martedì 13 maggio 2008

Israele 1948-2008

I dibattiti di questi giorni sulla Fiera del Libro di Torino ci hanno spinto nuovamente a riflettere sulla questione palestinese trascinando però, questa volta, al centro dell'attenzione il cuore stesso del problema: la nascita dello stato di Israele nel 1948.
Ora, negli anni ho sentito diverse ricostruzioni giornalistiche dei fatti, poi mi sono imbattuto negli illuminanti saggi dello storico israeliano Benny Morris, che è stato uno degli ospiti invitati quest'anno a Torino. E sia le ricostruzioni giornalistiche che i suoi saggi mi hanno confermato nella mia convinzione che (non in assoluto, ma proprio per come si è realizzata nella pratica) la costituzione dello stato di Israele sia stata una vera sciagura che ha causato decine di migliaia di morti, ha costituito un costante fattore di impedimento al dialogo tra occidente e mondo arabo, ha condannato un'intera area geografica a uno stato di conflitto permanente e, come ha ricordato Sergio Romano a Torino, proprio dibattendo con Benny Morris, ha ritardato il percorso verso la democrazia dei principali paesi arabi dell'area. Per questa serie di motivi mi sono trovato a solidarizzare con chi non festeggiava l'anniversario.
Mi piacerebbe molto sentire l'opinione di qualcuno che non la pensa come me.
Prima però vorrei riformulare la mia posizione: non è tanto la creazione dello stato di Israele in sé il problema, ovviamente, quanto la gestione della popolazione arabo-palestinese allora residente nell'attuale territorio di Israele.
La prima domanda è: "era materialmente possibile studiare una gestione "ragionevole" della popolazione arabo palestinese?" Per me la risposta è "no" e questo doveva fare propendere le diplomazie occidentali e i dirigenti sionisti a rinunciare al proprio progetto. Invece hanno tirato dritto e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
La seconda domanda è: "erano consapevoli i dirigenti sionisti e le diplomazie occidentali che era praticamente impossibile creare, se non a pena di immani sacrifici umani, uno stato ebraico in un'area dove solo 67 anni prima la popolazione era composta da '400.000 arabi musulmani, 13.000-20.000 ebrei e 42.000 cristiani' (cit. da Vittime, Benny Morris pag.14)?"
Per me la risposta è "sì", ne erano consapevoli e le prime duecento pagine di "Vittime" lo spiegano chiaramente. Vorrei andare avanti ma mi fermo qui in attesa di commenti.

9 commenti:

  1. cosa intendi Marco per "gesione ragionevole"? io concordo in pieno con te, e ciò che piu mi stupisce è che son stati pochi i commenti come il tuo.l'altra sera ho seguito su Rai3 a "primo piano" un confronto tra Colombo (che ho sempre stimato) e uno scrittore palestinese.venivano fatti da Colombo ragionamenti assurdi tralasciando i fatti,la storia degli ultimi 60 anni.nessuno che abbia avuto il coraggio di sottolineare che è evidente la differenza tra oppressi e oppressori.tutti a dire che Israele ha il diritto di vivere.ma nessuno ha fatto notare che questo "diritto" ha portato a un massacro del popolo palestinese.ora è troppo tardi per sistemare le cose.l'errore è stato compiuto 60 anni fa. e adesso le cose non si possono piu sistemare.la convivenza è impossibile e nulla mai cambierà finchè non sarà Israele a fare un passo indietro abbandonando i territori occupati. e questo non accadrà mai.

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  2. un'ultima cosa. adesso vedo ancor piu difficile una qualsiasi possibilità di pace perchè è gia difficile trovare un accordo tra Hamas e Fatah, figuriamoci tra governo palestinese e israeliano. prima si contavano i palestinesi morti per causa israeliana. ora si aggiungono i morti per regolamenti di conti tra le 2 fazioni.

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  3. Lo Stato d’Israele è un esempio da seguire ed un vanto per tutta quella parte del mondo che fa della libertà un elemento imprescindibile del proprio essere.

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  4. Bene anonimo, ma da 0 a 10 quanto sei soddisfatto della soluzione riservata da Israele nel 1948 alla popolazione arabo-palestinese residente nell'attuale territorio di Israele?

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  5. Con "gestione ragionevole" caro Mazzo, intendevo qualcosa che, una volta deciso di fondare uno stato ebraico, prospettasse qualcosa di diverso dalla segregazione o la deportazione (quando non qualcosa di peggio) per gli altri residenti (e residenti da generazioni) sullo stesso territorio.
    La palese assenza della possibilità di ipotizzare una "gestione ragionevole" della popolazione arabo-palestinese, avrebbe dovuto suggerire un abbandono dell'ipotesi della fondazione dello stato di Israele.

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  6. Marco, giuste o sbagliate le scelte del ì48, per me bisogna ora accettare lo status quo. L'auspicio è che si sradichi definitivamente l’ideologia di odio, violenza e morte generata dal rifiuto pregiudiziale all'esistenza dello stato ebraico e che finalmente Israele possa vivere in pace e sicurezza.
    Basta un po' di buona volontà da entrambe le parti.
    Ciao eq

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  7. caro eq in linea di massima la tua posizione è più che ragionevole, però nasconde un'insidia. cioè che dopo un certo numero di anni (quanti?) una (eventuale) ingiustizia debba essere accettata come un dato di fatto. il che implica, ad esempio, che se l'iraq avesse tenuto duro in kuwait altri 59 anni i kuwaitiani si sarebbero dovuti rassegnare. ovviamente si tratta di casi completamente diversi. ma ammesso (e non concesso) che il piano del 1948 fosse estremamente carente nella gestione della popolazione araba, mi sembra legittimo che i palestinesi siano tuttora inviperiti. del resto stiamo parlando di 60 anni, non centomila, tanto per dire mio zio aveva già 33 anni. per fare un altro esempio tra il congresso di vienna e la breccia di porta pia ci sono 55 anni e più di un secolo prima che trento e trieste diventassero italiane: non è che gli italiani nel corso del risorgimento abbiano "accettato lo status quo" (come proponi) lasciando parti del territorio con prevalenza di popolazione italiana agli austriaci, solo perché erano già passati un po' di anni, e perché un congresso internazionale gliele aveva assegnate.
    ma forse l'esempio migliore lo dà una parte della stessa popolazione ebraica che pervicacemente ha sognato per secoli di ritornare in palestina e infatti, da quello che posso capirne io, sembra essere la meno stupita di tutti dello scorno dei palestinesi, dai quali, infatti, cerca di difendersi coi muri, perché probabilmente, a parti invertite, opporrebbe la stessa resistenza.

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  8. Sono Kilpin (l'anonimo è l'unico modo che riesco a utilizzare: colpa mia: sono scarso ad utilizzare questi infernali pc).
    Per l'argomento in questione dico, giusto Arde, ciò che dici è cristallino. Quello che mi lascia sconcertato che non c'è mai, a livello internazionale, uno straccio di proposta realizzabile e condivisa. E soprattutto come dice l'amico del forum eq, deve esserci la volontà da entrambe le parti di trovare una soluzione equa. Ci arriveremo?
    Non sono più giovanissimo (ho l'età di Sergio...) e dubito di poter vedere la fine positiva della questione, spero per i nostri figli...

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  9. Vi scrivo un espisodio per farvi capire l'enorme differenza di cultura, di democrazia, di rispetto dei valori fra i 2 popoli. Samir Kuntar (l’infanticida druso libanese scarcerato da Israele sotto ricatto da parte della milizia sciita Hezbollah) sarà dotato di passaporto diplomatico palestinese.
    Inoltre volevo aggiungere, sempre circa lo scambio avvenuto, della dignità e dell'alta forza d'animo dei parenti dei 2 soldati.
    Anche per questi piccoli avvenimenti, ho la certezza di sapere da che parte stare.
    Antonella

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