giovedì 24 gennaio 2013

La crisi della Fiat (del 1921)

Oggi i media ricordano i 10 anni dalla morte di Gianni Agnelli. Anche noi, a Caterpillar AM, stamattina abbiamo chiamato il direttore de La Stampa, Mario Calabresi, per commentare la ricorrenza, ricordando la figura dell'Avvocato.
Però, colto da curiosità, ieri sera ero andato a consultare uno dei miei siti preferiti: proprio quello dell'archivio de La Stampa. La domanda che mi ponevo era: come avrà commentato il quotidiano degli Agnelli il 21 marzo 1921 la nascita del nipotino Gianni ?
Prima però di aprire l'archivio de La Stampa ho verificato su Wikipedia per scoprire che, innanzitutto, il 21 marzo 1921 La Stampa non era ancora il quotidiano degli Agnelli. Il senatore Giovanni Agnelli, fondatore dell'azienda, nonno di Gianni, al momento della nascita del nipote ne deteneva solo una quota di minoranza, rilevata tra l'altro solo pochi mesi prima (il 1 dicembre 1920). Gli Agnelli diventeranno proprietari della Stampa solo nel 1926, con l'avallo delle autorità fasciste. Infatti su La Stampa del 22 marzo 1921 non si parla affatto della nascita di Gianni Agnelli.
Ma la vera notizia, ricavabile dall'archivio della Stampa, è che al tempo della nascita di Gianni Agnelli la Fiat era in grave crisi: una crisi che, per certi versi, ricorda quella dei nostri tempi.
Nell'ottobre 1920 il senatore Agnelli, visto l'alto livello di politicizzazione delle maestranze, propone addirittura la trasformazione dell'azienda in cooperativa, cedendone di fatto il controllo ai lavoratori, "per il bene dell'azienda". Chavez ne sarebbe stato entusiasta!
La FIOM, invece, pare colta alla sprovvista dall'insolita proposta che la Stampa del 2 ottobre 1920 riporta attingendo pari pari dal quotidiano socialista L'Avanti (qui l'articolo integrale) in un pezzo intitolato Sul progetto del Cav. Agnelli di trasformazione della Fiat
Eccone alcuni passi.
Il cav. Agnelli, amministratore delegato della Fiat (…) propose di iniziare trattative per trasformare l'azienda da lui amministrata in ente cooperativo (…) dato il diffondersi tra le masse delle idealità rivoluzionarie. Da alcuni mesi i dirigenti della Fiat si sentivano assillati dall'incubo di avere in officina alcune decine di migliaia non di collaboratori, ma di nemici (…). Tentando un esperimento di gestione collettiva, in forma cooperativa, la crisi sarebbe superata.
Qualche mese dopo (siamo all'inizio di aprile 1921, gli Agnelli hanno acquistato le quote della Stampa e il piccolo Gianni Agnelli è nato da qualche giorno) della proposta di cooperativa non si sa più nulla: Giovanni Agnelli è in controllo dell'azienda e decide di licenziare 1.500 operai (con la prospettiva di licenziarne a poco fino a 4-5mila dei 20.000 totali). Ma con quale criterio sceglie gli operai da licenziare? Tutti e solo quelli dei reparti in crisi indipendentemente dal credo politico, come vorrebbero i (tutto sommato docili) sindacati?
Macché! Decide di farlo scegliendoli tra le teste più calde. (La storia si ripete eccetera).
Ne rende conto ancora La Stampa in un articolo del 7 aprile 1921 (qui il testo integrale) intitolato Calmo atteggiamento delle Maestranze della "Fiat" dopo la chiusura delle officine
(...) Ciò che dicono gli operai
Uno dei nostri interlocutori, intelligente figura di operaio moderno e vivace parlatore ci disse: - Agnelli ha avuto torto di far questo colpo di testa. Egli avrebbe dovuto separare le due questioni: quella dei licenziamenti con quella della disciplina. Ieri mattina i nostri rappresentanti avevano accettato di massima i licenziamenti e chiedevano soltanto di discutere e possibilmente concordare i criteri coi quali essi sarebbero stati effettuati. Per esempio, i nostri delegati avrebbero voluto che nei reparti dove effettivamente non c'era da fare si fossero licenziati tutti gli operai socialisti, comunisti, popolari o qualunque altra diavoleria essi rappresentassero. Agnelli non accettò. Egli voleva fare una scelta, lasciando così trasparire la volontà di colpire determinati individui.
Non vi ricorda qualcosa?
(Nella foto la mia Fiat Multipla a Porto Rotondo nell'estate del 2011).

sabato 19 gennaio 2013

Se ricalcolando

Sarebbe un mondo migliore se ogni compagnia telefonica (o almeno UNA compagnia telefonica) analizzasse automaticamente il traffico effettuato da ogni cliente e prima di emettere la fattura e ne ricalcolasse il costo complessivo (traffico, promozioni e canone) applicando il piano e le promozioni più convenienti per cliente tra i molti previsti nell'ampio catalogo della compagnia. Non sarebbe una piccola rivoluzione?

Parte la sfida al mondo delle telecomunicazioni: c'è qualcuno che lo farà? Lanciamo una seria campagna finché almeno una di loro non adotterà questa politica?

Obiezioni sparse:
1) Sì ma poi la compagnia cosa ci guadagna?
Ci guadagna soprattutto un botto di clienti (a spese dei concorrenti) a quali viene risparmiato non solo il faticosissimo processo di scelta del piano più idoneo, ma soprattutto il costo dell'eventuale scelta del piano non ideale per il traffico effettuato. Ci guadagna anche un sacco di ore-uomo (a chi è capitato di chiamare i call center di supporto o di frequentare i negozi delle compagnie telefoniche sa quanto tempo viene speso a illustrare ai vari clienti i vantaggi dell'uno e dell'altro piano).
Inoltre renderebbe più chiara la comunicazione pubblicitaria: quante volte di fronte a offerte complessissime noi clienti non siamo assolutamente in grado di capire se l'offerta ci permetterebbe davvero di risparmiare.
2) Ma è possibile tecnicamente farlo?
Siamo nel 2013 e l'informatica qualche passo avanti l'ha fatto. In qualche caso le compagnie già offrono al cliente il ricalcolo del traffico. Ricordo che quando sono stato in Cina per le Olimpiadi attivai una promozione per l'estero a metà della mia permanenza. Al momento di emettere la fattura la compagnia si accorse che per i primi giorni non coperti dalla promozione avevo speso uno sproposito e pur di fidelizzare il cliente, mi offrì di sua iniziativa il ricalcolo dei costi come se avessi attivato la promozione dal primo giorno. Insomma: se lo vogliono sono in grado di farlo.
3) Se fosse possibile l'avrebbero già fatto: questa mossa metterebbe sotto scacco tutti i loro concorrenti. Se non l'hanno fatto evidentemente c'è qualche aspetto tecnico o legale che noi non conosciameo che gli impedisce di farlo.
O magari, sotto sotto, c'è qualcosa di simile a un accordo di cartello? Non dico proprio cartello-cartello (e qui mi rivolgo agli avvocati delle compagnie). Come quando due squadre a fine stagione non si mettono d'accordo esplicitamente a pareggiare. Basta che si guardino negli occhi. Insomma non un cartello, un cartellino. Rosso.

giovedì 17 gennaio 2013

Milano brum brum

La viabilità milanese anni fa è stata disegnata, con ogni probabilità, da un manipolo di criminali pasticcioni e incompetenti.
Molti dei principali viali non sono ufficialmente divisi in corsie (probabilmente perché manca la larghezza della sede per farlo) ma vengono di fatto utilizzati “a due o tre corsie per ogni senso di marcia” dagli automobilisti che si autoregolano viaggiando “a piacere”, confidando che raramente quattro (o sei) auto passino sulla stessa linea nello stesso momento. Questo succede, ad esempio, in Viale Certosa. C'è chi tiene rigorosamente la destra (e viene volentieri sorpassato), chi tiene la sinistra procedendo verso la mezzeria (e viene talvolta superato a destra), chi, più incerto, al centro dell'unica ampia corsia (rendendosi praticamente“insuperabile”). Quando si arriva al semaforo rosso (e in Viale Certosa ce ne sono parecchi) le colonne si devono necessariamente serrare: i più temerari restano disposti su due file per ogni senso di marcia mettendo seriamente a repentaglio gli specchietti al momento della ripartenza. I meno coraggiosi restano incolonnati in fila indiana nei pressi del semaforo.
Le istituzioni ignorano il dramma continuamente sfiorato e confidano ipocritamente nella capacità di autoregolazione degli automobilisti. Lo stesso problema si presenta anche in Corso Sempione dove le corsie “informali” sono addirittura tre e non due per senso di marcia.
Ma tutto sommato i casi di Viale Certosa e Corso Sempione non sono i più gravi della scena milanese in quanto lungo il loro tracciato è vietata la svolta a sinistra. La maggior parte dei viali milanesi invece, oltre a questo problema delle “corsie informali”, presenta quello della “svolta a sinistra a tradimento”.
Come funziona?
Si prenda il caso ad esempio di Via Galvani procedendo verso la Stazione Centrale. Le auto si spalmano sulla strada con quel misto di anarchia e sapienza sopra descritto. Ovviamente i veicoli più rapidi si disporranno verso sinistra, per superare quelli più lenti che scorreranno tenendo più la destra. Quand'ecco che, senza alcun preavviso, in prossimità dell'incrocio semaforico con via Fabio Filzi, sulla pavimentazione stradale compare l'indicazione della divisione in corsie della carreggiata.
E, sorpresa delle sorprese, per chi non conosce questa simpatica caratteristica delle strade milanesi, la zona sinistra della carreggiata, si trasforma dalla corsia a scorrimento più rapido in una corsia con obbligo di svolta a sinistra, costringendo i veicoli “più rapidi” a riconvergere pericolosamente verso destra tagliando la strada ai più lenti (o anche semplicemente agli habitué di via Galvani che conoscono il fenomeno).
La maggior parte dei conducenti che deve proseguire verso la Stazione Centrale, se la corsia è libera, si limita a farlo, ignorando l'obbligo di svolta, causando comunque un po' di sconcerto tra i chi procede nella corsia di destra che non si aspetta di essere affiancato nell'attraversamento dell'incrocio. La cosa diventa però particolarmente pericolosa quando i conduttori dei veicoli “rapidi”, che sono stati sorpresi dall'obbligo di svolta, si trovano la corsia ostruita da altri veicoli bloccati in attesa di girare correttamente a sinistra, non appena il semaforo mostrerà la freccina verde a sinistra. Nove automobilisti su dieci, in questi casi, tentano di reinserirsi a destra nel flusso del traffico causando rallentamenti, frenate, quando non tamponamenti e urti.
A volte il rosso scatta proprio quando il conducente del veicolo incolonnato a sinistra, sta per impegnare l'incrocio. Dovendo andare diritto e rendendosi conto di essersi incolonnato male, il conducente spera di poter sgommare alla ricomparsa del verde tagliando davanti ai veicoli correttamente incolonnati a destra. Ma ecco che quei geni della viabilità fanno scattare prima la freccina verde per la svolta a sinistra. Ovviamente le auto che seguono il malcapitato, e che davvero devono svoltare a sinistra, inizieranno a dare sfogo a ogni sorta di segnalazione acustica, al che al malcapitato non resta che “appoggiarsi” mestamente e lentamente davanti alla colonna di destra, in una zona di nessuno dalla quale non riesce neanche a vedere il colore del semaforo prendendosi gli insulti degli automobilisti di entrambe le corsie.
Ho preso l'esempio di Viale Certosa e di Via Galvani, ma fenomeni di questo tipo sono riscontrabili ovunque sulla rete viaria milanese, specialmente nei viali principali (nella foto, ad esempio, Corso Buenos Aires), rendendo la circolazione sempre malagevole, specialmente se paragonata con quella di città limitrofe e dimensioni analoghe, come Torino. Ma perché nessuno fa nulla? Perché i cittadini sopportano da secoli tutto questo con rassegnazione? E le istituzioni che fanno, dormono?