mercoledì 14 maggio 2008

Un anno di Mag

Poco più di un anno fa, la mia amica Maria Antonietta (Mag) di Bologna mi raccontò la storia di un suo recente bizzarro viaggio a Parigi sulla scorta un progetto culturale che le era stato descritto sommariamente e al quale lei aveva comunque deciso di collaborare. Il concetto di lavoro precario e flessibile, in questo caso, non era che un pietoso eufemismo. Già "lavoro" era una parola grossa. Eppure il resoconto di quel viaggio meritava di essere scritto e la invitai a farlo. Era il febbraio del 2007. Verso la fine di settembre, dopo altri due viaggi a Parigi e un'estate calabra, Maria Antonietta ha iniziato a stendere il resoconto delle avventure del suo 2007. Da quel giorno per diversi mesi abbiamo passato parecchio tempo su Skype a dibattere su di un aggettivo da correggere o su due periodi da invertire. Va detto che Mag è si bolognese, ma di origine arbresh (albanese di Calabria) e il suo lessico e il suo periodare avevano lontani echi barbari ai quali non sapevo mai se oppormi o arrendermi. Alla fine ha visto la luce "Tre volte a Parigi e una in Calabria" un libro girovago ed eccentrico, le avventure di una precaria che non se la mena male. E visto che siamo gente moderna, Mag l'ha messo in vendita su lulu.com, qui.

martedì 13 maggio 2008

Marco Travaglio non è di sinistra

Oggi sono bastate ancora meno delle abituali quindici righe del fondo di Angelo Pianebianco a farmi girare le balle. "L'attacco televisivo di Marco Travaglio al presidente del Senato, Renato Schifani, va probabilmente interpretato come l'inizio di un conflitto interno alla sinistra" (Corriere della Sera, 13 maggio 2008).
Possiamo dirlo una volta per tutte che, anche se questa volta ha dichiarato di votare per l'Italia dei Valori, Marco Travaglio NON è di sinistra?
Marco Travaglio è solo, come me, forse più di me e certamente più autorevolmente di me, un fanatico delle regole. Le regole vengono prima della divisione sinistra-destra. Così come le regole del calcio vengono prima del tifo per Inter o Milan. Purtroppo in questo paese la bandiera del rispetto delle regole, negli ultimi anni, è stata più spesso tenuta in mano dalla sinistra. Peccato perché, pur essendo un punto "pre-politico", volendo proprio vedere, tradizionalmente dovrebbe essere la destra la parte più ossessionata dal rispetto delle regole, mentre a sinistra, oltre al filone statalista, è sempre stato presente un filone libertario ed egalitario meno vincolato a uno stretto rispetto delle regole, che sono talvolta viste come uno dei fattori di oppressione dello stato borghese verso le classi meno abbienti.
E tutto questo perché è avvenuto? Perché nella destra erano tanti e tali i problemi giudiziari di alcuni dei propri principali rappresentanti che da quella parte si è abdicato a uno dei temi che dovrebbe essere fondante in una destra classica: l'ossessione per le regole. Toh, proprio l'ossessione di Travaglio!
Ora poi la bandiera del rispetto delle regole è stata in parte diciamo così, messa tra parentesi, anche da gran parte della sinistra. Diciamo che è scesa di priorità. E compare sporadicamente in poche mani, Di Pietro, Travaglio...
Oh, che avesse davvero ragione Panebianco? Non lo so, il resto dell'articolo non l'ho letto.
Domanda finale: perché il "caso Watergate" ha preso il nome dal luogo, il "caso Lewinski" dalla "vittima", mentre il "caso Travaglio" dell'altra sera ha preso il nome di chi ha raccontato i fatti del senatore Schifani e non è stato chiamato, che so, caso Schifani, caso Fazio o caso Sempione?

Update del 18 maggio, come volevasi dimostrare: Il Travaglio della destra sono io (La stampa)

Israele 1948-2008

I dibattiti di questi giorni sulla Fiera del Libro di Torino ci hanno spinto nuovamente a riflettere sulla questione palestinese trascinando però, questa volta, al centro dell'attenzione il cuore stesso del problema: la nascita dello stato di Israele nel 1948.
Ora, negli anni ho sentito diverse ricostruzioni giornalistiche dei fatti, poi mi sono imbattuto negli illuminanti saggi dello storico israeliano Benny Morris, che è stato uno degli ospiti invitati quest'anno a Torino. E sia le ricostruzioni giornalistiche che i suoi saggi mi hanno confermato nella mia convinzione che (non in assoluto, ma proprio per come si è realizzata nella pratica) la costituzione dello stato di Israele sia stata una vera sciagura che ha causato decine di migliaia di morti, ha costituito un costante fattore di impedimento al dialogo tra occidente e mondo arabo, ha condannato un'intera area geografica a uno stato di conflitto permanente e, come ha ricordato Sergio Romano a Torino, proprio dibattendo con Benny Morris, ha ritardato il percorso verso la democrazia dei principali paesi arabi dell'area. Per questa serie di motivi mi sono trovato a solidarizzare con chi non festeggiava l'anniversario.
Mi piacerebbe molto sentire l'opinione di qualcuno che non la pensa come me.
Prima però vorrei riformulare la mia posizione: non è tanto la creazione dello stato di Israele in sé il problema, ovviamente, quanto la gestione della popolazione arabo-palestinese allora residente nell'attuale territorio di Israele.
La prima domanda è: "era materialmente possibile studiare una gestione "ragionevole" della popolazione arabo palestinese?" Per me la risposta è "no" e questo doveva fare propendere le diplomazie occidentali e i dirigenti sionisti a rinunciare al proprio progetto. Invece hanno tirato dritto e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
La seconda domanda è: "erano consapevoli i dirigenti sionisti e le diplomazie occidentali che era praticamente impossibile creare, se non a pena di immani sacrifici umani, uno stato ebraico in un'area dove solo 67 anni prima la popolazione era composta da '400.000 arabi musulmani, 13.000-20.000 ebrei e 42.000 cristiani' (cit. da Vittime, Benny Morris pag.14)?"
Per me la risposta è "sì", ne erano consapevoli e le prime duecento pagine di "Vittime" lo spiegano chiaramente. Vorrei andare avanti ma mi fermo qui in attesa di commenti.