Anche quest'anno appoggio
personalmente la campagna di raccolta fondi del CIAI.
Quest'anno la campagna si chiama “Non ha voce. Ma ha fame” e punta a realizzare un progetto a favore di 150 bambini malnutriti (0-2 anni) e 30 donne in gravidanza in sei villaggi della Costa d'Avorio - Alépé, il capoluogo e i villaggi di Monga, Montezo, Grand Alépé, Memni, Ahoutoué.
Quest'anno la campagna si chiama “Non ha voce. Ma ha fame” e punta a realizzare un progetto a favore di 150 bambini malnutriti (0-2 anni) e 30 donne in gravidanza in sei villaggi della Costa d'Avorio - Alépé, il capoluogo e i villaggi di Monga, Montezo, Grand Alépé, Memni, Ahoutoué.
Ne parlo con Marina Palombaro che
coordinerà il progetto. È un'intervista che, spero, ci permette di
cogliere in pieno la portata del problema e anche di capire come
lavorano le ONG, e in particolare il CIAI, in questi territori.
Per chi non ha pazienza e vuole
subito andare al dunque segnalo che per donare 2 euro (dal 10 al 31
marzo) basta mandare un SMS al numero solidale 45503 (da cellulari
TIM, Vodafone, Wind, 3, PosteMobile, CoopVoce e Noverca) o chiamare
da rete fissa TWT. Mentre chiamando da rete fissa Telecom Italia,
Infostrada o Fastweb si possono donare da 2 a 5 euro.
Buongiorno Marina, iniziamo con una
domanda apparentemente semplice: che lavoro fai?
E sul tuo biglietto da visita, cosa
c'è scritto?
Rappresentante Paese.
Qual è stato il tuo percorso
lavorativo?
Ho avuto un
percorso abbastanza anomalo per una cooperante. Ho infatti iniziato
la mia carriera professionale come bancaria, per ben 8 anni. Poi ho
lasciato perché era un mondo che non mi apparteneva. Ho poi
lavorato nella formazione professionale con l'ISFOL come consulente e
questa esperienza mi ha permesso di iniziare a "sperimentarmi"
nella cooperazione internazionale alla quale sono arrivata dopo i
trent'anni dunque in età sufficientemente matura. Dal 2002 mi occupo
stabilmente di cooperazione internazionale.
Quale percorso educativo consigli
per chi volesse seguire le tue orme più velocemente?
Io non credo che
esistano percorsi speciali: credo che una buona preparazione
universitaria in qualsiasi campo vada bene. Francamente le formazioni
universitarie specifiche mi fanno inorridire: io ho fatto un master,
ma francamente non credo mi abbia dato molto più di quel che già
avevo interiorizzato nel mio percorso universitario precedente. Poi,
però, se fai una selezione la formazione te la chiedono, ma a questo
punto meglio un master di un anno.
A quanti diversi progetti hai
collaborato?
Nel mio percorso da cooperante ho avuto
modo di coordinare e gestire una decina di progetti che spaziavano
dal diritto alla salute, al diritto all'istruzione, dall'empowerment
femminile al microcredito, dalla prevenzione della mortalità materna
alla prevenzione della morbi-mortalità infantile (in particolare
prevenzione della malnutrizione), dal rafforzamento delle capacità
comunitarie all'eco-turismo.
Foto 1 |
Da quanto tempo ti trovi in Costa
d'Avorio?
Dall'ottobre 2012.
E quali progetti hai seguito in
questo paese?
Dal mio arrivo qui ho avuto modo di
seguire due progetti incentrati sul diritto all'istruzione di base
(anche con costruzione di 3 scuole), al rafforzamento delle capacità
economiche di madri-capofamiglia per permettere loro di poter
iscrivere i figli e le figlie a scuola, visite sanitarie per gli
allievi delle 3 scuole costruite (Alépé, Grand Alépé e Ingrakon, vedi foto 1),
presa in carico sanitaria di 100 donne affetta da HIV.
In cosa consiste esattamente il tuo
lavoro? Quali sono gli obiettivi che si pone?
Il mio ruolo da rappresentante
istituzionale consiste nel costruire e mantenere i rapporti
istituzionali con il governo ivoriano in tutte le sue espressioni
(dal livello centrale al livello decentrato), costruire partenariati
con la società civile ivoriana, costruire e mantenere quando già
esistenti rapporti istituzionali con organismi internazionali (es:
UNICEF, Unione europea, ecc.), i rapporti con le autorità competenti
in campo di adozioni internazionali per assicurare che qualora ci
fossero bambini adottabili l'adozione venga fatta nel rispetto dei
bambini/e dei potenziali genitori e delle leggi vigenti in loco e in
Italia, verificare la fattibilità di idee progettuali, scrivere
progetti, gestire il personale locale e far funzionare
l'ufficio/sede del CIAI in Costa d'Avorio, amministrare correttamente
i fondi inviati per la realizzazione delle attività dell'ONG.
Quali sono per te le priorità di un
paese come la Costa d'Avorio? E pensi che il lavoro che tu svolgi
riesca a rispondere a queste priorità?
La Costa d'Avorio è innanzitutto un
paese che ha bisogno di riconciliazione e pace: questa è la conditio
sine qua non per qualsiasi altro tipo di intervento anche perché
è un paese che ha tante risorse economiche e potenzialità. Lavorare
sui diritti dei bambini, delle donne, di accesso alla salute, e su
altri aspetti, è certamente il modo migliore per lavorare qui ed
ora. Cioè non è solo costruire o fare attività, è qualcosa in
più: è costruire un percorso in cui gli esseri umani trovino la
loro giusta posizione. Allora bisogna ricominciare dai diritti, è
prioritario. Se la violenza verso bambini e donne che ovunque
rappresentano la parte più debole della società persiste come se
fosse "normale” allora non c'è spazio per nessuna forma di
sviluppo, ma questa cosa è valida un po' per tutte le realtà.
Raccontaci una tua giornata tipo.
Arrivo in ufficio alle 8h30, controllo
la posta e le notizie dei giornali in particolare su internet.
Riunione con i collaboratori per l'organizzazione delle attività di
terreno e per fare il punto sulle attività realizzate. Contatto con
i partner: vedere a che punto sono con le rendicontazioni e con le
attività da realizzare. Contatto con i ministeri per vedere se ci
sono delle novità in merito ai nostri rapporti istituzionali. Dalle
13 alle 14 pausa pranzo. Uscite in città (per attraversare Abidjan a
volte ci vogliono 2 ore) per uffici vari o per incontrare un
potenziale partner. Oppure la prima parte della giornata non si
svolge in ufficio, ma nei villaggi dove vado a controllare se le
attività sono correttamente svolte, a incontrare le donne
beneficiarie dei progetti ascoltarle e capire se tutto sta andando
bene, a incontrare i bambini nelle scuole e vedere se hanno
beneficiato correttamente di una attività, a visitare un nuovo
sito/villaggio/quartiere nel quale vorremmo intervenire con qualche
nuovo progetto e in questo caso e incontro le persone, le
associazioni, le autorità locali per sentire quali sono i problemi e
discutere con loro le possibili soluzioni. Di solito dovrei lavorare
fino alle 17 ma spesso rimango oltre.
Vedo che interagisci moltissimo con
le istituzioni. Ti è capitato di avere a che fare con situazioni
"grigie" come corruzione o malaffare?
Sì, direi quasi sempre, pensa che
abbiamo acquistato una macchina da ottobre e ce l'hanno consegnata
solo ieri. Noi come ONG abbiamo diritto all'esonero delle tasse, ma
in questi mesi ci hanno fatto girare girare e girare noi abbiamo
tenuto duro. Così la macchina l'abbiamo avuto sdoganata solo a
marzo...
Con una mazzetta si sarebbe
sbloccata prima?
Credo di sì, ma qui pure i militari ti
fermano per i controlli e ti fanno capire che gradirebbero qualcosa.
Ora non possono più chiederlo direttamente, ma nel 2006 se ti
fermavano non ripartivi più. Ora glissi, fai finta di non aver
capito, prendi tempo e alla fine ti fanno andare.
A parte la corruzione quali sono i
principali ostacoli che incontri nel tuo lavoro?
La burocrazia, che spesso è esagerata
e ritarda gli interventi o l'acquisizione di informazioni importanti.
Oppure l'ignoranza che spesso impedisce di percepire in tempi brevi
un messaggio correttamente. Ma questa seconda cosa, cioè
l'abbattimento degli ostacoli è uno degli obiettivi del nostro
lavoro quindi si accetta più facilmente della burocrazia.
E nella ricerca del personale
necessario alla realizzazione dei progetti, è difficile trovare
persone affidabili?
Dei collaboratori scelti dall'ONG ti
puoi mediamente fidare, ma devi sempre controllare! Con i partner è
più complicato: trovi sempre qualcuno che ci prova, soprattutto
quando c'è un cambio di guardia. Ad esempio io sono arrivata qui ad
ottobre. Prima c'era un rappresentante paese locale e una
coordinatrice progetti espatriata. Io ho assunto le due funzioni.
Appena arrivata tutti hanno cercato di attribuire a chi mi ha
preceduta delle cose che non rientrano negli accordi. Ci provano,
insomma, ma io comunque mi baso sempre su quel che è scritto.
Ma immagino che per portare avanti
progetti così importanti abbiate bisogno di pescare in una sorta di
società civile proveniente dalla classe media del paese, ma esiste?
È sufficientemente rappresentata?
Sì, poi dipende dal lavoro che le
persone devono svolgere: comunque a me è successo in una selezione
del personale di escludere dei profili eccellenti e preferire un
profilo un po' più basso perché il nostro lavoro è un lavoro di
equipe: a volte le eccellenze sono un po' autoreferenziali.
Temevo che molti dei più preparati
di quei paesi emigrassero.
No, no: la gente va via certo ma c'è
anche chi resta. Non tutti hanno lo spirito del viaggio. Cioè per
emigrare ci vogliono due condizioni. Una è economica l'altra è
psicologica: saper affrontare la diversità e il cambiamento e la
disperazione è una condizione necessaria, ma non sufficiente.
Quindi, la ricerca di personale
affidabile non è un grande problema, basta andare con i piedi di
piombo. Forse la cosa che più mi ha ostacolato nel lavoro in genere
è il fatto che sono una donna.
In che senso?
La gente pensa che le donne che fanno
questo lavoro sono come madre Teresa di Calcutta cioè siamo mamme e
mogli e quindi col "cuore tenero" e allora quando c'è un
problema spostano dal piano professionale a quello "sentimentale".
Non per sapere i fatti tuoi, ma sei
lì con la famiglia?
Sono con mia figlia di 2 anni e mezzo:
siamo sole io e lei.
E c'è una comunità di stranieri -
cooperanti e non - che si trova nel tempo libero?
Sì e no, ma noi non li frequentiamo.
Le ONG straniere qui sono spesso mastodontiche e sono in alcuni
quartieri di lusso, e più sicuri, a causa della recente guerra
civile.
Il CIAI invece ha deciso di essere più
nel territorio, certo seguendo comunque delle regole di sicurezza,
quindi siamo lontane da altri espatriati e, come ti dicevo,
attraversare la città è spesso un'impresa.
Ti pare che queste grandi
istituzioni internazionali riescano a svolgere bene il loro lavoro
oppure il loro essere così "mastodontiche" un po' le
fuorvia?
No, no: io credo che molto dipende
dalle singole persone cioè una ONG ha i suoi valori, ma poi il suo
volto siamo noi i cooperanti e noi non è che siamo sempre
rappresentativi... Mi ci metto in mezzo anche se francamente credo di
essere una persona molto corretta.
Finora abbiamo parlato di
difficoltà, quali sono invece gli elementi di supporto al tuo
lavoro?
La voglia personale, del CIAI e delle
persone con le quali percorriamo il cammino verso il miglioramento
delle condizioni di vita.
Come possiamo essere noi di
supporto?
Dando un messaggio corretto su cos'è
la cooperazione e su come vivono veramente le persone nei vari
“altrove” del mondo. Far girare i loro sogni nell'immaginario
collettivo per uscire dagli stereotipi.
C'è qualcosa che secondo te, da
qui, non riusciamo a cogliere delle situazioni in cui vi trovate ad
operare (parliamo della Costa d'Avorio, ma anche in generale)?
Sì, innanzitutto la dimensione umana
degli espatriati. Non si capisce che siamo dei professionisti. Nel
campo umanitario, certo, ma sempre professionisti. Io ho una laurea,
una specializzazione e un master più varie specializzazioni, eppure
in Italia non mi prendono manco come segretaria perché pensano che
noi stiamo qua a pane e acqua come i missionari. Poi la precarietà
del nostro lavoro. Certo, abbiamo scelto questa vita, ma credo che
l'opinione pubblica dovrebbe conoscere più quel che facciamo e avere
più rispetto professionale. Rispetto, non ammirazione come se
fossimo degli eroi che vanno al massacro. Poi sulle realtà di questi
paesi i media danno spesso una immagine distorta che è più
concentrata sulla conseguenza che sulla causa. Ad esempio il bambino
malnutrito non è poi che si dica molto sui perché: c'è una
dimensione politica della povertà e questa cosa non viene mai
trattata, ma è proprio questo che sarebbe fondamentale per creare
coscienza e puntare sul cambiamento. Non tanto e non solo il fatto di
sapere che quel bambino sta morendo.
Sei stata chiarissima. E l'obiettivo
di questa intervista è proprio di aiutare a chiarire proprio questi
aspetti. Parlaci della campagna attuale del CIAI.
Non ha voce. Ma ha fame è la
nuova campagna di raccolta fondi di CIAI tramite numero solidale –
45503 – attivo dal 10 al 31 marzo per realizzare un progetto che
sarà sviluppato a favore di 150 bambini malnutriti (0 – 2 anni) e
30 donne in gravidanza in sei villaggi del paese - Alépé, il
capoluogo e i villaggi di Monga, Montezo, Grand Alépé, Memni,
Ahoutoué. Mamme e bambini riceveranno visite, controlli
nutrizionali, razioni alimentari, ma tra i beneficiari figurano anche
50 donne, destinatarie di programmi agropastorali e circa 6mila
persone cui sarà fornita formazione su nutrizione, igiene,
educazione alimentare, prevenzione alla malnutrizione.
È così diffuso il problema della
malnutrizione in Costa d'Avorio?
La malnutrizione
cronica nei bambini ivoriani raggiunge il 20,2% (di cui il 15% in
forma severa) mentre il 50% dei bambini in età prescolare soffre di
anemia: il tasso di mortalità infantile dei bambini sotto i 5 anni è
del 127 per mille, uno dei più alti al mondo.
So che tra le cause della
malnutrizione ci sono anche alcune credenze popolari
Foto 3 |
Certo. Le cause
della malnutrizione in Costa d'Avorio non sono solo economiche ma
dipendono anche da fattori culturali e scarsa informazione. “Non
mangiare le uova, altrimenti diventerai un ladro da grande!”.
Questa, tra le altre, è una delle credenze più comuni tra le mamme
ivoriane: ai bambini non vengono somministrati alimenti altamente
energetici nei primi anni di vita e vengono così reiterate abitudini
alimentari scorrette.
La mancanza di
un’adeguata educazione alimentare nelle madri, che spesso
riconoscono i segni della malnutrizione solo quando sono molto
evidenti, nonché la scarsa conoscenza delle principali categorie
alimentari, impedisce alle mamme di preparare un pasto
qualitativamente completo.
Ma normalmente cosa mangia un
bambino ivoriano?
O meglio: cosa non
mangia? I bambini fanno due pasti al giorno, la mattina e la sera, e
la loro dieta prevede spesso gli stessi alimenti come l'atieké, una
specie di cous cous di manioca con una salsa fatta con i semi della
palma (sauce grain) oppure con carne o pesce; mangiano molte banane,
come frutto o pestato come un puré, in accompagnamento all'atieké.
Grazie Marina e in bocca al lupo per
la campagna e per la tua attività.
Crepi il lupo. Grazie a te, Marco, a presto!
Crepi il lupo. Grazie a te, Marco, a presto!
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