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sabato 14 giugno 2014

Ancora Finlandia - (Bagnai reloaded quarta parte).


Finlandia. Anche se non si è qualificata per i Mondiali di calcio, la Finlandia occupa ancora i miei pensieri. Visto che questo è già il quarto post sul tema Euro, chiedo agli appassionati di andarsi a vedere i tre (1, 2, 3) precedenti e in particolare l'ultimo in cui si apriva il discorso sulla Finlandia.

Comparazioni. Considerato che io di economia capisco veramente poco, ho preso in simpatia la Finlandia (anche se Bagnai la chiama, non del tutto ingiustificatamente, "il paese delle zanzare") soprattutto per un motivo: perché tra le nazioni dell'Eurozona è quella che ha nei propri paraggi alcuni altri Paesi (i Paesi scandinavi) con geografie, dimensioni e culture (tranne la lingua) abbastanza simili, ma che o 1) sono rimasti fuori dalla UE (Norvegia, Islanda); o 2) sono nella UE, ma non nell'Eurozona (Svezia, Danimarca). Mentre la stessa Finlandia è sia nella UE sia nell'Eurozona. Il che ci dovrebbe permettere, almeno teoricamente, di fare delle comparazioni decenti.

QED. Un paio di frequentatori del blog di Alberto Bagnai mi hanno segnalato, via twitter, un articolo (della serie QED) del professore che, espandendo alcune pagine del suo Il tramonto dell'Euro, lo scorso gennaio analizzava più in dettaglio, guarda un po', proprio il caso finlandese. Mi hanno detto, grosso modo: "Ardemagni prima di parlare a vanvera di Finlandia, vatti a vedere quell'articolo". (Nella foto a destra l'autore del post poco dopo il rinvenimento di un Boletus Edulis, volgarmente detto Porcino).

Fuori discussione. Prima di tuffarci nella analisi del post, visto che mi arrivano critiche di vario tipo dai frequentatori del blog di cui sopra, (tra cui quella di amante dell'aneddotica da cui cercherò di difendermi con questo post) ecco alcune cose che accetto tranquillamente e che vorrei pertanto "togliere" dal dibattito in quanto non più oggetto di disputa: 1) concordo che l'Unione Europea, e la moneta unica in particolare, non sono tutte rose e fiori come una certa stampa e una certa politica ci hanno fatto credere per anni; 2) il fatto di poter svalutare quando serve, o più in generale avere una propria sovranità monetaria, rispetto a sottostare alla BCE, comporta anche (e sottolineo anche) dei vantaggi (qui non ci interessa valutare quanto profondi e permanenti) che noi abbiamo perso adottando l'Euro; 3) anche la Finlandia non è il paradiso in terra, e fondamentalmente la Finlandia non m'interessa più di tanto se non per farci dei ragionamenti sopra e per vedere se e quali danni ha fatto l'Euro in quella nazione; 4) io non sono pregiudizialmente contrario all'intervento pubblico, anzi in certi ambiti è assolutamente indispensabile (tipo infrastrutture molto costose, difesa, istruzione, eccetera). Ho voluto aggiungere anche questo quarto e ultimo punto anche se non è strettamente correlato all'Euro perché mi arrivavano osservazioni anche in questo senso. Ovviamente sono contro l'eccesso di spesa pubblica (e nel nostro paese siamo ben oltre il limite) e sono contro lo spreco di risorse pubbliche. Quindi per favore non torniamo a dibattere su questi quattro punti.

Permanenti perplessità. Ovviamente sullo sfondo ci sono sempre le mie perplessità di base. Se è ormai attestato che l'Euro non è tutto "rose e fiori", sarà anche così vero che l'Euro è precisamente Belzebù? O, per dirla un po' più lineare, non è che Bagnai (e Giordano e Borghi ecc). stiano sovrappesando il fattore-Euro rispetto a una ventina di altri fattori (rimando agli altri post) che possono spiegare meglio la nascita e lo sviluppo della crisi in Italia e/o nell'Eurozona e che andrebbero fronteggiati con priorità più alta rispetto al prendere in considerazione l'uscita dall'Euro? E ancora: non è che, anche psicologicamente, alcuni stiano ricadendo nell'antico errore di trovare un facile capro espiatorio "esterno"?  Questi dubbi irrisolti (anche se una risposta provvisoria me la sono data) restano per me fondamentali e sono quelli che mi spingono a riflettere (e a cercare) oltre.

Il debito estero. Veniamo ora alla Finlandia e al testo di Bagnai che mi è stato suggerito come risposta implicita al mio precedente post. Dico subito che per ora non tratterò tutti gli aspetti, ma partirò dal punto fondamentale: il debito estero.

Andiamo alle ultime righe del post di Bagnai. Qui ci viene ricordato molto chiaramente che già dal 2010 il Professore ci aveva segnalato, sul Centro di Pescara, che "la variabile più importante per monitorare lo stato di salute di un paese è il suo indebitamento estero" (il grassetto è mio).

Tornando su alle prime righe dell'articolo troviamo un estratto de Il tramonto dell'Euro (a partire da pagina 29 nella versione cartacea in mio possesso) in cui viene espresso lo stesso concetto. Per essere ancora più chiaro, e ribadire ancora meglio il punto, Bagnai avrebbe potuto estrarre la citazione dal proprio libro partendo da un paio di pagine prima. Anche lì sul libro, infatti, Bagnai ci invita a non concentrarci troppo sul debito pubblico e a focalizzarci su quello estero. Ad esempio a pagina 27, cercando di smontare alcuni luoghi comuni come "La crisi è causata dal debito pubblico", egli scrive: "I dati non dicono questo. Certo il debito pubblico italiano è relativamente elevato in rapporto al PIL, ed è chiaro che ciò vincola l'azione della politica fiscale. Ma prima dell'Italia sono stati colpiti dalla crisi Paesi con debito pubblico molto piccolo (come la Spagna e l'Irlanda)...".

Quindi il debito pubblico non è il problema dei problemi. E allora qual è un indicatore significativo? Ce lo ribadisce ulteriormente poco più sotto: "I Paesi più fragili, cioè, non erano quelli con maggior debito pubblico, ma con maggior debito estero (pubblico e soprattutto privato)". Il fattore chiave è il debito estero.

E arrivando a pagina 29, Figura 2, ci mostra una tabella del FMI 2010 (ma i dati si riferiscono al 2007) con la Posizione finanziaria netta/PIL di undici nazioni. Si tratta della stessa tabella riprodotta in testa all'articolo, in cui si evidenzia che solo Belgio e Germania sono "creditori netti", mentre "la Finlandia viene a trovarsi in mezzo al gregge delle pecore nere"". Insomma: occhio al debito pubblico e soprattutto privato verso l'estero. Solo Belgio e Germania sono messi bene da quel punto di vista.

Da quella tabella Bagnai parte per dire: ragazzi noi non siamo affatto sorpresi della crisi attuale della Finlandia. "La crisi non è arrivata in Finlandia. La Finlandia era già in crisi."

In altri termini: la Finlandia ha appena avuto due anni negativi (-1.0% e -1.4% nel PIL reale del 2012 e 2013, dati Eurostat) e cede i suoi gioielli, come la telefonia della Nokia a Microsoft (ricordiamo che la Nokia nel 2009 rappresentava ben il 1,6% del PIL finlandese) per colpa del suo debito estero. Un bel disastro, ma Bagnai dice che lo sapeva, che potevamo arrivarci a partire dai dati del 2007.

Riflettendoci meglio però mi salta all'occhio una cosa strana che non avevo notato leggendo il libro. Perché mai ci vengono mostrati i dati del 2007? Passi nel libro che è del 2012, e usa i dati FMI del 2010 riferiti al 2007. Ma l'articolo è del 2014. Perché troviamo ancora i dati di sette anni fa?

In che misura è possibile stabilire un nesso causale tra una posizione finanziaria netta piuttosto negativa nel 2007 (perché, come vedremo, è tale solo nel 2007) e una crisi di crescita nel 2012-13?

E allora sono andato a cercare i dati attuali e, già che c'ero, quelli storici. La "Posizione finanziaria netta" in inglese si chiama "Net International Investment Position" (NIIP). Non sono riuscito a trovarla né sul sito del FMI o dell'OECD (dove ci sono valanghe di altri dati analoghi o "linitrofi", ma non ho trovato questo) e nemmeno, in quanto tale, negli Stability Report semestrali del FMI (che pure contengono altri dati interessanti che potremmo discutere più avanti). Ho però trovato un riepilogo recente su Wikipedia (con moltissime fonti incluse), ma soprattutto ho trovato il migliore report in merito per l'Europa che è questa tabella dell'Eurostat che contiene non solo i dati del 2007 (quelli correttamente estrapolati da Bagnai), ma anche quelli a partire dal 1971 (ove disponibili) fino al 2013. Che pubblico qui sotto. Oltre agli undici paesi scelti da Bagnai ho aggiunto UK e Svezia (questa per contiguità geografica). Nella figura ho messo i dati solo dal 2002, perché i dati di alcune di nazioni non sono presenti dall'inizio. La Finlandia è la riga arancione che ho evidenziato rendendola più spessa. La colonna del 2007 rappresenta esattamente, con diversa grafica, la Figura 2 del libro di Bagnai, ma qui ci sono anche gli altri anni.



Sorpresa. Se accettiamo la posizione di Bagnai (vedi citazione a pag. 28 sopra riportata) che questo specifico parametro del NIIP sia così importante per valutare la "fragilità" di un'economia, beh, allora l'economia finlandese, oggi, dovrebbe essere una delle meno fragili d'Europa: la Posizione finanziaria netta finlandese è invidiabile. Si tratta della sesta (su un totale di 28) in Europa dietro Lussemburgo, Olanda, Germania, Belgio e Danimarca, ma davanti alla vicina Svezia. (Vicina ma fuori dall'Euro: e allora come mai fa peggio della Finlandia sia nel NIIP che nello spread sui bund tedeschi?). Per essere ancora più precisi la posizione della Finlandia è invidiabile non da oggi, ma dal 2008, ovvero, con Lapalisse, dall'anno seguente a quello mostrato nella tabella del 2007.

Prego infatti tutti di dare un'ulteriore occhiata: degli ultimi dieci anni, il 2007 (l'anno preso in considerazione da Bagnai) è l'anno peggiore per la Finlandia: è l'unico in cui scende sotto l'undicesimo posto tra i 28 Paesi dell'Eurozona (quell'anno fu addirittura quindicesima). Ma già a partire dal 2008 il debito estero finlandese quasi si azzera (ricordo che i dati sono di stock di debito/credito, ovvero quello accumulato negli anni, non il flusso specifico dell'anno in oggetto) per poi passare in positivo stabilmente a partire dal 2009. Ed in positivo è ancora oggi (dati 2013). Recentemente infatti (2009-2013) la Finlandia, per questo specifico parametro, è stata stabilmente tra il quinto e il settimo posto dei 28 paesi dell'Eurozona e tra i pochi Paesi sempre in positivo negli ultimi cinque rilevamenti. Cosa che - fra l'altro - non le era riuscita mai nella propria storia: era stata un paese sempre moderatamente debitore fin da quando i dati sono disponibili - 1975 - con numeri fondamentalmente stabili. I dati storici sono pubblicati nella tabella qui sotto.



Dopo una tradizione di moderato debito estero, si osserva una parentesi particolarmente negativa a partire dal 1990 in cui si verifica un aumento del debito verso l'estero/PIL, con un picco particolarmente negativo nel 1999. Ma da quel momento risale e nel 2003 torna ai valori tradizionali, per poi migliorare ulteriormente in maniera costante, tranne la caduta (quel piccolo avvallamento) del 2007 (in cui peraltro, all'interno di un trend positivo, si limitava a ricadere sui suoi tradizionali valori moderatamente negativi 1975-1990).

Quindi delle due l'una: o non è vero che quel parametro, di per sé, sia così importante in termini predittivi oppure dispiega i suoi effetti in tempi molto lunghi. E in ogni caso prendere il debito estero particolarmente negativo proprio del 2007 come base per considerazioni sulla crisi attuale Finlandia mi sembra particolarmente fuorviante, perché tutti gli altri anni di quel periodo storico sono messi meglio. Strano che nessuno dei suoi amici l'abbia fatto notare a Bagnai.

C'è anche un'altra possibile spiegazione: la Finlandia, poco dopo il 2007, ha avuto un altro anno molto negativo ovvero il terribile, un po' per tutti: l'anno 2009. In quell'anno il PIL reale finlandese ha fatto -8.5%. Allora, magari è lì, in quella occasione, che è stato "pagato" il tributo in termini di crescita al dato relativamente negativo della Posizione finanziaria netta del 2007. Sembra più ragionevole, anche per i tempi più ravvicinati. Se però poi andiamo a vedere il 2009, la Germania che è stata sempre positiva nella Posizione finanziaria netta ha comunque fatto un disastroso -5.1% e l'Olanda, che avrebbe dovuto fare peggio della Germania, in quanto nel 2007 aveva una Posizione finanziaria netta negativa, ha fatto relativamente meglio: -3,7%.

Ovviamente, non c'è bisogno di dirlo, è abbastanza limitativo prendere quella variabile da sola (ma non sono stato io ad additarla come fondamentale): occorre, volendo seguire i ragionamenti a livello più globale, considerare quanto meno le dinamiche di PIL e inflazione, e soffermarci anche sui saldi settoriali e magari studiare anche le tappe di avvicinamento all'Eurozona dei vari paesi. Dato che però questa, per me profano, è materia particolarmente ostica, ci andrò con i piedi di piombo nei prossimi giorni. Ma sarà un bagno di sangue.

Raccomandazione per tutti: se ho cannato qualcosa, fatemelo notare con calma, non crocifiggetemi: sono un ragazzo sensibile. E qualsiasi spiegazione che possa aiutarmi a capire meglio è benvenuta.

Sfida. (Anzi no: gentile richiesta). Poi però, visto che sono anche un ragazzo frizzantino, lancio una piccola sfida. Anzi no, è una gentile richiesta. Chi si sente in grado di ricostruire la terza tabella del QED di Bagnai (quella sui saldi settoriali finlandesi) a partire dai dati grezzi che si possono trovare sul sito del FMI ovvero qui? Io l'ho fatto e posso garantire che si tratta di un'esperienza istruttiva e che potrà tornarci utile in seguito. Dai, chi se la sente? Non vorrete passare solo per abili polemisti, vero?

mercoledì 11 giugno 2014

Ah, questa Finlandia. Ma come farà? (Bagnai e dintorni parte terza)


Il mio precedente intervento si chiudeva invitando il professor Ponti a spiegare meglio un suo tweet in cui, parlando di ricerca e sviluppo, diceva testualmente: il privato pretende un ROI di mercato (magari a tre mesi), il pubblico no (se è sovrano). A questo tweet io avevo risposto ricordandogli che (dati del 2011) la Finlandia, che non ha più una propria politica monetaria sovrana, ha speso in ricerca e sviluppo il 3.1% del PIL contro un misero 1,6% della Norvegia la quale, essendo fuori dall'Eurozona (e fuori dalla UE) ha una propria banca centrale e una politica monetaria autonoma.

Ecco, in rosso, la risposta di Ponti (si trova anche nei commenti al precedente post, mi sono permesso di correggere qualche piccolo refuso) ed alcuni miei commenti (in nero). Fate attenzione al colore: in rosso è sempre Ponti anche se all'inizio mi cita (tra virgolette).

Sono sinceramente lusingato da tanta attenzione, troppo onore. Lasciamo perdere "adepto",e "fare il grosso", che pure meriterebbero...

Ammetto che i due virgolettati (miei) erano un po' irrispettosi e guasconi, ma venivano in risposta ad affermazioni che avevo trovato vagamente indisponenti. Sono comunque d'accordo a chiudere qui questo aspetto, che non ci fa fare passi avanti nel merito. (Nella foto a lato la festa di inaugurazione dell'Eurovision Song Contest 2014 a Copenhagen),

Concentriamoci sulla domanda finale: "Se Ponti, che sul suo profilo twitter dice di fare il professore di diritto amministrativo e non il picchiatore o l'usciere (con il massimo rispetto per gli uscieri) mi legge qui, provi innanzitutto a spiegarmi perché ritiene che soltanto se "è sovrano" il pubblico potrebbe investire nella ricerca e nello sviluppo"

A me la risposta appare di una banalità disarmante, ma va comunque data. Grazie. Per sovranità monetaria si intende la possibilità, per lo stato, di fissare (più o meno direttamente, ma comunque controllando l'esito) i tassi di interesse ai quali lo Stato medesimo remunera i titoli del debito che emette (in modo inesatto e fuorviante si dice "stampare moneta"). Nel nostro paese funzionava così prima del "divorzio" tra Banca d'Italia e Tesoro. Bene, lo sapevamo già, ma mi può star bene come definizione: del resto l'onere della definizione spettava a chi ha introdotto il tema della sovranità.

Ora, se io (stato) posso finanziarmi a queste condizioni, dispongo di consistenti margini di manovra nel finanziare gli investimenti, e potrò più agevolmente (e con maggiori mezzi) dedicarmi a finanziare tutte quelle forme di investimento cui il privato invece NON si dedica perché NON garantiscono un ritorno certo, o significativo. I casi sono molteplici (ricerca curiosity oriented, beni comuni, infrastrutture), in cui o manca il profitto (perché lo stato non intende guadagnare) oppure il profitto non è certo (non lo so chi e quando scoprirà che cosa, e che profitti ciò potrà generare).
Qui per me si fa un po' di confusione mescolando due argomenti. 1) Il primo argomento è attinente al quesito: chi finanzia quella parte di ricerca che non ha un ritorno immediato? Lo farà il sig. X (imprenditore privato) o lo Stato Y?. Non c'è dubbio, neanche da parte mia, che sia più facile che sia lo Stato. Il caso più tipico è quello della ricerca sulle malattie rare. L'industria farmaceutica ha ovvie difficoltà a investire milioni per tentare (senza garanzie di successo) di creare farmaci per curare una malattia che ha poche decine di pazienti. Le istituzioni pubbliche, che giustamente hanno come missione quella di tentare di non lasciare indietro nessuno, possono contribuire, magari sostenendo economicamente la ricerca della società del sig. X (ora però non dimentichiamoci che in moltissimi paesi esistono fondazioni tipo la Fondazione Telethon, che supportano la ricerca sulle malattie rare grazie al sostegno dei privati cittadini e questo avviene sia in Stati con sovranità monetaria sia in stati senza sovranità monetaria). In ogni caso, ripeto, non ho nessuna difficoltà ad ammettere che è più facile che sia il pubblico che non il privato a finanziare quella parte della ricerca che non ha un ritorno immediato. Non accetto invece l'affermazione che gli stati "sovrani" abbiano meno difficoltà a finanziarla rispetto agli stati non sovrani. E il caso Finlandia-Norvegia è lì a dimostrarlo: la Finlandia, non sovrana, spende il doppio del proprio PIL in ricerca e sviluppo rispetto alla confinante Norvegia. Insomma: Stato Y batte Sig. X, ma non necessariamente batte Stato W. 2) il secondo argomento è attinente a un'altra domanda: io, Stato, in generale, (indipendentemente da come poi spendo) come mi finanzio? Ma questo piano va tenuto ben distinto dal primo.

Ora, se invece lo Stato decide di finanziarsi SUL MERCATO FINANZIARIO, cioè rinuncia alla sovranità monetaria, cioè si fa prestare i soldi sul mercato ed alle condizioni di mercato, ecco che i margini di manovra si riducono notevolmente. perché i capitali privati vogliono essere remunerati. 

perché il tasso lo stabilisce il mercato (e non più lo Stato). 

Qui siamo ancora in pieno "argomento 2". L'investitore che deve prendere titoli di Stato finlandesi, difficilmente sarà spaventato dal fatto che siano al sesto posto nel mondo per ricerca e sviluppo. Comprerà titoli di Stato finlandesi (stato non monetariamente sovrano), indipendentemente da come spendono i soldi gli amici di Helsinki, facendo una valutazione sul tasso proposto e sul rischio che il debito non venga onorato. La stessa cosa verrà fatta quando valuterà l'acquisto di titoli norvegesi (stato con sovranità monetaria).
Ora ci troviamo di fronte a una situazione particolare: la Finlandia, che A) non è stato monetariamente sovrano, e che B) spende quasi il doppio della Norvegia in ricerca e sviluppo, ha - oggi - uno spread molto più basso della Norvegia.
Cioè oggi, 11 giugno 2014, paga il proprio debito a un tasso medio di 1,607% (spread vs. Bund a 19,7) contro il 2,654% dei norvegesi (spread vs. Bund a 124,4, ovvero un livello - adesso possiamo dirlo - quasi italiano). 
Evidentemente gli investitori non si stanno preoccupando molto del fatto che i finlandesi non abbiano sovranità monetaria e spendono un sacco in ricerca e sviluppo. Anzi: permettendo ai finlandesi di approvvigionarsi a tassi così bassi, i mercati non scoraggiano i finlandesi a proseguire nella loro opera di finanziamento della ricerca.
Questo sembrerebbe contraddire in modo significativo le affermazioni di Ponti. Ma siamo qui ad attendere le sue eventuali controdeduzioni.

Si noti, per altro, che date queste condizioni, quando capita che la necessità di ricorrere alla spesa pubblica si fa più impellente (nei cicli economici avversi), come leva per rilanciare la crescita, è allora che il denaro (sui mercati) finisce per costare di più, perché il ciclo è negativo, l'economia non tira, e gli investimenti sono più rischiosi. Cioè, la rinuncia alla sovranità monetaria (via indipendenza banca centrale) rende più costosa la spesa pubblica proprio quando ce ne è più bisogno (forte, no?)


Su questo posso concordare: la mancata sovranità, in quei momenti tosti, ti toglie un'arma (la svalutazione) il che può avere messo noi, e magari anche la Finlandia, in difficoltà nei momenti peggiori della crisi finanziaria (quando il nostro spread era sopra i 500 punti), ma A) da allora le istituzioni europee hanno studiato migliori misure di salvaguardia, e altre sono in fase di realizzazione B) una volta finita la fase acuta, il fare parte dell'Eurozona, è tornato, come prima della crisi, a dare il vantaggio di permettere noi (e la Finlandia) di finanziare il debito a tassi ragionevoli.

Se a questo ci aggiungiamo: 
1) la rinuncia alla sovranità di cambio, ciò che rende impossibile rilanciare l'economia mediante le esportazioni via svalutazione (quindi, meno probabile la ripresa, quindi più rischioso l'investimento in attività produttive, quindi più costoso il denaro anche per lo stato);
2) la rinuncia alla sovranità fiscale (perché il fiscal compact, che noi ci siamo addirittura autoimposti in costituzione, tagliandoci le palle quando a Bruxelles ci avevano chiesto solo di strizzarle molto forte), con il che - quand'anche lo stato volesse spendere più di quanto incassa, indebitandosi a prezzi di mercato pur di rilanciare l'economia (e fidando sull'effetto del moltiplicatore fiscale, appunto) - non lo si può fare; percui se vuoi spendere di più devi incassare di più in tasse, ma se alzi le tassi deprimi ulteriormente l'economia (austerity, hai presente? citofonare Monti), ergo il denaro costa ancora di più, spirale del debito e via andare...

... ecco che i margini per fare spesa pubblica si sono AZZERATI.

Falso: il caso della Finlandia è lì a dimostrarlo. Sia ben inteso: non sto qui dicendo che la Finlandia sia il paradiso in terra. L'unico punto qui è il livello di spesa pubblica in ricerca e sviluppo/PIL in uno stato dell'Eurozona.

Se lo stato si mette in mano ai mercati per procurarsi le risorse di cui abbisogna (e che gli abbisognano di più quando c'è crisi, cioè quando è più rischioso investire, ed il denaro costa fatalmente di più...) disporrà di minore (o, al limite, di nessuna) capacità di spesa. In particolare, per quella spesa che lui solo (lo stato) sarebbe in grado di fare (perché il privato non la fa).

Nei momenti acuti è vero, ma valgono le considerazioni di cui poco sopra.

Chi è dentro l'euro:
1) o è la Germania (che si finanzia a tassi negativi ormai da 4 anni), ed è quindi sostanzialmente sovrano (visto che la BCE fa gli interessi della Germania)

2) oppure non è più sovrano, e quindi non ha più margini di politica economica, e quindi è nella merda fino al collo.

Falso: il caso della Finlandia è lì a dimostrarlo.

Benedetto Ponti

PS:(basta andare sul sito della mia università, unipg.it, per trasformare rapidamente un "dice di fare il professore" in un "fa il professore") 

Qui non c'era nemmeno l'intento irriverente e un po' guascone da parte mia (vedi primo commento in alto: intendevo semplicemente dire che Ponti, nel suo profilo twitter "ci segnala che fa il professore").

Postilla importante: Perché non sembri che io sono l'unico fissato nel confrontare Svezia e/o Norvegia vs. Finlandia (ma, come dicevo, le comparazioni così "comode" sono poche) prendete questo articolo di fine novembre 2011. Il buon Joe Weisenthal, un anti-eurista convinto, commentando gli spread crescenti (allora) della Finlandia e calanti (allora) della Svezia sottolineava che The only obvious difference between the two: Finland is part of the Eurozone, meaning it can't print its own money. Sweden has no such risk.
Oggi, 11 giugno 2014, non solo le dinamiche si sono invertite, ma anche i valori assoluti degli spread sono diversi: la Finlandia, che è nell'eurozona, sorpresa, ha uno spread più basso della Svezia.

Non sono così folle da dimenticare che ha una sua razionalità l'idea di valutare un fattore nel momento di massimo stress e, oggettivamente, in quel momento, novembre 2011, l'Euro, anche in Finlandia, stava performando male, sotto lo stress dei mercati. Questo è stato confermato anche da Paul De Grauwe, a Trento, all'ultima edizione di Festival Economia di Trento. Dopo aver sottolineato l'importanza di avere una propria Banca Centrale, ad una mia specifica domanda: "Da investitore allora io dovrei essere più preoccupato di investire in Bond finlandesi rispetto a Bond svedesi?", lui ha risposto che in tempi normali non fa molta differenza: la differenza emerge in situazioni di crisi (domanda a 1:20:30 e risposta a 1:27:30) come ad esempio nel 2010-11.

Ora se è certamente razionale valutare l'effetto Euro sotto stress, e non oggi che le cose vanno meglio e lo spread della Finlandia è più basso rispetto a quello della Svezia, dall'altro lato questo è anche ingeneroso per due motivi A) la vita normale è fatta principalmente di tempi normali e meno di tempi di crisi B) va ricordato che per i tempi di crisi le istituzioni europee nel 2011 non si erano ancora attrezzate adeguatamente. Non c'era ancora stato il "Whatever it takes" di Mario Draghi e tutte le misure poste in essere e pianificate successivamente. Certo l'eurozona, come dice De Grauwe concludendo, è ancora molto fragile, ma meno fragile del 2011 e più fragile di quanto lo sarà nel 2020.