giovedì 10 aprile 2014

Siamo informatici o caporali?

Claudio, un imprenditore del settore informatico, mi ha contattato per segnalarmi un problema. Nonostante i miei 13 anni di IBM, gli ultimi dei quali passati in HR (le Risorse Umane) e in particolare (anche) nel recruitment (la Selezione del Personale) di questa storia conoscevo poco o nulla. E non sono ancora riuscito a farmi un'opinione. La sottopongo al giudizio dei miei lettori. Ma per farmi spiegare bene la vicenda ho deciso di intervistare Claudio. Nella prime parti dell'intervista ho aggiunto un po' di link utili per i riferimenti legge.

Ardemagni: Se ho capito bene il problema è che da qualche tempo è entrata in vigore una legge, nata per contrastare il fenomeno del caporalato, ma che sta avendo un indesiderato impatto nel settore della consulenza informatica. È corretto?
Claudio: Sì: mi riferisco all'articolo 12 del Decreto Legge del 13 agosto 2011, n° 138, convertito poi in legge nella manovra aggiuntiva il 14 settembre 2011 che introduce il nuovo reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Volto a combattere le sinistre figure del “caporale” nel settore agricolo e del “capo-cottimo” in quello edile, questa legge rischia di mettere in crisi l’intero settore della consulenza informatica, che offre spesso servizi in outsourcing.

Un DL voluto dal governo Berlusconi, ma che ha raccolto pochi emendamenti nel dibattito parlamentare. Ho visto che anche il PD aveva presentato un disegno di legge sullo stesso tema poche settimane prima. Ma andiamo per gradi. Cosa succede nel dettaglio nella pratica di tutti i giorni?
Oggi nel settore informatico sono poche le aziende che partecipano a gare e seguono progetti e le poche danno spesso in subappalto gran parte delle attività di sviluppo software.

Cerchiamo di descrivere meglio chi sono gli attori principali di questa prassi. 
È fondamentale comprendere questo passaggio. Ci sono quattro attori principali: 
1) c'è il committente, ovvero la società appaltante, che può operare in qualsiasi settore, ad esempio la Bibite Rossignoli, che indice, appunto, una gara d'appalto per dei servizi di cui ha bisogno; 2) il secondo attore è proprio il vincitore della gara d'appalto: tipicamente si tratta una grande società di consulenza direzionale e strategica di progettazione di sistemi informatici “chiavi in mano”, chiamiamola Consul 2014; 3) il terzo attore invece è la cosiddetta software house che riceve una commessa dalla Consul 2014 in subappalto,  in alcuni casi dichiarato (lo si rende evidente al committente) ed in altri no (sempre che le regole della gara non lo vietano esplicitamente). La mia azienda è una di queste, chiamiamola Claudio Software House. 4) E infine c'è il quarto attore, che è il collaboratore della software house: può essere un sistemista, un programmatore, un tecnico-informatico. Il committente, la Bibite Rossignoli, seleziona e sceglie i singoli collaboratori che la software house gli propone sulla base di un curriculum vitae ed una tariffa giornaliera da concordare e che spesso andranno a lavorare direttamente nella sede del committente.

Riesci a descrivermi meglio il terzo attore, le software house?
Si tratta quasi sempre di imprese di piccole dimensioni: società che si occupano dello sviluppo e personalizzazione di software applicativo, società di gestione banche dati e portali web, società che erogano servizi di outsourcing informatico (gestione del parco informatico del cliente, noleggio hardware, gestione delle configurazioni del software e attività sistemistiche in genere).

E perché non si prendono direttamente l'intero subappalto? 
Spesso una di queste piccole imprese, in teoria, sarebbe perfettamente in grado di erogare direttamente tutti i servizi professionali tipicamente forniti dalla grande società di consulenza, ma non ha la forza commerciale ed i requisiti (in termini di fatturato degli ultimi anni, numero minimo di addetti impegnati, sufficienti referenze, eccetera) per partecipare alle grandi gare di appalto.

Ma, visto che mandano dei propri collaboratori a lavorare presso il committente, possiamo definirle ancora software house, o piccole società di consulenza informatica oppure operano di fatto come società di ricerca del personale? In che cosa si differenziano dalle società di lavoro interinale?

Stiamo sempre parlando di servizi dati in subappalto dalla grossa società di consulenza alla piccola azienda (ovvero alla software house), ma già qui si incontra il primo problema: in quanto il piccolo imprenditore, ad esempio io, per non incappare nelle sanzioni, devo essere in grado di dimostrare di essere io a dirigere i miei collaboratori senza che il committente, nel nostro esempio la Bibite Rossignoli, possa interferire nelle modalità concrete di svolgimento del lavoro stesso. Ma nella prassi della vita reale una software house spesso impegna le proprie risorse umane presso la sede del committente, e queste si troveranno poi naturalmente a dover interagire con il committente sui progetti in corso. 

In molti casi, specie nei progetti informatici, immagino che sia difficile stabilire un confine.

Esatto. Se facesse lavorare un proprio collaboratore direttamente nella linea di imbottigliamento della Bevande Rossignoli la software house sarebbe chiaramente in fallo. Ma nel caso dell'informatica è molto difficile stabilire se si è in errore.
Considera che spesso i collaboratori delle software house debbono per forza di cose non solo operare presso il committente, ma persino ad utilizzare computer del committente, perché altri dispositivi, per ragioni di sicurezza, non sono autorizzati a collegarsi alla rete aziendale.

Quindi queste piccole società, le software house sono più agili e flessibili nel selezionare e assumere questi collaboratori rispetto alle grandi società di consulenza. Corretto?
È corretto, hanno un processo di recruiting molto efficiente perché sanno di cosa hanno bisogno, sono in grado di valutare i candidati ed hanno progetti su cui inserirli per erogare formazione On the Job. Questo significa offrire opportunità anche ai neolaureati e a coloro che si avvicinano al mondo del lavoro senza una professionalità ben definita. Queste società investono sulle risorse, le affiancano a colleghi più esperti, completano il loro curriculum di esperienze e le formano, assorbendo i costi anche quando non c’è lavoro pur di non perdere un collaboratore affidabile e competente. Questo anche per sottolineare che non sono affatto società che si limitano a “passare il personale”.

Perché le grandi società non riescono a muoversi con altrettanta agilità con i propri reparti di recruitment? È perché non si fidano ad utilizzare contratti atipici (e allora perché le piccole società lo fanno)? Oppure hanno semplicemente minori capacità di selezione del personale? Oppure ancora perché le grandi società sono rallentate da tutta una serie di procedure interne di controllo?
La risposta è semplice ed è all’origine del fenomeno dell'outsourcing; le grandi società con l’esternalizzazione scaricano tutti i rischi sull'imprenditore/subappaltatore: nel nostro esempio gli amministratori della Claudio Software House. Quelli che fanno il mio mestiere.

Quindi, riepilogando?
Quelli che fanno il mio lavoro vengono ultimamente accusati dall'INPS di “appalto non genuino” il che configura un’ipotesi di intermediazione abusiva ovvero illecita di manodopera, con tutte le conseguenze a questo connesse. Non siamo caporali.

Perché l'INPS sbaglia, secondo te, nel considerare questa attività sovrapponibile a quella dei caporali e a perseguire questi casi in virtù di quella? In cosa si differenzia il tuo lavoro da quello di un caporale.

Perché in questo caso non vi è sfruttamento e non si approfitta di uno stato di bisogno.
E poi perché non valuta che non ci limitiamo a “passare” il nostro collaboratore al committente. Ci sono da considerare tutti gli aspetti di selezione, di formazione successiva e di coordinamento che svolgiamo. Inoltre i nostri collaboratori, per quanto dislocati presso la sede del committente e pur lavorando con mezzi messi a disposizione dal committenti, non sono soggetti al potere direttivo e di controllo del Committente o di un suo dipendente e non possono quindi essere allontanati né sanzionati dal Committente. È questo fatto che siamo noi a svolgere l’esercizio del potere direttivo e organizzativo sui nostri collaboratori, nonché il fatto che i lavoratori siano riconoscibili come nostri lavoratori (della software house subappaltatrice) che costituiscono due degli elementi più qualificanti per identificare contratti di appalto leciti, contratti di appalto genuini. Il contratto di appalto è infatti un contratto di risultato, disciplinato principalmente dal combinato disposto degli artt. 1655 e ss del codice civile e dall’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 e si presenta primariamente secondo due macro-modelli: a) l’appalto d’opera e b) l’appalto di servizi. Nei casi in oggetto facciamo riferimento all’appalto di servizi extra-aziendali, ovvero quei servizi che vengono espletati nella sede propria del committente.

Nella foto: veduta di Mantova

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