che leggo. Sono molto affascinato dalle tecniche argomentative e dall’arte retorica, ma discutere di aneddotica, esempi, contro esempi e via dicendo mi pare quanto meno fuorviante.
Fuorviante per una semplice ragione: quando si tira fuori la Finlandia come contro esempio (Finlandia che pure ha i suoi problemi e dove pure si discute con meno pregiudizi che da noi, se la moneta unica sia stata e sia tuttora un affare), si dimentica che la Finlandia non è l’Italia. Punto. Se l’euro può andare bene per la Finlandia, non è detto che possa valere lo stesso per l’Italia. Loro sono alti, biondi, con gli occhi azzurri, incorrotti e incorruttibili e parlano l’inglese, noi può darsi di no (salvo poi scoprire, spostandosi nel nord Europa, che hanno una fama di affidabilità pari a quella che da noi, meritata o non che sia – e per quanto mi riguarda ho solo esperienze positive da raccontare – hanno alcuni nostri concittadini: cioè se ti possono fregare, ti fregano). E la prospettiva corretta, in una situazione del genere, non è il penitenziagite, o l’imporci di essere diversi da come siamo (cosa cui si può aspirare nel lungo periodo, perché i cambiamenti culturali si possono fare e si fanno, ma non per imposizione esterna: quelli attuati in questo modo e nel breve periodo, infatti, di solito sono imposti da regimi non proprio democratici, e spesso provocano sanguinose crisi di rigetto), ma lo scegliere un modello, un sistema, che sia adatta alla realtà cui deve essere applicato. Si continua a dipingere il nostro sistema come arretrato (e per certi versi lo è), e la PMI come una palla al piede dell’economia. Ma ci si dimentica che quella stessa PMI meno di vent’anni fa era presentata come un miracolo, e i distretti industriali venivano studiati come modello da imitare, e ci si dimentica che siamo ancora tra i leader al mondo (assieme al Giappone) nella robotica e automazione industriale e anche – pure se a qualcuno può non piacere – nell’industria delle armi. Per cui attenzione ai luoghi comuni.
A mio giudizio un dato di fatto non può essere messo in discussione, e non capisco perché venga contestato o messo in dubbio da chi competenze specifiche non ne ha: la moneta unica in Europa è stata una scelta contraria alle indicazioni della teoria economica. E non ha funzionato perché non poteva funzionare. Teorie di Bagnai? Insomma... a me questa cosa è stata detta nel settembre del 2011 (immagino ci si ricordi tutti cosa era successo nell’estate precedente) e da lì è iniziato il mio percorso di studio.
La scena: una casa privata, in una città del nord Europa, diversi invitati per lo più italofoni, ma non solo; io, sostanzialmente incompetente in materia economica (ma capace di leggere e non a disagio con i numeri) e piuttosto in ansia per quel che si era letto e sentito sui principali media nelle settimane precedenti (lo spread, il debito pubblico, il collasso dell’Eurozona...); il mio interlocutore, un signore sulla cinquantina, non italiano, sposato a un’italiana impiegata al consolato. Mi ispira simpatia, è arguto e ironico, e sono colpito da come riesce a usare questo registro in lingue non sue: inglese, e poi italiano). Dopo le presentazioni, provo ad approfondire la conoscenza:
RispondiElimina- di che cosa si occupa lei?
- io? Oh, io sono un matematico...
- un matematico?!? Prima di tutto mi complimento per come usa la nostra lingua, immaginavo la usasse per lavoro...
- no, no... per necessità, sa com’è, mia moglie... in casa ha imposto che si parli italiano, e mi sono dovuto adeguare. Però dopo tanti anni ho imparato a cavarmela (sorride). Io in realtà lavoro alla Banca centrale di (...).
- ma, perdoni l’ignoranza, cosa fa un matematico in una Banca centrale?
- oh, sviluppa modelli matematici e... corregge i compiti degli economisti (ride). Adesso stiamo lavorando a un modello sulle conseguenze della dissoluzione dell’Eurozona. Sa com’è, valutiamo i titoli di stato esteri posseduti dalle banche del nostro paese, le possibili conseguenze sul sistema bancario, le percentuali di svalutazione attese, per poi definire le strategie d’intervento...
- ma dicono che l’euro è irreversibile, che sarebbe un disastro!
- oh, di irreversibile c’è solo una cosa al mondo. E per il resto che ci sarebbero stati problemi lo sapevano tutti fin dall’inizio. E guardi che casino han combinato con la Grecia.
Ecco, immaginate la mia faccia. E immaginate l’arrabbiatura nello scoprire che quello che ci era stato venduto come un sogno, in realtà era una sola.
Conto balle io? Sono un adepto di Bagnai? Mah, se si vuole basta ascoltare qui:
http://www.treccani.it/webtv/videos/Int_Sfida_Prodi.html
Quindi un punto fermo c’è: la moneta unica è un problema perché l’Eurozona non è un’area valutaria ottimale. Quello che va bene per la Germania, non va bene per l’Italia (o la Spagna, o la Grecia).
Chiede Omar, perché negli USA l’unione monetaria funziona? Direi che ci sono almeno due risposte, ed entrambe sono politicamente improponibili in Europa: trasferimenti fiscali (accuratamente vietati dai Trattati e impossibili da far accettare all’opinione pubblica del paese economicamente più forte) e politica estera unica (poi, magari ci aggiungiamo anche un esercito abbastanza ben armato e un arsenale nucleare ben rifornito).
RispondiEliminaPosso aggiungere, funziona anche nella Confederazione elvetica (sulla quale, dopo tre anni a Basilea e tre a Zurigo qualcosa mi sento di poter dire), dove non si parla neppure una lingua comune. E tuttavia:
- c’è un sentimento d’identità nazionale molto forte (pure troppo per certi aspetti, IMHO);
- c’è un meccanismo di trasferimenti (ammetterete che il canton Zurigo e Appenzello interno non hanno e non possono avere un peso comparabile, e quindi o sostieni in qualche modo Heidiland, o Heidiland progressivamente si svuota. Capito come mai i prati e i pascoli sono tutti ben tenuti e il paesaggio da cartolina?);
- c’è un meccanismo che impedisce l’eccesso di concorrenza fiscale tra i cantoni (avete presente l’Irlanda e l’Olanda?);
- comunque sia (e con buona pace dei nostri cugini ticinesi), ogni svizzero sa che se vuol arrivare a certi livelli il tedesco (anzi, lo Schwyzerdütsch) lo deve imparare. Italiano, francese, romancio, conta niente: il cuore della Confederazione parla quello, o ti adegui o resti, per quanto bene possa sopravvivere, di serie B.
Ora permettete che se tutto questo è vero (e tutto questo è vero, non perché lo dice Bagnai, ma perché lo dice la teoria economica) il problema non è economico, ma politico. Negare il primo punto con ostinazione non aiuta. Aiuta invece discutere sul secondo aspetto, e valutare la praticabilità e sostenibilità delle alternative. Per questo mi sorprendo che professionisti della comunicazione siano arroccati a difendere l’indifendibile, salvo che dietro questa scelta ci sia una strategia ben precisa.
Conclude poi Omar, ma siamo sicuri che il problema dell’Italia sia l’euro?
La risposta dovrebbe essere chiara: l’euro non è il solo problema, ma è un problema, e bello grosso, perché ci impone certe scelte. Scelte che tra l’altro sono tendenzialmente suicide, perché la competitività e il riequilibrio dei conti esteri (esteri, non del debito pubblico) viene attuata con la distruzione del mercato interno. E anche la tanto decantata necessità di ridurre la spesa pubblica, bisognerebbe avere il coraggio di dire che se vuole essere efficace dovrà andare a incidere sui capitoli centrali dello stato sociale: sanità (dove le statistiche internazionali dicono che siamo molto meno inefficienti e spendaccioni, come spesa pro capite, di quanto si vuol far credere), istruzione, previdenza e assistenza. E questo il modello che vogliamo? Personalmente potrei anche fregarmene, se non altro perché i miei figli stanno crescendo altrove (bella la mobilità dei fattori produttivi, vero? Per chi se la può permettere si chiama esperienza all’estero, cosmopolitismo; per chi se la deve permettere si chiama emigrazione. Suona un po’ diverso).
Se non risolviamo questo problema, finiamo come le rane bollite.
Poi potremo anche iniziare a discutere come siamo arrivati qui, delle scelte degli anni ’80, della mancanza di una politica industriale, dell’esplosione del debito pubblico per interessi dovuto al divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro, del fatto che questa scelta sia stata una reazione per tentare di governare quello che sembrava ingovernabile, con un’opinione pubblica crescente che considerava ragionevole chiedere l’impossibile, ovvero, per quanto mi riguarda, annullare le differenze sociali. Ecco, la reazione è servita. E dovrebbe insegnare che le differenze (o, se preferite, asimmetrie – e mi si perdoni il riferimento non voluto all’associazione fondata dall’eretico Bagnai), quando è utopistico pensare di eliminarle, dovrebbero essere gestite. E questo è compito di una politica che sappia prendersi le sue responsabilità.
Cari tutti, ho cercato di uscire un attimo dall'aneddotica (accusa ricorrente) con il post successivo che trovate qui: http://ardemagni.blogspot.it/2014/06/ancora-finlandia-bagnai-reloaded-quarta.html
RispondiEliminaGrazie innanzitutto a quelli che mi hanno segnalato il QED di Bagnai.
Bagnai partiva dal NIIP relativamente basso della Finlandia nel solo 2007 (questa sì potrebbe essere considerata aneddotica) e io ho cercato di estendere un po' lo sguardo agli anni prima e dopo, per uscire appunto dall'aneddotica.
In coda al post troverete una piccola sfida, a me basta che a raccoglierla sia una sola persona.