martedì 30 maggio 2017

Blue Whale Challenge: due o tre cose che ho capito

1) La Blue Whale Challenge – per come ce la raccontano, ovvero con i tutor online di origine russa che guidano gli adolescenti attraverso cinquanta tappe di autolesionismo fino al suicidio  – è una bufala;

2) Diversamente da quello che pensano alcuni giornalisti, è importante inquadrarla come tale (come bufala): sia per smontare l'allarme sociale (su grande scala), sia per smascherarne goffi tentativi di simulazione/emulazione (su piccola scala). Sono stati segnalati infatti alcuni sporadici casi di adolescenti che “simulavano” di avere seguito la procedura della Blue Whale: piccoli episodi reali che si appoggiavano "per darsi un tono" o "per appoggiarsi a una narrazione" a un fenomeno finto;

3) Incredibilmente, come commenta con rammarico, tra gli altri, anche Simone Spetia di Radio24, i media invece di contribuire ad accertare i fatti e a smontare il castello, alimentano la panzana, per quattro copie o un click in più.


Non sto dicendo che in questi giorni non si siano verificati casi di autolesionismo adolescenziale, ma episodi di questo tipo sono sempre esistiti e ne ho visti in prima persona: quando avevo sedici anni un amico coetaneo si tagliuzzava le braccia. Ma a quel tempo, se fosse stato colto sul fatto dai genitori, non avrebbe avuto una bella favola come la Blue Whale Challenge da citare. E casi di suicidio tra gli adolescenti se ne sono sempre registrati.

Ritengo anche possibile che qualche genio del male abbia steso una versione italiana dei cinquanta step da seguire verso la morte. Ma da qui a dire che anche solo un adolescente italiano sia stato guidato da veri e propri online tutor e/o curatori in carne e ossa, attraverso i cinquanta step che portano alla morte (l'unico fatto che smentirebbe la mia posizione) ce ne passa.

Ma, guarda caso, non abbiamo ancora nemmeno un caso significativo di apertura di indagine contro un tutor/curatore di Blue Whale Challenge, almeno in Italia.

Eppure ancora oggi ci tocca leggere di articoli come questo della ADN Kronos: Blue Whale, la testimonianza: "Ecco come ha iniziato mia figlia (mi spiace linkarlo, vorrei non dargli troppa visibilità, ma mi tocca) in cui a un certo punto leggiamo: "Il telefono ha squillato all’alba – dice all'AdnKronos la mamma della ragazzina –. Ho risposto col cuore in gola perché ho pensato fosse successo qualcosa. Era un poliziotto che mi informava che mia figlia era nel gioco della Blue Whale e che rispondeva alle sollecitazioni di un curatore che, di giorno in giorno, le ordinava le regole della sfida". L'articolo di ADN Kronos è già stato ripreso abbondantemente da molti media e ha già 581 like su Facebook, prima ancora che la Polizia (non era un poliziotto che avvisava la madre del "curatore"?) abbia ancora emesso un comunicato sulla effettiva consistenza dell'accusa e – soprattutto – dell'esistenza dei “curatori”. 

Un altro caso riportato anche da RaiNews ha a che vedere con un ragazzo russo, probabilmente un mitomane, che si è appoggiato alla favola ormai imperante per spaventare un'amica.

Ci sono poi articoli come questo de il Tempo: Nuovi fan per blue whale, il gioco del suicidio: interviene la polizia. Sulla presunta moda russa collegata ai social in allerta anche gli insegnanti: "Non sottovalutiamo i segnali che ondeggiano tra il dar credito al fenomeno e il denunciarne la falsità. Ma sono importanti perché alla fine segnalano che la Polizia ha accertato che altri due casi riportati a Roma sono risultati due atti di simulazione/emulazione.

Concludendo:
1) Sono pronto a cambiare idea, ma finché non mi portano una dichiarazione di una forza di polizia in cui si conferma l'esistenza di un tutor o curatore che abbia instradato anche solo ai primi passi (dei cinquanta totali) della Blue Whale Challenge un adolescente italiano io continuerò a pensare che siamo in presenza di una immensa bufala;

2) Ancora una volta il programma Mediaset “Le Iene” si è rivelato un fattore-chiave nella diffusione di una falsa notizia (qualche campanello i giornalisti bravi avrebbero dovuto percepirlo, vista l'autorevolezza della fonte);

3) La popolarità della bufala sta creando una serie di tentativi di simulazione/emulazione che ne rafforzano la credibilità creando allarme sociale e vestendo di “Blue Whale Challenge” atti di autolesionismo adolescenziale che, molto probabilmente, si sarebbero verificati comunque;

4) Si tratta certamente di una buona cosa che le istituzioni, le famiglie e le scuole si mobilitino contro il fenomeno, ma prima di tutto devono capire se si tratta di una cosa reale o se di un racconto a cui si appoggiano gli adolescenti in difficoltà per dare sfogo al proprio disagio: disagio che va sempre preso sul serio, ma che andava preso sul serio anche nel 2015 o nel 1980 ben prima della "moda" della Blue Whale Challenge;

5) Ho notato che anche alcuni amici adulti che dovrebbero essere adulti e vaccinati contro le bufale, per il solo fatto di avere figli di quell'età si sono agitati e si sono fatti cogliere impreparati e sono stati propensi a credere al fenomeno: anche per loro ho scritto questo post.