mercoledì 30 gennaio 2019

Molto prima di Girardengo

La prima corsa ciclistica sul territorio italiano prese il via da Firenze, alle nove di mattina di mercoledì 2 febbraio 1870 (vedi David V. Herlihy, Bycicle: The History pag. 144)
Diciannove partecipanti per trentatré chilometri: quelli che separavano l'allora capitale del Regno d'Italia da Pistoia. Il vincitore, il sedicenne americano Rynner Van Host, li percorse in due ore e dodici minuti, in sella a una bicicletta francese le cui ruote avevano un diametro di ottacinque centimetri (ma in corsa ce n'erano anche di fattura italiana e con diametri fino a centocinque centimetri).

Nonostante il ciclismo agonistico fosse al debutto, la gara raccolse un notevole concorso di pubblico. Sono riuscito a trovare i due resoconti che La Nazione dedicò all'evento: quello del giorno successivo è un po' lacunoso, manca ad esempio il nome del vincitore, così la testata fiorentina ci torna su ancora due giorni dopo: venerdì 4 febbraio con molti più dettagli, dedicando gran parte di pagina 3 del quotidiano. Curiosamente, nello stesso giorno, viene riportata la notizia di una scommessa tra due sportivi relativa alla sfida di percorrere a piedi, esattamente lo stesso tracciato (Firenze-Pistoia sulla strada per Poggio a Caiano) in cinque ore. Ce l'avrà fatta il signor Roncaglia?
Leggiamo.

Da Cronaca della città - La Nazione, giovedì 3 febbraio 1870 - pag. 3
Ieri mattina un grandissimo numero di persone affrettava il passo fuori la Porta al Prato, e sollevava nembi di polvere sulla strada postale di Pistoia. I pedoni procedevano allegramente sui marciapiedi ai lati della strada, ficcando gli occhi curiosi nella lunga fila di carrozze che correva via verso il centro di San Jacopino, luogo designato alla riunione dei velocipedisti inscritti già da qualche giorno sull'albo del Veloce-Club di Firenze per concorrere ai premi assegnati ai vincitori d'una corsa di bicicli tra la nostra città e quella di Pistoia.
Attraverso gli sportelli delle vetture abbiamo scorto tutti i più allegri ed eleganti giovinotti del nostro Jockey Club, molte belle signore, e molti sportmen forestieri ed indigeni sempre pronti ad accorrere dove c'è uno spettacolo da godere... o una scommessa da arrischiare.
I cavalieri erano in buon numero e montavano superbi cavalli, fra i quali primo il bellissimo morello del marchese De' Piccolellis, o il baio del contino Bastogi.
Non poche le vetture scoperte attaccate a due cavalli che facevano risuonare l'aria dell'allegro tintinnare delle sonagliere e facevano chiaro il disegno di chi v'era dentro, disposto a seguitare gli arditi velocipedisti fino alla meta della corsa.
A pie' del Ponte alle Mosse i membri del Veloce-Club attendevano gl'inscritti, muniti del loro veicolo, innanzi ad una casetta su cui stata inalberato il pennone tricolore che segnava il punto di partenza.
Dei ventitrè concorrenti presentatisi fino ad ieri, diciannove soli hanno effettivamente preso parte alla corsa.
La folla era più spessa lungo í cancelli della magnifica villa di San Donato, alla scesa del Ponte, e specialmente innanzi all'ingresso d'onde era dato scorgere a destra ed a manca un lungo tratto della strada postale.
Dieci minuti innanzi che fosse dato il segnale della partenza le guardie di pubblica sicurezza sí presero cura di arrestare in fila a' due lati della via le numerose carrozze che andavano su e giù per quel luogo e la folla de' pedoni accorsi a godere dello spettacolo.
L'orologio di San Donato scoccava appena i suoi nove colpi quando í velocipedi scomparvero sull'alto del ponte. I bicicli divoravano la strada, confusi però in mezzo alla turba di carrozze che insieme con loro si avviava verso Pistoia.
I giovani che inforcavano la strana cavalcatura erano vestiti succintamente e portavano al braccio un nastro di due colori, distintivo acconcio a farli riconoscere dalle Commissioni del Veloce-Club sparse lungo la via che dovevan percorrere.
Le scommesse più forti s'impegnavano a favore d'un giovanetto americano che ci passò ratto dinanzi tutto intento ad affrettare il corso del suo veicolo, e ci parve giovanissimo, pallido, magrolino, ma svelto, disinvolto e leggiero e adattatissimo a tutte l'esigenze dell'equitare in arundine larga, qual'è appunto, o presso a poco, il moderno velocipede.
Tutti i concorrenti montavano il biciclo.
Vedemmo poco lungi un velocipede a tre ruote e munito di un seggiolo alla parte posteriore, ma non era di quelli che prendevano parte alla gara.
Ci vien detto che i velocipedisti giunsero in poco più di due ore alla meta del loro viaggio e qualcuno ancora articolò il nome dal primo arrivato.
Ma per tema d'incorrere in qualche inesattezza ci riserbiamo di dare domani esatta relazione delle vicende della corsa.
 Ma i dettagli mancanti vengono abbondantemente recuperati il giorno successivo:
Da Cronaca della città - La Nazione, venerdì 4 febbraio 1870 - pag. 3
CORSA DEI VELOCIPEDI.
La Corsa di velocipedi da Firenze a Pistoia ebbe luogo mercoledì come era stato annunziato. Il tempo fu favorevole, e una leggerissima pioggia caduta nelle prime ore della mattina aveva bagnato un poco la polvere della strada, ma non era stata tale da opporre col fango un ostacolo che avrebbe messo a dura prova i muscoli dei velocipedisti.
Si era parlato assai di questa Corsa, si diceva già che da Modena e da Pisa venivano concorrenti, e che il numero degli iscritti superava la trentina. Questo numero poi, come era da aspettarsi, diminuì: e mercoledì mattina una ventina soltanto di velocipedi era sulla strada di Pistoia al punto fissato per la partenza, al Ponte alle Mosse.
Moltissimi curiosi erano venuti a godere di questo nuovo spettacolo. Alcuni di loro, a cavallo o in barroccino si proponevano di seguire la corsa per vederne le varie vicende.
Era stata scelta la strada che passa dal Poggio a Caiano perchè più breve e meno frequentata. In alcuni punti stavano i delegati del Veloce-Club che dovevano vegliare al buon andamento della coma. Al Poggio a Calano tutti i concorrenti dovevano fermarsi a far vidimare il loro biglietto di ammissione.
Alle nove tutti i concorrenti erano al posto loro assegnato. La larghezza della strada non consentiva che fossero collocati tutti di fronte; erano perciò stati disposti su quattro linee con un intervallo di pochi metri fra l'una e l'altra. Dei brevi istanti che necessariamente dovevano decorrere fra le partenze delle varie squadriglie era tenuto conto perché la Commissione Giudicante potesse poi assegnare con piena giustizia i quattro premi stabiliti.
V'erano velocipedi di varie fabbriche e di fogge diverse; i più venuti di Francia, alcuni fatti in Italia. Il diametro delle ruote variava da ottantacinque centimetri a un metro e cinque.
I concorrenti erano tutti in sella. Molti di loro avendo dei veicoli troppo alti per toccar terra col piede, se li facevano sostenere da qualche spettatore benevolo. Altri che avevano avuto la fortuna o l'arte di collocarsi presso il marciapiede puntavano su quello con il piede sinistro. Tutti colle mani sulle impugnature, col piede destro ben piantato sopra il pedale e pronto a dar l'impulso, aspettavano il cenno.
Pochi minuti dopo le 9 suonò la tromba e la prima squadriglia si mosse, seguita quasi immediatamente dalla seconda, dalla terza, della quale facevano parte i più valenti, e dall'ultima. Non tutte le partenze furono felici; qualcuno fu visto colla gamba destra sulla sella e il piede sinistro in terra tentare con vario successo di prendere l'assetto definitivo, ma fu un momento; tutti o per virtù propria o per soccorso altrui vi riuscirono, e mossero rapidamente alla volta di Pistoia.
Mezz'ora dopo partiva da Firenze nella stessa direzione il treno ordinario, portando molti dei componenti il Veloce Club, alcuni altri velocipedisti che meno fiduciosi delle proprie forze, o più amanti del comodo loro, avevano trovato preferibile quel mezzo di trasporto, e molti curiosi che si recavano a Pistoia per vedere l'arrivo.
Il termine della corsa era stato fissato a un quarto di miglio circa dalla porta della città, in faccia a un palazzetto posto gentilmente dal proprietario a disposizione del Veloce-Club, dove stavano i giudici e dove era preparato quanto potesse occorrere ai velocipedisti al loro arrivo.
Un numero immenso di curiosi occupava la strada, si stendeva per un lungo tratto di quella verso Firenze, si arrampicava ai muri e agli alberi per meglio vedere. Molte signore stavano nelle loro carrozze ferme sui lati della via. Dinanzi alla casa era schierata una banda musicale, e la folla era così compatta che i membri del Veloce-Club non ottennero senza fatica un po' di largo, tanto da permettere ai velocipedisti di arrivare fino alla meta senza rallentare la loro andatura.
Erano scorse due ore e dieci minuti dopo la partenza. Già cominciavano a sapersi, da qualcuno arrivato in legno o a cavallo, i nomi di quelli che erano più avanti e chi era pratico del nuovo e tanto combattuto veicolo, prevedeva già prossimo l'arrivo dei primi. A un tratto gli spettatori che stavano in vedetta su per i muri, cominciarono a gridare: Eccolo! eccolo! e poco dopo tutti poterono scorgere da lontano, poco sopra all'ondeggiar delle teste un cappello ornato del distintivo dal Veloce Club che si avanzava senza scosse e con quell'andatura piana e uniforme che distingue il velocipede.
Era il signor Van Hest Rynner, giovinetto Americano, ben noto a quanti frequentano le Cascine sul mezzogiorno, per la straordinaria maestria colla quale si serve del velocipede. Si avanzava assai lentamente e appariva spossato; ma nessuno degli altri si vedeva ancora, ed egli giungeva alla meta in due ore e dodici minuti. Gli amici, i conoscenti che si trovavano sulla strada lo acclamarono, e tutta quella massa di spettatori meravigliata di veder vincere una corsa così lunga a un giovinetto che non mostra di avere più di quindici o sedici anni, proruppe in una salva di applausi unanime e prolungata. Egli montava un velocipede della fabbrica Michaux di Parigi. I cerchioni erano fasciati di caoutchoue, ma la ruota maggiore aveva soltanto ottantacinque centimetri di diametro; era forse la più piccola di tutte.
Quella ruota aveva dovuto, per percorre trentatre chilometri, fare più di dodici mila giri, novanta per minuto, tenendo conto del tempo impiegato. Ed è da notare che ogni giro di ruota suppone la spinta successiva delle due gambe.
Si seppe poi che il signor Van Hest si era spinto avanti a tutti fin da principio, ed era riuscito a conservare sempre il suo posto.
Era appena sceso, che un nuovo grido segnalava l'arrivo di altri. Questi si vedevano da lontano dominar la folla di tutta la testa. Il primo era il signor Augusto Charles montato sopra un velocipede della Compagnie Parisienne, con una ruota di un metro di diametro: il secondo era il signor Alessandro de Sariette e montava un velocipede costrutto a Firenze, la cui ruota aveva un diametro di un metro e cinque centimetri.
Erano a distanza di pochi metri l'uno dall'altro. Giovani alti e robusti ambedue apparivano piuttosto riscaldati che stanchi, e venivano molto rapidamente continuando fino all'ultimo momento la gara.
Erano seguiti a poca distanza dal signor Edoardo Ancillotti, venuto da Pisa per prender parte alla corsa. Il suo velocipede era di fabbrica francese e il diametro della ruota era di un metro. Anche questi tre ebbero la loro parte di applausi.
Dieci minuti dopo arrivava il quinto. Era il signor Gustavo Langlade presidente del Veloce-Club. Egli aveva risparmiato le sue forze, e non mostrava segno di fatica. Seguirono poi gli altri quasi tutti prima che fossero scorse tre ore dopo la partenza. I più di loro, perduta la speranza di vincere, avevano preso un'andatura moderata e non si erano inutilmente stancati. Nessuna disgrazia avvenne. Uno solo giunto a poca distanza da Pistoia cadde, e si fece alcune leggiere contusioni che però lo indussero a seguitare il viaggio in carrozza. Gli altri arrivarono tutti felicemente e tre ore e trentanove minuti fu il limite massimo del tempo impiegato a percorrere l'intero cammino prescritto.
Intanto i quattro vincitori, preceduti dalla banda e seguiti dalla folla, erano entrati trionfalmente in città montati sui loro velocipedi, ed erano andati a fermarsi alla trattoria del Globo.
Sul conferimento del primo e del secondo premio non v'era questione. Per il terzo, sostennero alcuni che potesse pretenderci anche il signor Ancillotti, il quale era stato collocato per la partenza in quarta fila. La Commissione giudicante doveva riunirsi ieri sera per pronunziare definitivamente.
È da notarsi che i quattro vincitori erano arrivati i primi anche al Poggio a Caiano, e vi erano arrivati nello stesso ordine quantunque tre di loro si passassero e ripassassero più volte a vicenda prima di raggiungere la meta.
La popolazione di Pistoia fu in moto e in festa tutto il giorno, e tutti i velocipedisti furono accolti con mille cordiali profferte di ospitalità. Verso sera varii velocipedi percorrevano la città seguiti da torme di ragazzi che accomodandone a modo loro il nome, li chiamavano luciferi... Più tardi un vagone da merci raccoglieva gli strumenti della gara, e i concorrenti e í curiosi se ne tornarono donde erano venuti, i primi ragionando delle varie vicende della lotta e delle cause infinite che avevano potuto ritardare il loro cammino, gli altri contenti di aver passato un'allegra giornata, e grati a chi n'era stato cagione.
Non sappiamo se l'idea di sfidare a piedi lo stesso percorso sia venuta al signor Roncaglia in seguito alla corsa ciclistica. E il cronista de La Nazione non ce lo dice. Fatto sta che su questo tracciato si gioca ben duemila lire (per dire: una copia de La Nazione costava 10 centesimi)
CRONACA DELLA CITTÀ.
Altro che velocipede!... Siamo addirittura agli uomini dal piè veloce, agli Achilli del secolo decimonono... si rinnovano i miracoli d'Atalanta, o lasciando da parte la favola e la mitologia si ripetono a Firenze le meravigliose prove di que' celebri camminatori americani da' garetti d'acciaio, che empirono or non ha molto del loro nome tutti i giornali della grande repubblica.
Il signor Roncaglia, membro del nostro Jockey-Club, si sentì giorni sono così forte in gambe da scommettere che sarebbe andato in cinque ore e senza mai fermarsi da Firenze a Pistoia per la via del Poggio a Caiano.
La scommessa fu tenuta dal signor Sebastiano Martini-Bernardi, uno degli sports-men più emeriti ed eleganti della capitale, che depositò le sue brave duemila lire, e scelse a giudici il conte Spina dí Rimini, e il signor Otley di Firenze.
Martedì a mezzogiorno in punto, il signor Roncaglia partì tranquillamente dalla Porta al Prato, seguito a poca distanza da due carrozze in una delle quali sedevano i due giudici, e nell'altra lo stesso signor Martini.
Trentatre chilometri di strada sono un bel tratto in verità, e non pareva possibile che in cinque ore alcuno riuscisse a percorrerli a piedi nè erano pochi coloro che avrebbero volentieri tenuto le parti del signor Martini.
Infatti sul principiar della prova, tenuto conto dei primi chilometri percorsi in un dato spazio di tempo, si pronosticava che l'ardito camminatore sarebbe venuto meno al difficile compito, e le sue duemila lire correvano gravissimo rischio. Ma grado a grado, e chilometro a chilometro l'esercizio sembrava sciogliere e rafforzare i muscoli del signor Roncaglia, che cominciò ad affrettare il passo, a precorrere le carrozze, a divorare la via, tanto che giunto presso alla mèta del suo viaggio potè rallentare la corsa, e passeggiarsi quasi a diporto gli ultimi tre o quattro chilometri presso Pistoia.
Le cinque pomeridiane non erano ancora scoccate, e il vincitore entrava da Porta Fiorentina nella città del Leoncino. Le duemila lire del signor Martini erano definitivamente perdute!...