Claudio, un imprenditore del settore informatico, mi ha contattato per segnalarmi un problema. Nonostante i miei 13 anni di IBM, gli ultimi dei quali passati in HR (le Risorse Umane) e in particolare (anche) nel recruitment (la Selezione del Personale) di questa storia conoscevo poco o nulla. E non sono ancora riuscito a farmi un'opinione. La sottopongo al giudizio dei miei lettori. Ma per farmi spiegare bene la vicenda ho deciso di intervistare Claudio. Nella prime parti dell'intervista ho aggiunto un po' di link utili per i riferimenti legge.
Ardemagni: Se ho capito bene il problema è che da qualche tempo è entrata in vigore una legge, nata per contrastare il fenomeno del caporalato, ma che sta avendo un indesiderato impatto nel settore della consulenza informatica. È corretto?
Ardemagni: Se ho capito bene il problema è che da qualche tempo è entrata in vigore una legge, nata per contrastare il fenomeno del caporalato, ma che sta avendo un indesiderato impatto nel settore della consulenza informatica. È corretto?
Claudio: Sì: mi riferisco all'articolo 12 del Decreto Legge del 13 agosto 2011, n° 138, convertito poi in legge nella manovra aggiuntiva il 14 settembre 2011 che introduce il nuovo reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Volto a combattere le
sinistre figure del “caporale” nel settore agricolo e del
“capo-cottimo” in quello edile, questa legge rischia di mettere
in crisi l’intero settore della consulenza informatica, che offre
spesso servizi in outsourcing.
Un DL voluto dal governo Berlusconi, ma che ha raccolto pochi emendamenti nel dibattito parlamentare. Ho visto che anche il PD aveva presentato un disegno di legge sullo stesso tema poche settimane prima. Ma andiamo per gradi. Cosa succede nel
dettaglio nella pratica di tutti i giorni?
Oggi nel settore informatico sono poche
le aziende che partecipano a gare e seguono progetti e le poche danno
spesso in subappalto gran parte delle attività di sviluppo software.
Cerchiamo di descrivere meglio chi
sono gli attori principali di questa prassi.
È fondamentale
comprendere questo passaggio. Ci sono quattro attori principali:
1)
c'è il committente, ovvero la società appaltante, che può
operare in qualsiasi settore, ad esempio la Bibite Rossignoli, che
indice, appunto, una gara d'appalto per dei servizi di cui ha bisogno; 2) il secondo attore è proprio
il vincitore della gara d'appalto: tipicamente si tratta una grande
società di consulenza direzionale e strategica di
progettazione di sistemi informatici “chiavi in mano”,
chiamiamola Consul 2014; 3) il terzo attore invece è la cosiddetta
software house che riceve una commessa dalla Consul
2014 in subappalto, in alcuni casi dichiarato (lo si rende evidente al committente) ed in altri no (sempre che le regole della gara non lo vietano esplicitamente). La mia azienda è una di queste, chiamiamola Claudio Software House.
4) E infine c'è il quarto attore, che è il collaboratore
della software house: può essere un sistemista, un
programmatore, un tecnico-informatico. Il committente, la Bibite
Rossignoli, seleziona e sceglie i singoli collaboratori che la
software house gli propone sulla base di un curriculum vitae ed una
tariffa giornaliera da concordare e che spesso andranno a lavorare
direttamente nella sede del committente.
Riesci a descrivermi meglio il terzo attore,
le software house?
Si tratta quasi sempre di imprese di
piccole dimensioni: società che si occupano dello sviluppo e
personalizzazione di software applicativo, società di gestione
banche dati e portali web, società che erogano servizi di
outsourcing informatico (gestione del parco informatico del cliente,
noleggio hardware, gestione delle configurazioni del software e
attività sistemistiche in genere).
E perché non si prendono
direttamente l'intero subappalto?
Spesso una di queste
piccole imprese, in teoria, sarebbe perfettamente in grado di erogare
direttamente tutti i servizi professionali tipicamente forniti dalla
grande società di consulenza, ma non ha la forza commerciale ed i
requisiti (in termini di fatturato degli ultimi anni, numero minimo
di addetti impegnati, sufficienti referenze, eccetera) per
partecipare alle grandi gare di appalto.
Ma, visto che mandano dei propri collaboratori a lavorare presso il committente, possiamo definirle ancora software house, o piccole società di consulenza informatica oppure operano di fatto come società di ricerca del personale? In che cosa si differenziano dalle società di lavoro interinale?
Ma, visto che mandano dei propri collaboratori a lavorare presso il committente, possiamo definirle ancora software house, o piccole società di consulenza informatica oppure operano di fatto come società di ricerca del personale? In che cosa si differenziano dalle società di lavoro interinale?
Stiamo sempre parlando di servizi dati
in subappalto dalla grossa società di consulenza alla piccola
azienda (ovvero alla software house), ma già qui si incontra
il primo problema: in quanto il piccolo imprenditore, ad esempio io,
per non incappare nelle sanzioni, devo essere in grado di dimostrare
di essere io a dirigere i miei collaboratori senza che il
committente, nel nostro esempio la Bibite Rossignoli, possa
interferire nelle modalità concrete di svolgimento del lavoro
stesso. Ma nella prassi della vita reale una software house
spesso impegna le proprie risorse umane presso la sede del
committente, e queste si troveranno poi naturalmente a dover
interagire con il committente sui progetti in corso.
Esatto. Se facesse lavorare un
proprio collaboratore direttamente nella linea di imbottigliamento
della Bevande Rossignoli la software house sarebbe chiaramente
in fallo. Ma nel caso dell'informatica è molto difficile stabilire
se si è in errore.
Considera che spesso i collaboratori delle
software house debbono per forza di cose non solo operare presso il
committente, ma persino ad utilizzare computer del committente,
perché altri dispositivi, per ragioni di sicurezza, non sono
autorizzati a collegarsi alla rete aziendale.
Quindi queste piccole società, le
software house sono più agili e flessibili nel
selezionare e assumere questi collaboratori rispetto alle grandi
società di consulenza. Corretto?
È corretto, hanno un processo di
recruiting molto efficiente perché sanno di cosa hanno bisogno, sono
in grado di valutare i candidati ed hanno progetti su cui inserirli
per erogare formazione On the Job. Questo significa offrire
opportunità anche ai neolaureati e a coloro che si avvicinano al
mondo del lavoro senza una professionalità ben definita. Queste
società investono sulle risorse, le affiancano a colleghi più
esperti, completano il loro curriculum di esperienze e le formano,
assorbendo i costi anche quando non c’è lavoro pur di non perdere
un collaboratore affidabile e competente. Questo anche per
sottolineare che non sono affatto società che si limitano a “passare
il personale”.
Perché le grandi
società non riescono a muoversi con altrettanta agilità con i
propri reparti di recruitment? È perché non si fidano ad utilizzare
contratti atipici (e allora perché le piccole società lo fanno)?
Oppure hanno semplicemente minori capacità di selezione del
personale? Oppure ancora perché le grandi società sono rallentate
da tutta una serie di procedure interne di controllo?
La risposta è semplice ed è
all’origine del fenomeno dell'outsourcing; le grandi società con
l’esternalizzazione scaricano tutti i rischi
sull'imprenditore/subappaltatore: nel nostro esempio gli
amministratori della Claudio Software House. Quelli che fanno il mio
mestiere.
Quindi, riepilogando?
Quelli che fanno il mio lavoro vengono
ultimamente accusati dall'INPS di “appalto non genuino” il che
configura un’ipotesi di intermediazione abusiva ovvero illecita di
manodopera, con tutte le conseguenze a questo connesse. Non siamo
caporali.
Perché in questo caso non vi è
sfruttamento e non si approfitta di uno stato di bisogno.
E poi
perché non valuta che non ci limitiamo a “passare” il nostro
collaboratore al committente. Ci sono da considerare tutti gli
aspetti di selezione, di formazione successiva e di coordinamento che
svolgiamo. Inoltre i nostri collaboratori, per quanto dislocati
presso la sede del committente e pur lavorando con mezzi messi a
disposizione dal committenti, non sono soggetti al potere direttivo e
di controllo del Committente o di un suo dipendente e non possono
quindi essere allontanati né sanzionati dal Committente. È questo fatto che siamo noi a svolgere l’esercizio del potere
direttivo e organizzativo sui nostri collaboratori, nonché il fatto
che i lavoratori siano riconoscibili come nostri lavoratori (della
software house subappaltatrice) che costituiscono due degli elementi più qualificanti per identificare
contratti di appalto leciti, contratti di appalto genuini. Il contratto di appalto è infatti un
contratto di risultato, disciplinato principalmente dal combinato
disposto degli artt. 1655 e ss del codice civile e dall’art. 29 del
D.Lgs. n. 276/2003 e si presenta primariamente secondo due
macro-modelli: a) l’appalto d’opera e b) l’appalto di servizi.
Nei casi in oggetto facciamo riferimento all’appalto di servizi
extra-aziendali, ovvero quei servizi che vengono espletati nella sede
propria del committente.
Nella foto: veduta di Mantova
Nella foto: veduta di Mantova
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