Nel corso degli ultimi anni
collaborando con diverse realtà e istituzioni sono stato infinite
volte nelle Marche che sono diventate un po' la mia seconda regione.
L'ultima volta è stato giovedì 9 e venerdì 10 febbraio, a Fermo,
per il lancio di Tipicità, un importante festival che si svolgerà
all'inizio di marzo. In queste trasferte ho incontrato molte persone,
alcune delle quali possono ormai essere considerate veri amici, altre
le ho incontrate a Milano o sentite al telefono, anche nei giorni più
difficili. Parlando con loro ho capito alcune cose che, da lontano,
si fa molta fatica a inquadrare. Eccone una breve lista:
1) Il
terremoto non fa notizia. Che poi è un eufemismo per dire che
chi non è direttamente coinvolto dal sisma non vuole sentirne parlare più di tanto,
salvo nei giorni che seguono immediatamente le scosse maggiori. La slavina di Rigopiano, ad
esempio, ha catalizzato molta dell'attenzione dei media e dei loro
lettori-ascoltatori-spettatori, ma poi, come dopo uno sforzo atletico
prolungato, si è come percepito chiaramente il bisogno di staccare, di pensare ad
altro. Peccato che la tragedia di Rigopiano, per quanto enorme,
essendo limitata a un unico edificio, sia scarsamente rappresentativa
del disastro generale che la sequenza di eventi sismici ha provocato.
Ho messo questo punto per primo non perché sia il più importante
(in fondo non è così importante quanto se ne parli, purché i
problemi vengano risolti), ma per invitare tutti a una maggiore
attenzione e, ad esempio, a proseguire nella lettura;
2)
Questo terremoto è diverso dagli altri. Uno dei fattori che
ha reso maggiormente penoso, per tutti, affrontare questo terremoto,
è che non ci troviamo di fronte al classico esempio di una forte
scossa seguita da una sequenza di repliche via via decrescenti, ma ad
almeno quattro o cinque eventi maggiori a poche decine di chilometri
l'uno dall'altro e a distanza di poche settimane l'uno dall'altro,
che hanno colpito la zona proprio nei momenti in cui si produce
classicamente il maggiore sforzo per affrontare la fase post
emergenziale. Senza contare le decine di migliaia di altre scosse
meno forti, alcune delle quali comunque spaventose, che stanno ancora
provocando grande preoccupazione e continua insicurezza nella
popolazione. È come se ogni volta in cui si cerca di timidamente di
rialzare la testa, pur in una situazione molto difficile, una nuova
mazzata ricacciasse giù, prendendosi gioco delle speranze di
ripartenza. Senza dimenticare che molte di queste zone avevano già
subito il terremoto del 1997 (esperienza che – almeno in parte, e
in qualche zona – è servita ad avere qualche edificio in grado di
sostenere meglio l'urto degli eventi del 2016-17;
3) Le
scosse maggiori, una diversa dall'altra. Per quanto relativamente
vicine (le distanze si misurano in decine di chilometri) le scosse
hanno avuto epicentri in regioni diverse (siamo in un'area suddivisa
tra Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria e hanno causato un numero diverso
di vittime: la scossa di mercoledì 24 agosto con epicentro Accumoli
(Lazio) ha causato la distruzione anche di Amatrice e Arquata del
Tronto (Marche) e di altri comuni, con 299 vittime; quella di
mercoledì 26 ottobre, (con epicentro nelle Marche) ha colpito molti
comuni già fortemente provati dalla scossa precedente come
Castelsantangelo sul Nera, per citarne solo uno) e ha provocato solo
1 vittima, indiretta. Paradossalmente è stata vista come una sorta
di avvertimento, perché la scossa di domenica 30 ottobre, alle 7:30
di mattina, la più forte scossa in Italia di questo millennio (con
epicentro in Umbria, ma con grandi conseguenze nelle Marche) ha
causato “solo” 2 vittime indirette, trovando la popolazione di
molti comuni già sfollata, infine la scossa di mercoledì 18 gennaio
(epicentro in Abruzzo) che verrà ricordata soprattutto per la
slavina di Rigopiano. In tutto questo dal 24 agosto ci sono state ben
72 scosse di magnitudo uguale o superiore al 4.0 tra le province di
Perugia, Macerata. Ascoli Piceno, Rieti e L'Aquila (ma di fatto tutte
in un breve raggio) e ancora stamattina, mentre sto scrivendo, in una
giornata relativamente calma, in meno di sei ore si sono registrate
altre sei scosse superiori al 2.0.
L'interno del Teatro dell'Aquila (Fermo) |
4) La vita continua.
Un'altra cosa che si fa fatica a capire da lontano è se in quelle
regioni la vita continua, ma non è più lo stesso. Qui mi soffermo soprattutto sulla parte
meridionale delle Marche che sono strutturate un po' come un pettine
con valli parallele che vanno dall'Appennino al mare. Anche le strade
seguono più o meno lo stesso andamento: le vie principali vanno
dalla montagna al mare, e quasi nessuna è parallela all'autostrada
Adriatica A14. Semplificando enormemente si può dire che risalendo
dalla costa verso l'interno le dimensioni delle città diminuiscono,
anche se le maggiori città storiche (Ascoli Piceno, Fermo, Macerata,
Recanati) si trovano nella seconda fascia (quella a pochi chilometri
dal mare). E poi vedremo che c'è un'eccezione nella quarta fascia,
perché risalendo verso nord, troviamo città di notevole dimensione
e importanza come Camerino (con la sua università), Matelica e poi
Fabriano. Gli amici mi spiegano che questa morfologia "a pettine" del territorio ha provocato uno sviluppo policentrico, l'assenza di grandi città, ma un tessuto di piccole cittadine abituate a fare da sé, specializzandosi nelle manifatture (ogni zona produce qualcosa di diverso, ha un dialetto diverso ecc.). Il segno più tangibile di questa relativa autonomia è il fantastico tessuto di teatri storici delle Marche, oltre cento, perché ogni comune, per quanto piccolo, doveva avere il proprio, in quell'età dell'oro tra Settecento e Ottocento. E molti di questi teatri sono attivi ancora oggi.
Potremmo a grandi linee dire che le città sulla
costa (chiamiamola fascia 1) come Civitanova Marche o San Benedetto del Tronto hanno subito
ben pochi danni e stanno anzi offrendo ospitalità, negli alberghi, a
molti sfollati. Il traffico è ulteriormente aumentato e la
centralità, anche politica ed economica di queste città costiere, già in
ascesa prima del sisma, si sta ulteriormente accentuando. Risalendo
verso la montagna di una decina chilometri (fascia 2) incontriamo molte
città storiche importanti come Ascoli Piceno, Fermo, Macerata,
Recanati. Qui la situazione è più complessa: alcune case, non moltissime, sono
inagibili e qualcuno ha dovuto lasciarle. Inoltre le scosse sono
sempre molto percepite e si vive in una situazione di continua
tensione. Certo da Roma o da Milano quando, ad esempio, si vede che
le partite del campionato di Serie B vengono regolarmente disputate
ad Ascoli si fa fatica a percepire questo aspetto. Molti dei miei
amici che vivono in questa fascia hanno case che hanno subito danni,
non tali da doverle abbandonare, ma in ogni caso preoccupanti. Molti
condomini o singoli privati hanno chiesto perizie a
degli ingegneri strutturalisti. Certo, privatamente, anche perché con una domanda totale
di oltre 200.000 perizie (un'enormità anche persino al terremoto
dell'Aquila del 2009) le istituzioni non riescono a coprirle tutte. I
responsi sono spesso sibillini: “la casa è agibile, ma
indubbiamente le scosse hanno ridotto la capacità di sostenere
future scosse significative”. Come comportarsi in questi casi,
considerando che quasi ogni giorno si sentono delle scosse? A Macerata
una buona parte degli edifici del centro storico sono inagibili,
comprese alcune chiese, il teatro, molte aule dell'Università, cuore
pulsante della cittadina. Anche spostando la sede delle lezioni in
edifici più moderni, si assiste a un notevolissimo calo delle
frequenze (non ancora delle iscrizioni, per fortuna, ma che ne sarà
del futuro?): gli studenti studiano da casa e si presentano solo per
gli esami. Anche i poli museali che stavano vivendo un grande
rilancio (Fermo, Macerata, Recanati ecc.) hanno visto un crollo delle
presenze dopo il sisma, solo in parte giustificato. Anche se
girando superficialmente in queste città non si percepiscono
visivamente enormi danni (il traffico ad esempio sembra regolare)
sono moltissime le attività ad avere subito fortissime conseguenze
dal sisma.
Risalendo ancora verso la montagna, (fascia 3) ma parliamo
veramente di pochi chilometri (10-15) si incontrano cittadine
importanti come Tolentino che hanno avuto danni tali da causare lo
sfollamento di circa un terzo della popolazione e che subiscono
conseguenze ancora maggiori sulle proprie attività economiche dallo
spopolamento dei paesi ancora più all'interno in quanto servivano da
punti di riferimento (scuole, negozi). Qui poste, farmacie, benzinai,
negozi funzionano regolarmente, ma i danni e l'incertezza già
descritti per Macerata sono ulteriormente aggravata. E il tessuto
economico di piccole e medie aziende presenti in questa fascia ha
subito danni alle strutture, resistendo con difficoltà. Risalendo di
altri 10-15 chilometri ancora verso la montagna (fascia 4) troviamo
piccole paesi che vivevano soprattutto di allevamento, pastorizia e
turismo. Qui la situazione, pur con alcune differenze tra i vari
luoghi il tessuto dei paesi è pressoché distrutto, eppure in alcune
situazioni troviamo poche eroiche famiglie che hanno deciso di non
sfollare, soprattutto quelle legate all'attività dell'allevamento,
di cui proveremo a parlare più avanti.
Risalendo la montagna da
Civitanova (fascia 1), dopo Macerata (fascia 2) e Tolentino (fascia
3), siamo arrivati fino a un bivio dove prendendo verso sud si entra
nel parco dei Sibillini fino ad arrivare a Castelsantangelo sul Nera
(uno dei paesi più colpiti) mentre verso nord si arriva quasi subito
a Camerino (e se si prosegue a Matelica e Fabriano): sono le prime
strade di una certa dimensione che scorrono parallele e non
perpendicolari all'Adriatica (ma circa 50 km verso l'interno). A
Camerino la situazione è più grave nel centro storico (zona rossa)
quasi completamente inagibile, mentre il grosso delle attività
prosegue nella fascia attorno al centro storico, pur con tutte le
difficoltà già descritte per Macerata, ma ulteriormente
amplificate, comprese quelle relative all'Università. Qui nel
momento di maggiore tensione si è creata anche un po' di
competizione tra le Università per il reperimento dei fondi statali
per la ricostruzione, ma l'altra sera a Fermo i due magnifici rettori
erano in discreta armonia. Non mancano poi esempi virtuosi di accordi
tra istituzioni un tempo in concorrenza come le scuole di lingua
italiana per stranieri: di fronte all'emergenza la scuola di Recanati
e quella di Camerino che ogni anno ricevono migliaia di studenti da
tutto il mondo si sono consorziate.
5. Gli sfollati. Circa
un decimo della popolazione della provincia di Macerata ha lasciato
la propria casa, girano diversi numeri ma è difficile fare una stima
corretta in quanto ci sono tantissime storie diverse: da chi è stato
alloggiato in un albergo sulla costa, da chi ha trovato domicilio a
casa di amici o conoscenti, alcuni nella stessa città (ad esempio a
Camerino o a Tolentino), altri in località differenti, c'è chi si è
trasferito ancora più lontano. Una storia particolare, che rende
molto l'idea della situazione, il sindaco di Castelsantangelo sul
Nera si è trasferito a Fano (90 km di strada più a Nord, sulla
costa), ma fa il pendolare ogni giorno con il suo paese, dove sono
rimaste poche decine di famiglie prevalentemente nei camper, che non
intendono andare via dal paese soprattutto perché lavorano
nell'allevamento del bestiame. Ogni famiglia ha dovuto affrontare
scelte difficili, anche se per molti la prima scelta è stata di
mantenere il più possibile i legami con la propria località di
provenienza così molto studenti delle superiori di Camerino,
sfollati sulla costa, ogni giorno si fanno 70 km + 70 km in bus per
raggiungere il loro liceo o istituto superiore (che nel frattempo
però è stato spostato in strutture meno accoglienti degli edifici
del centro (ma più sicure) pur di non perdere i legami con la
propria città. (Una situazione simile a questa è quella dei molti
lavoratori che continuano a operare in molte aziende dell'interno,
colpite dal sisma, ma ancora operative. Lavoratori che ormai abitano
sulla costa e che ogni giorno viaggiano per raggiungere il luogo di
lavoro, che fino a prima del sisma avevano a pochi chilometri). Se
in città di dimensioni come quella di Camerino, pur con mille
difficoltà, si può immaginare un futuro, ma in molte piccole
località che erano già in via di spopolamento da anni, il futuro è
molto incerto. Quanti tra gli sfollati, anche se fossero disponibili
case antisismiche domattina (il che è utopistico) vorrebbero tornare
certamente a Visso, Ussita. Castelsantangelo o non immaginano, ormai,
il proprio futuro a Civitanova o a Bologna o a Pescara, a Milano a
Roma, a Berlino?
6. I ritardi. In generale ho
percepito grande insoddisfazione per come è stata gestita
l'emergenza. Tenendo conto che l'atteggiamento principale della
popolazione è stato – finché è stato possibile – di lamentarsi
poco e di arrangiarsi quanto più per conto proprio, si è assistito
a situazioni paradosali: la prima è certamente quella relativa alle
stalle per gli animali che, come abbiamo visto, sono una delle sole
attività, assieme al turismo, che teneva in piedi l'economia dei
paesi della montagna. Gli appalti della regione per la costruzione di
stalle d'emergenza sono andati per le lunghissime: molti animali sono
morti di freddo e anche se arriveranno dei rimborsi (qualche decina
di euro per ogni capo ovino e qualche centinaio per i bovini) quante
piccoli imprenditori del settore avranno ancora voglia di riprendere.
Qui per ora la
chiudo. Ci sono moltissime storie da raccontare, ma quello che non è
chiaro a molti italiani è quanto profondamente sia cambiata la vita
di molti connazionali, anche di quelli non impattati in modo tragico
dal sisma. L'attenzione nei loro confronti è molto discontinua anche
per le dimensioni dei comuni colpiti e per la scarsa centralità di
quelle aree nella narrazione del paese.
Ho tralasciato molti
aspetti, come la ricchezza e la specializzazione economica di molti
di questi splendidi borghi dell'Italia: nell'ambito del distretto
calzaturiero (fortunatamente meno colpito in quanto localizzato più
vicino alla costa), già profondamente colpito dalla crisi, si arriva
addirittura alla raffinatezza di avere paesi specializzati nelle
calzature per bambini. Ci sono paesi come Montappone (penso sia
rimasto abbastanza preservato dal sisma) specializzato nei cappelli,
così come Castelfidardo nella produzione di strumenti musicali (in
particolare fisarmoniche) e potrei andare avanti per ore. Spostandoci
verso l'Umbria – ma siamo sempre lì, ancora più vicino al sisma,
c'è Castelluccio di Norcia coi suoi splendidi scenari e le sue
lenticchie. Che ne sarà?
Adesso Marche e Umbria hanno
lanciato campagne per evitare l'emorragia di presenze turistiche che
rischiano di colpire anche zone meno toccate dal sisma solo perché i
nomi “Marche” e “Umbria” vengono automaticamente legati al
terremoto. Fatte salve alcune aree limitate, infatti, le regioni sono
perfettamente agibili per il turismo, anzi sarebbe opportuno non
abbandonarle e non abbandonarsi al timore. Problema nel problema sono
gli alberghi sulla costa occupati dagli sfollati: la consegna delle
case pare slittare a fine 2017. Gli albergatori ora sono risarciti e
– paradossalmente – hanno un minimo di guadagno in questa fase
(pur dovendo mantenere personale che in altri anni a febbraio sarebbe
stato ridotto), ma che succederà a luglio e ad agosto? I rimborsi,
eventuali, non potranno compensare le disdette. Insomma è tutto un
gran groviglio.
Da qui in poi però vorrei lasciare la
parola direttamente ad alcuni amici della zona, che conoscono molto
meglio di me la situazione e potranno correggere ed approfondire. Le loro testimonianze si trovano qui. Quel poco che sapevo l'ho già condiviso.
Caro Marco, hai fatto un'analisi attenta e lucida, densa di contenuti reali e rispondente alla specificità delle singole aree colpite, a diversi livelli, dal ripetersi dei fenomeni sismici.
RispondiEliminaQuesta è veramente una situazione anomala e pericolosa proprio perché ancora non compresa nella sua complessità.
Le Marche sono terra abituata alle ripartenze e ad affrontare dignitosamente le avversità, con spirito resiliente e massima adattabilità ai cambiamenti.
Però in questo momento è in bilico la tenuta stessa "del tutto" e cioè delle motivazioni che tengono insieme una comunità, perché in alcuni casi non ci sono più i luoghi fisici nei quali proiettare le proprie energie; perché in altri casi non ci sono i clienti che rendono utile un lavoro, perché non c'è più la scontata sicurezza di essere radicata in una terra stabile.
Anche chi vive al di fuori della "zona rossa", ma nelle altre aree da Te indicate, la "zona rossa" ce l'ha dentro, perché non riesce ad accedere più alle aspettative, ai sogni ed ai progetti per il futuro.
Sono convinto quindi, che da parte nostra, di noi marchigiani, sempre discreti, sobri e poco avvezzi a comunicarci, questa volta non ce lo possiamo permettere, perché i tempi si stanno dilatando e chi deve provvedere alla "normalizzazione" non sembra in grado di accudire queste comunità come ci si aspetterebbe.
Ecco perché Ti ringrazio di cuore per la tua lucida ed appassionata analisi, perché serve anche a noi, serve per capire che è il momento di aprirsi, di far conoscere, di divulgare cosa serve per ripartire e per essere, ancora una volta, come tante nella storia, centro di Rinascimento o meglio di Ri-nascita!
Alberto