sabato 26 ottobre 2013

Le avventure di Piersky

Soggetto per un corto (lungo) o anche per un lungo (corto) o per un medio (medio).

In una livida Berlino (ma l'opera può essere ambientata anche in una livida Parigi o in una livida Torino, se le rispettive film-commission coprono la produzione di sufficiente denaro) Piersky, un fantomatico artista (o forse UNA fantomatica artista o persino un fantomatico collettivo di artisti), ispirato al 50% da Piero Manzoni e al 50% da Bansky, appone chili di "merda di artista" (disposta talvolta in eleganti ghirigori astratti, talaltra in efficaci soggetti figurativi) sulle facciate dei condomini del centro.

Nonostante le migliaia di telecamere in funzione, le azioni di Piersky sono sempre così rapide ed efficaci da gabbare qualsiasi sistema di sorveglianza.

La città si divide: il sindaco, supportato dalla maggior parte dell'opinione pubblica, dai condomini, dai media mainstream, rivendica l'inviolabilità della proprietà privata e lo scarso valore artistico dell'operazione, ma ben presto si addensa una fazione opposta trasversale composta da critici d'arte, amministratori dei condomini (che vagheggiano faranoiche creste sui lavori di ripulitura), centri sociali e da alcuni importanti influencer (blogger, twitstar e da uno dei giudici di X-Factor che molti sospettano fare parte del collettivo artistico in prima persona) i quali ritengono Piersky il più creativo antagonista della visione capitalistica. Infatti, molto più radicale di Maurizio Cattelan (e del suo dito) e di Paul McCarthy (e della sua merda in marmo, nella foto de La Repubblica, qui sopra), Piersky, vero interprete e cantore del disagio contemporaneo, utilizza infatti vera merda umana (come confermano le analisi del Ris di Parma (o l'omologo del CSI di Berlino o di Parigi, di solito si riescono a ottenere dei fondi per la produzione anche da lì...).

Mentre la livida Berlino/Parigi/Torino è avvolta nel fetore e le forze dell'ordine brancolano nel buio, una giovane giornalista gnocchissima (una livida Natalie Portman, una livida Rachel McAdams (nella foto a destra), o persino una livida Mila Kunis, a seconda di chi viene via a meno) riesce a determinare la vera identità di Piersky, quand'ecco che..."

mercoledì 16 ottobre 2013

Milano siamo noi (ovvero Erick Thohir = Rock Hit Heir)


Non dite che non ce l'avevano fatto capire qualche anno fa. Ricordate la maglia del centenario? In qualche modo conteneva già il nostro destino (la maglia è quella originale, il riquadro nero è mio).

Non sono certamente tra quelli che si stracciano le vesti per l'acquisto da parte di Erick Thohir delle quote di maggioranza della squadra per cui faccio il tifo. Trovo anzi un po' razzista l'atteggiamento di diffidenza riservato a lui da molti commentatori per il solo fatto di riferirsi a un indonesiano. Certamente sarebbero stati più teneri con un americano, un tedesco o un argentino, ma tant'è: ognuno è responsabile delle proprie perversioni.

Alcuni milanisti in questi giorni sottolineano che, adesso più che mai, Milano sono loro. Ora è certamente vero che i proprietari di Milan e Inter sono nati l'uno a Milano (Silvio Berlusconi) e l'altro a Giacarta. Ma, tanto per iniziare, Berlusconi glielo lasciamo tutto intero e in secondo luogo Milano, la nostra amata città di Milano, è diventata grande nel tempo proprio per aver saputo accettare e mettere all'opera gente arrivata da tutto il mondo. Secoli fa erano persone giunte in città dai paesi tutt'intorno: tutti questi Mandelli, questi Lissoni, questi Comi, questi Vimercati che abitano a Milano da dove credete che arrivino? Da Mandello per l'appunto, da Lissone, da Como, da Vimercate: sono genitivi locativi diventati cognomi. Via Ciovasso e via Ciovassino, nel cuore di Brera, si chiamano così perché erano abitate da famiglie originarie di Chivasso (Ciovàs). Poi c'è stata l'immigrazione dal Veneto, dalla Toscana, dal Mezzogiorno (io stesso sono un mix di antenati milanesissimi, pavesi, toscani e pugliesi). Poi quella da paesi sempre più lontani. Se, in qualche ora di carrozza, secoli fa si arrivava da Oggiono o da Vigevano ora, nello stesso tempo, si arriva da Giacarta: il concetto, e il tempo, è lo stesso. Ma la cosa fondamentale è che da ognuno di questi arrivi Milano ha saputo trarre motivo di orgoglio e di sviluppo. Se, anzi, avesse saputo farlo ancora di più, beh ora, chissà, forse sarebbe arrivata al livello di New York. Quindi aprirsi allo "straniero" non solo è molto furbo, ma è anche molto milanese. Amici nerazzurri, ora più che mai, Milano siamo noi, proprio perché siamo internazionali, anzi: siamo l'Internazionale.

Tra l'altro: l'anagramma di Erick Thohir è "Rock Hit Heir", ovvero: l'erede di un successo rock. E chi è pù rock dell'Inter? E per rimarcare ancora meglio il concetto che Milano è diventata grande grazie agli apporti di tutto il mondo, ecco alcune terzine dantesche lette oggi a Caterpillar AM (Radio2 RAI) e una seconda versione della bandiera indonesiana.

Indi si fece un uom più presso a me
e solo sospirò: “Sono Moratti.
Eh, nel duemiladieci, l'un-due-tre,
ci ha fatto divertire come matti
con Mou con Julio Cesar e Milito,
ma un nuovo giorno porta nuovi patti”
Ai più parea sereno, ma avvilito
sembrava a me che allor per consolarlo
dissi: “Ma presidente è già pentito?
Lo vedo che si porta dentro un tarlo.
Non se la prenda e pensi che Milano
ha sempre aperto a tutti, è giusto farlo,
venissero da Bresso o da lontano
da Napoli, da Lima o da Pretoria.
Che cosa vuol che sia un indonesiano?
andremo tutti insieme alla vittoria”.

(Dal Paradiso Novo)