sabato 7 aprile 2018

Balze, seni e golfi

L'italiano è senza dubbio una lingua ricca, ma non si può proprio dire che sia molto precisa. Al tempo stesso descrivere un territorio non è un compito affatto semplice, specialmente quando si cerca di evocare verbalmente l'immagine di forme irregolari come quelle del profilo di una costa oppure del corso di un fiume. Compito che rasenta quasi l'impossibile quando si passa dalla bidimensionalità di una costa o di un fiume alla tridimensionalità dei rilievi. In questi casi l'irregolarità di un singolo monte o di una catena montuosa si sviluppa su tre assi rendendo l'impresa praticamente impossibile.

Se consideriamo la somma di questa intrinseca difficoltà con le già citate manchevolezze dell'italiano, ci rendiamo conto che l'apertura del primo capitolo de I promessi sposi, laddove Manzoni tenta di entrare nel dettaglio della conformazione del territorio lecchese, sia un esercizio anche affascinante, ma indubbiamente faticoso.

Lo spunto iniziale si basa si un'idea brillante e anche particolarmente moderna, cinematografica, potremmo dire, perché si parte con una vista quasi dall'alto, a volo d'uccello, o di drone, volendo sposare la contemporaneità più estrema, per poi andare a stringere, non prima di avere effettuato una serie di giravolte, sulla stradina in cui si svolge la prima scena con l'incontro tra don Abbondio e i bravi.

E, a mio avviso, su queste difficoltà della descrizione topologica, in qualche modo lo stesso Manzoni un po' specula, con continui andirivieni (gli rubo il termine) tra tecnicismi cartografici e un intento più lirico, quasi che siano le stesse asperità tecniche a spingerlo verso uno stile più evocativo. Ma per analizzare nel dettaglio come viene risolta la missione che lo stesso Manzoni si è dato per aprire il primo capitolo del suo unico romanzo, cerchiamo di definire meglio cosa intendevamo all'inizio di questo post quando parlavamo di scarsa precisione dell'italiano. Prendiamo un breve estratto del brano a cui facciamo riferimento.
il monte di cui passeggiate le falde, vi svolge, al di sopra, d’intorno, le sue cime e le balze, distinte, rilevate
Soffermiamoci per un attimo sulla parola balza. Ora sono pronto a scommettere che ognuno di noi abbia un'idea piuttosto vaga del suo significato. Se ci venisse chiesto di disegnare una balza sono certo che ne vedremmo delle belle. Tutti riconosciamo che il contesto in cui viene usata sia quello alpestre, ma esattamente di cosa si tratta? La verità è che, tecnicamente, balza ha due significati completamente opposti, pur afferenti entrambi allo stesso contesto montano. Il vocabolario online della Treccani rende perfettamente conto di questa ambiguità:
balza s. f. [lat. baltea, plur. di balteum «cintura, recinzione dell’anfiteatro»]. – 1. a. Parete di un monte che cade a perpendicolo sul fondovalle, o parete ripida scavata dall’erosione idrometeorica; anche zona che in seguito a forte azione erosiva ha preso forme ripide e tormentate: le b. di Volterra. b. Con sign. più prossimo all’etimologia, ripiano che interrompe tutt’intorno lo scoscendimento di una montagna, sinon. di balzo; o anche ripiano in genere, in un terreno a dislivelli.
Insomma: con balza possiamo riferirci sia a una parete verticale sia a un pianoro situato magari in un terreno a più dislivelli, sulle pendici di una montagna. Ma chi, leggendo I promessi sposi si pone davvero il problema di determinare quale dei due significati sia quello corretto?
il monte di cui passeggiate le falde, vi svolge, al di sopra, d’intorno, le sue cime e le balze, distinte, rilevate
Ma se nessuno si pone dubbi nemmeno sul sostantivo balze, perché dovrebbe domandarsi come mai Manzoni sprechi dell'inchiostro per indicarci che quelle balze sono "distinte" e "rilevate"? Per evitare di tirarla troppo in lungo, alla fine posso anche decidere che Manzoni intendesse puntare al secondo significato di balza e che precisando "rilevate" volesse insomma riferirsi a dei pianori posti a una certa quota, a mezza costa o anche più su. Ma poi ci ricordiamo che queste balze sono anche definite come "distinte". Distinte da che cosa?

Prendiamo altre due parole utilizzate da Manzoni: seni e golfi. Tutti ricordano che
Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi...
Perché "seni" e "golfi"? A prima vista sembra la descrizione coerente di una costa disegnata a forma di S. Con i seni a indicare le convessità della terra intrusa nell'acqua e i golfi a definirne le concavità.
Ma non è così. Letteralmente il golfo è uno dei vari tipi di insenatura, di seno. Quindi si tratterebbe a prima vista di una ridondanza: nella grande famiglia dei seni sono già inclusi i golfi (assieme alle baie, alle rade, alle calette, eccetera) Prendo sempre dalla Treccani:
insenatura s. f. [der. di seno, attrav. il verbo insenarsi, che è però documentato più tardi]. – Braccio di mare che penetra entro terra (per es., baia, golfo, rada). Per estens., analoga rientranza nella costa di un lago e, più raramente, nelle sponde di un fiume.
Qui, come dicevamo, appare chiaro che Manzoni con "seni" intenda significare non tanto la famiglia di cui fan parte i golfi, ma proprio il contrario di golfo. Rileggiamo:il lago è "tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli [i monti]". Cioè che se i monti rientrano, allora si crea un golfo del lago (e fin qui ci troviamo), ma che se invece i monti si sporgono verso l'acqua allora si crea un seno. Il che, se "a senso" potrebbe anche andar bene in quanto la parte convessa del monte, che si protende nell'acqua vista dall'alto può assumere la forma di un seno femminile, linguisticamente non ha senso, data la definizione di seno che abbiamo appena visto. Qui era meglio usare la parola promontorio, che però Manzoni non poteva usare, perché gli serviva poco più avanti:
Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte;
Insomma mentre "balza" ha una sua ambiguità di base, "seno" viene utilizzato dal Manzoni in modo formalmente improprio, ma nessuno segnala mai l'incoerenza (oppure, in subordine, la ridondanza tra seni e golfi). Segno che, quando noi lettori arriviamo alle descrizioni dei territori, tutto si sfuma in un'indeterminatezza dove, alla fin fine, ci interessa capire soltanto che c'è un lago, ci sono dei monti, e che entrambi hanno una forma irregolare. Lasciamo parlare il Manzoni un po' perché ci piace farci portare a spasso con la mente, farci ipnotizzare, ma sotto sotto non ce ne frega niente e vogliamo solo vedere cosa succede ai personaggi che, per fortuna, arrivano circa seicento parole più sotto.

Va detto che Manzoni spalma su un tratto abbastanza ampio di testo queste ambiguità descrittive. Per un attimo, a metà strada, ci illude di introdurci finalmente alle vicende umane, raccontando delle scorribande della guarnigione spagnola, poi, prima di introdurci finalmente don Abbondio, torna a stordirci ancora per qualche paragrafo con la descrizione dei paesaggi montani e qui si rasenta l'ineffabile. Magari fosse stato davvero ineffabile!

Ma chiudiamo con quello che è forse il dubbio più radicale che incombe su tutta questa descrizione. Rileggiamo l'incipit:
Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte.

Cioè Manzoni non dice: "uno dei due rami del lago di Como vien quasi d'un tratto a ristringersi", ma ci dice che QUEL ramo del lago di Como viene a ristringersi. E, visto che i rami sono due, ci precisa anche quale: quello che "volge a mezzogiorno tra due catene non interrotte di monti". Ora questo può  significare due sola cosa: o che l'altro ramo (quello di Como) non "volge a mezzogiorno" o che se lo fa, non lo fa "tra due catene non interrotte di monti". Ora invito tutti a guardare una mappa della Lombardia e appare chiaro che il lago di Como ha una forma incredibilmente somigliante a una Y rovesciata, dove entrambi i rami "volgono a mezzogiorno", ovvero a Sud. Se vogliamo quello di Como volge a sud-sud-ovest e quello di Lecco a sud-sud-est, ma entrambi tendenzialmente a sud. Quindi evidentemente non resta che stabilire che il ramo di Como venga escluso da questa descrizione perché non si trova "tra due catene non interrotte di monti" il che sembra perlomeno una forzatura visto che entrambi i rami sono circondati da monti che per molti chilometri non hanno valli laterali a interromperne le catene (la prima per il ramo di Como e la Val d'Intelvi, la prima per il ramo di Lecco è l'estremità settentrionale della Valsassina). Insomma anche da questo punto di vista la descrizione fa abbastanza acqua, sia pure di acqua dolce di lago.

Aggiungo una cosa: questa spiegazione del lago a forma di ipsilon rovesciata (e che quindi "smentisce" il fatto che uno dei due rami volga più a mezzogiorno dell'altro) doveva essere talmente presente a Manzoni che poche righe più sotto, quando racconta di don Abbondio e dei bravi, descrive in questi termini la "stradetta" in cui avviene il loro incontro:
Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia d'un ipsilon

La lingua batte dove il dente duole! Finito questo lungo e, ahimè, impietoso excursus su quella che dovrebbe essere una delle pagine più belle della letteratura italiana, proviamo a rileggere il testo con occhio più laico, inserendo qualche ulteriore nota rimasta fuori dalla trattazione.
Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra [qui l'autore usa propriamente promontorio e avrebbe dovuto farlo anche prima, si riferisce "a destra", seguendo il flusso del fiume Adda, sulla cartina si trova a sinistra e dovrebbe essere la sporgenza del profilo della costa verso ovest laddove il lago si restringe a fiume tra il lago di Como e quello di Garlate]:, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni.
La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti [Gerenzone, Caldone e Bione, ora parzialmente intubati e/o deviati], scende appoggiata a due monti contigui, l’uno detto di san Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talchè non è chi, al primo vederlo, purchè sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune.
Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo; [qui l'autore parte con la descrizione dal livello più basso e risale verso i monti] poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, [difficile ricavarne un'immagine precisa, se si volesse dipingere un quadro a partire da questa descrizione] secondo l’ossatura de’ due monti, e il lavoro dell’acque. 
Il lembo estremo, tagliato dalle foci de’ torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; [qui, chissà perché, dopo essere salito verso i monti, l'autore torna verso il basso, addirittura verso le foci dei torrenti e poi torna a salire verso il livello medio e di nuovo verso la montagna] il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna.
Lecco, la principale di quelle terre [qui capiamo che con "terre" intende "borghi"], e che dà nome al territorio, giace poco discosto dal ponte, alla riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo ingrossa: un gran borgo al giorno d’oggi, e che s’incammina a diventar città.
Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche un castello, e aveva perciò l’onore d’alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli, che insegnavan la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir dell’estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l’uve, e alleggerire a’ contadini le fatiche della vendemmia. [Queste notazioni sarcastiche ci fanno illudere, come dicevamo, che ce la siamo sfangata con la descrizione geografica e siamo passati alle vicende umane e invece no...]
Dall’una all’altra di quelle terre, dall’alture alla riva, da un poggio all’altro, correvano, e corrono tuttavia, strade e stradette, più o men ripide, o piane; ogni tanto affondate, sepolte tra due muri, donde, alzando lo sguardo, non iscoprite che un pezzo di cielo e qualche vetta di monte; ogni tanto elevate su terrapieni aperti: [fin qui è chiaro: in quella zona esistono strade circondate da muretti, da cui non si gode molto del panorama e altre in campo aperto, magari elevate su terrapieni e poi passa a descrivere il più ampio panorama visibile da queste seconde strade: e qui la descrizione si fa inutilmente complessa] e da qui la vista spazia per prospetti più o meno estesi, ma ricchi sempre e sempre qualcosa nuovi, secondo che i diversi punti piglian più o meno della vasta scena circostante, e secondo che questa o quella parte campeggia o si scorcia, spunta o sparisce a vicenda.
Dove un pezzo, dove un altro, dove una lunga distesa di quel vasto e variato specchio dell’acqua; di qua lago, chiuso all’estremità o piuttosto smarrito in un gruppo, in un andirivieni di montagne, e di mano in mano più allargato tra altri monti che si spiegano, a uno a uno, allo sguardo, e che l’acqua riflette capovolti, co’ paesetti posti sulle rive; di là braccio di fiume, poi lago, poi fiume ancora, che va a perdersi in lucido serpeggiamento pur tra’ monti che l’accompagnano, degradando via via, e perdendosi quasi anch’essi nell’orizzonte.
Il luogo stesso da dove contemplate que’ vari spettacoli, vi fa spettacolo da ogni parte: il monte di cui passeggiate le falde, vi svolge, al di sopra, d’intorno, le sue cime e le balze, distinte, rilevate, mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e contornandosi in gioghi ciò che v’era sembrato prima un sol giogo, e comparendo in vetta ciò che poco innanzi vi si rappresentava sulla costa: e l’ameno, il domestico di quelle falde tempera gradevolmente il selvaggio, e orna vie più il magnifico dell’altre vedute.