venerdì 27 giugno 2014

Che Pippa sarei stato!


È passato un anno, meno due giorni, dalla pubblicazione di questa splendida pagina di diario di Pippa Middleton che rappresenta, esattamente, quello che sarei voluto essere in una delle mie cento vite, quella più egoista. 

Certo la prima scelta sarebbe quella di incarnarsi direttamente in Roger Federer che gioca, e spesso vince(va), a Wimbledon. Magari, una volta nei suoi panni, avrei corteggiato Ana Ivanovic invece di Mirka Vavrinec.

Ma tutto sommato, penso che avrei rinunciato senza troppo sforzo all'ammirazione di DFW e di tanta gente come me e mi sarei facilmente accontentato anche solo di essere Pippa che supporta Roger bevendo Pimm's e degustando fragole con panna, dalla tribuna del Centre Court di Wimbledon. E che poi ne scrive sullo Spectator. Tutto sommato, molta meno fatica.

Il fatto che il pezzo dello Spectator possa non essere un suo articolo, ma una parodia apocrifa, tanto è ben scritto, nulla toglie al fascino della situazione che si sta peraltro riproducendo anche quest'anno, come i fotoreporter testimoniano.

Provo una nostalgia atroce per non essere mai stato a Wimbledon, un posto di cui mi piace tutto, almeno credo, a partire dall'accoppiata verde e viola del simbolo.

La pagina di diario di Pippa, tra l'altro, chiarisce come sia poi andata a finire la storia della sua sfida a ping-pong con Boris Johnson. Come al solito la rete riempie pagine e pagine al momento dell'annuncio, ma poi non ci racconta mai come le cose vanno a finire, specie se poi le cose non vanno a finire da nessuna parte.


sabato 14 giugno 2014

Ciuf, ciuf: la sfida della modernità.


La modernità è bella, ma ci pone spesso davanti a sfide bizzarre, che richiedono tempismo, flessibilità e apertura mentale. Ciononostante non ha senso cullarsi nella nostalgia di un tempo che non è più.

Poniamo, ad esempio, che nell'anno del Signore 2014, dobbiate partire in treno da Senigallia alla volta di Milano nel tardo pomeriggio di venerdì 27 giugno per una questione indifferibile per poi tornare la mattina successiva per il gran finale del CaterRaduno 2014.

Oltre allo scorno di perdervi i magici Perturbazione sarete costretti a prendere un biglietto e se siete moderni come me, lo farete online. Se vi piace la comodità, rispetto alla velocità vorrete salire a Senigallia e arrivare a Milano senza cambiare treno c'è il Frecciabianca 9826 di Trenitalia che parte alle 17:39 e che vi porta a Milano in 3:46 per 51,50 euro. Volendo sbattersi un po' salire e scendere dal treno, cambiare a Bologna il tempo si abbatte a 3:01, con un piccolo costo supplementare di 6,50 euro per un totale di 58 euro.



Ma se avete qualcuno o qualcosa che vi porta ad Ancona o Pesaro, oppure non siete esattamente a Senigallia, ma nei pressi, c'è Italo. Ora prendendo il treno 9996 alle 18:13 da Ancona (2:56) trovate la soluzione SMART a 32 euro. Eccola qui sotto:




Se invece, udite, udite, salite sullo stesso treno a Pesaro (ovvero un po' più avanti sul tragitto verso Milano) la soluzione SMART non c'è più e spendete minimo 40 euro. Facendo meno strada sullo stesso treno!


Soluzione: se vi trovate a Pesaro e volete andare a Milano con Italo comprate il biglietto da Ancona e salite dopo.

Avvertenza: da ora in poi controllate sempre se sullo stesso treno potete acquistare biglietti da stazioni più lontane, i prezzi potrebbero essere inferiori.

Domanda, leggermente OT: perché sul sito di Trenitalia ti mostrano sempre per prima l'opzione Frecce, ma se poi devi verificare anche "Tutti i treni", devi reimmettere tutti i dati.

Ancora Finlandia - (Bagnai reloaded quarta parte).


Finlandia. Anche se non si è qualificata per i Mondiali di calcio, la Finlandia occupa ancora i miei pensieri. Visto che questo è già il quarto post sul tema Euro, chiedo agli appassionati di andarsi a vedere i tre (1, 2, 3) precedenti e in particolare l'ultimo in cui si apriva il discorso sulla Finlandia.

Comparazioni. Considerato che io di economia capisco veramente poco, ho preso in simpatia la Finlandia (anche se Bagnai la chiama, non del tutto ingiustificatamente, "il paese delle zanzare") soprattutto per un motivo: perché tra le nazioni dell'Eurozona è quella che ha nei propri paraggi alcuni altri Paesi (i Paesi scandinavi) con geografie, dimensioni e culture (tranne la lingua) abbastanza simili, ma che o 1) sono rimasti fuori dalla UE (Norvegia, Islanda); o 2) sono nella UE, ma non nell'Eurozona (Svezia, Danimarca). Mentre la stessa Finlandia è sia nella UE sia nell'Eurozona. Il che ci dovrebbe permettere, almeno teoricamente, di fare delle comparazioni decenti.

QED. Un paio di frequentatori del blog di Alberto Bagnai mi hanno segnalato, via twitter, un articolo (della serie QED) del professore che, espandendo alcune pagine del suo Il tramonto dell'Euro, lo scorso gennaio analizzava più in dettaglio, guarda un po', proprio il caso finlandese. Mi hanno detto, grosso modo: "Ardemagni prima di parlare a vanvera di Finlandia, vatti a vedere quell'articolo". (Nella foto a destra l'autore del post poco dopo il rinvenimento di un Boletus Edulis, volgarmente detto Porcino).

Fuori discussione. Prima di tuffarci nella analisi del post, visto che mi arrivano critiche di vario tipo dai frequentatori del blog di cui sopra, (tra cui quella di amante dell'aneddotica da cui cercherò di difendermi con questo post) ecco alcune cose che accetto tranquillamente e che vorrei pertanto "togliere" dal dibattito in quanto non più oggetto di disputa: 1) concordo che l'Unione Europea, e la moneta unica in particolare, non sono tutte rose e fiori come una certa stampa e una certa politica ci hanno fatto credere per anni; 2) il fatto di poter svalutare quando serve, o più in generale avere una propria sovranità monetaria, rispetto a sottostare alla BCE, comporta anche (e sottolineo anche) dei vantaggi (qui non ci interessa valutare quanto profondi e permanenti) che noi abbiamo perso adottando l'Euro; 3) anche la Finlandia non è il paradiso in terra, e fondamentalmente la Finlandia non m'interessa più di tanto se non per farci dei ragionamenti sopra e per vedere se e quali danni ha fatto l'Euro in quella nazione; 4) io non sono pregiudizialmente contrario all'intervento pubblico, anzi in certi ambiti è assolutamente indispensabile (tipo infrastrutture molto costose, difesa, istruzione, eccetera). Ho voluto aggiungere anche questo quarto e ultimo punto anche se non è strettamente correlato all'Euro perché mi arrivavano osservazioni anche in questo senso. Ovviamente sono contro l'eccesso di spesa pubblica (e nel nostro paese siamo ben oltre il limite) e sono contro lo spreco di risorse pubbliche. Quindi per favore non torniamo a dibattere su questi quattro punti.

Permanenti perplessità. Ovviamente sullo sfondo ci sono sempre le mie perplessità di base. Se è ormai attestato che l'Euro non è tutto "rose e fiori", sarà anche così vero che l'Euro è precisamente Belzebù? O, per dirla un po' più lineare, non è che Bagnai (e Giordano e Borghi ecc). stiano sovrappesando il fattore-Euro rispetto a una ventina di altri fattori (rimando agli altri post) che possono spiegare meglio la nascita e lo sviluppo della crisi in Italia e/o nell'Eurozona e che andrebbero fronteggiati con priorità più alta rispetto al prendere in considerazione l'uscita dall'Euro? E ancora: non è che, anche psicologicamente, alcuni stiano ricadendo nell'antico errore di trovare un facile capro espiatorio "esterno"?  Questi dubbi irrisolti (anche se una risposta provvisoria me la sono data) restano per me fondamentali e sono quelli che mi spingono a riflettere (e a cercare) oltre.

Il debito estero. Veniamo ora alla Finlandia e al testo di Bagnai che mi è stato suggerito come risposta implicita al mio precedente post. Dico subito che per ora non tratterò tutti gli aspetti, ma partirò dal punto fondamentale: il debito estero.

Andiamo alle ultime righe del post di Bagnai. Qui ci viene ricordato molto chiaramente che già dal 2010 il Professore ci aveva segnalato, sul Centro di Pescara, che "la variabile più importante per monitorare lo stato di salute di un paese è il suo indebitamento estero" (il grassetto è mio).

Tornando su alle prime righe dell'articolo troviamo un estratto de Il tramonto dell'Euro (a partire da pagina 29 nella versione cartacea in mio possesso) in cui viene espresso lo stesso concetto. Per essere ancora più chiaro, e ribadire ancora meglio il punto, Bagnai avrebbe potuto estrarre la citazione dal proprio libro partendo da un paio di pagine prima. Anche lì sul libro, infatti, Bagnai ci invita a non concentrarci troppo sul debito pubblico e a focalizzarci su quello estero. Ad esempio a pagina 27, cercando di smontare alcuni luoghi comuni come "La crisi è causata dal debito pubblico", egli scrive: "I dati non dicono questo. Certo il debito pubblico italiano è relativamente elevato in rapporto al PIL, ed è chiaro che ciò vincola l'azione della politica fiscale. Ma prima dell'Italia sono stati colpiti dalla crisi Paesi con debito pubblico molto piccolo (come la Spagna e l'Irlanda)...".

Quindi il debito pubblico non è il problema dei problemi. E allora qual è un indicatore significativo? Ce lo ribadisce ulteriormente poco più sotto: "I Paesi più fragili, cioè, non erano quelli con maggior debito pubblico, ma con maggior debito estero (pubblico e soprattutto privato)". Il fattore chiave è il debito estero.

E arrivando a pagina 29, Figura 2, ci mostra una tabella del FMI 2010 (ma i dati si riferiscono al 2007) con la Posizione finanziaria netta/PIL di undici nazioni. Si tratta della stessa tabella riprodotta in testa all'articolo, in cui si evidenzia che solo Belgio e Germania sono "creditori netti", mentre "la Finlandia viene a trovarsi in mezzo al gregge delle pecore nere"". Insomma: occhio al debito pubblico e soprattutto privato verso l'estero. Solo Belgio e Germania sono messi bene da quel punto di vista.

Da quella tabella Bagnai parte per dire: ragazzi noi non siamo affatto sorpresi della crisi attuale della Finlandia. "La crisi non è arrivata in Finlandia. La Finlandia era già in crisi."

In altri termini: la Finlandia ha appena avuto due anni negativi (-1.0% e -1.4% nel PIL reale del 2012 e 2013, dati Eurostat) e cede i suoi gioielli, come la telefonia della Nokia a Microsoft (ricordiamo che la Nokia nel 2009 rappresentava ben il 1,6% del PIL finlandese) per colpa del suo debito estero. Un bel disastro, ma Bagnai dice che lo sapeva, che potevamo arrivarci a partire dai dati del 2007.

Riflettendoci meglio però mi salta all'occhio una cosa strana che non avevo notato leggendo il libro. Perché mai ci vengono mostrati i dati del 2007? Passi nel libro che è del 2012, e usa i dati FMI del 2010 riferiti al 2007. Ma l'articolo è del 2014. Perché troviamo ancora i dati di sette anni fa?

In che misura è possibile stabilire un nesso causale tra una posizione finanziaria netta piuttosto negativa nel 2007 (perché, come vedremo, è tale solo nel 2007) e una crisi di crescita nel 2012-13?

E allora sono andato a cercare i dati attuali e, già che c'ero, quelli storici. La "Posizione finanziaria netta" in inglese si chiama "Net International Investment Position" (NIIP). Non sono riuscito a trovarla né sul sito del FMI o dell'OECD (dove ci sono valanghe di altri dati analoghi o "linitrofi", ma non ho trovato questo) e nemmeno, in quanto tale, negli Stability Report semestrali del FMI (che pure contengono altri dati interessanti che potremmo discutere più avanti). Ho però trovato un riepilogo recente su Wikipedia (con moltissime fonti incluse), ma soprattutto ho trovato il migliore report in merito per l'Europa che è questa tabella dell'Eurostat che contiene non solo i dati del 2007 (quelli correttamente estrapolati da Bagnai), ma anche quelli a partire dal 1971 (ove disponibili) fino al 2013. Che pubblico qui sotto. Oltre agli undici paesi scelti da Bagnai ho aggiunto UK e Svezia (questa per contiguità geografica). Nella figura ho messo i dati solo dal 2002, perché i dati di alcune di nazioni non sono presenti dall'inizio. La Finlandia è la riga arancione che ho evidenziato rendendola più spessa. La colonna del 2007 rappresenta esattamente, con diversa grafica, la Figura 2 del libro di Bagnai, ma qui ci sono anche gli altri anni.



Sorpresa. Se accettiamo la posizione di Bagnai (vedi citazione a pag. 28 sopra riportata) che questo specifico parametro del NIIP sia così importante per valutare la "fragilità" di un'economia, beh, allora l'economia finlandese, oggi, dovrebbe essere una delle meno fragili d'Europa: la Posizione finanziaria netta finlandese è invidiabile. Si tratta della sesta (su un totale di 28) in Europa dietro Lussemburgo, Olanda, Germania, Belgio e Danimarca, ma davanti alla vicina Svezia. (Vicina ma fuori dall'Euro: e allora come mai fa peggio della Finlandia sia nel NIIP che nello spread sui bund tedeschi?). Per essere ancora più precisi la posizione della Finlandia è invidiabile non da oggi, ma dal 2008, ovvero, con Lapalisse, dall'anno seguente a quello mostrato nella tabella del 2007.

Prego infatti tutti di dare un'ulteriore occhiata: degli ultimi dieci anni, il 2007 (l'anno preso in considerazione da Bagnai) è l'anno peggiore per la Finlandia: è l'unico in cui scende sotto l'undicesimo posto tra i 28 Paesi dell'Eurozona (quell'anno fu addirittura quindicesima). Ma già a partire dal 2008 il debito estero finlandese quasi si azzera (ricordo che i dati sono di stock di debito/credito, ovvero quello accumulato negli anni, non il flusso specifico dell'anno in oggetto) per poi passare in positivo stabilmente a partire dal 2009. Ed in positivo è ancora oggi (dati 2013). Recentemente infatti (2009-2013) la Finlandia, per questo specifico parametro, è stata stabilmente tra il quinto e il settimo posto dei 28 paesi dell'Eurozona e tra i pochi Paesi sempre in positivo negli ultimi cinque rilevamenti. Cosa che - fra l'altro - non le era riuscita mai nella propria storia: era stata un paese sempre moderatamente debitore fin da quando i dati sono disponibili - 1975 - con numeri fondamentalmente stabili. I dati storici sono pubblicati nella tabella qui sotto.



Dopo una tradizione di moderato debito estero, si osserva una parentesi particolarmente negativa a partire dal 1990 in cui si verifica un aumento del debito verso l'estero/PIL, con un picco particolarmente negativo nel 1999. Ma da quel momento risale e nel 2003 torna ai valori tradizionali, per poi migliorare ulteriormente in maniera costante, tranne la caduta (quel piccolo avvallamento) del 2007 (in cui peraltro, all'interno di un trend positivo, si limitava a ricadere sui suoi tradizionali valori moderatamente negativi 1975-1990).

Quindi delle due l'una: o non è vero che quel parametro, di per sé, sia così importante in termini predittivi oppure dispiega i suoi effetti in tempi molto lunghi. E in ogni caso prendere il debito estero particolarmente negativo proprio del 2007 come base per considerazioni sulla crisi attuale Finlandia mi sembra particolarmente fuorviante, perché tutti gli altri anni di quel periodo storico sono messi meglio. Strano che nessuno dei suoi amici l'abbia fatto notare a Bagnai.

C'è anche un'altra possibile spiegazione: la Finlandia, poco dopo il 2007, ha avuto un altro anno molto negativo ovvero il terribile, un po' per tutti: l'anno 2009. In quell'anno il PIL reale finlandese ha fatto -8.5%. Allora, magari è lì, in quella occasione, che è stato "pagato" il tributo in termini di crescita al dato relativamente negativo della Posizione finanziaria netta del 2007. Sembra più ragionevole, anche per i tempi più ravvicinati. Se però poi andiamo a vedere il 2009, la Germania che è stata sempre positiva nella Posizione finanziaria netta ha comunque fatto un disastroso -5.1% e l'Olanda, che avrebbe dovuto fare peggio della Germania, in quanto nel 2007 aveva una Posizione finanziaria netta negativa, ha fatto relativamente meglio: -3,7%.

Ovviamente, non c'è bisogno di dirlo, è abbastanza limitativo prendere quella variabile da sola (ma non sono stato io ad additarla come fondamentale): occorre, volendo seguire i ragionamenti a livello più globale, considerare quanto meno le dinamiche di PIL e inflazione, e soffermarci anche sui saldi settoriali e magari studiare anche le tappe di avvicinamento all'Eurozona dei vari paesi. Dato che però questa, per me profano, è materia particolarmente ostica, ci andrò con i piedi di piombo nei prossimi giorni. Ma sarà un bagno di sangue.

Raccomandazione per tutti: se ho cannato qualcosa, fatemelo notare con calma, non crocifiggetemi: sono un ragazzo sensibile. E qualsiasi spiegazione che possa aiutarmi a capire meglio è benvenuta.

Sfida. (Anzi no: gentile richiesta). Poi però, visto che sono anche un ragazzo frizzantino, lancio una piccola sfida. Anzi no, è una gentile richiesta. Chi si sente in grado di ricostruire la terza tabella del QED di Bagnai (quella sui saldi settoriali finlandesi) a partire dai dati grezzi che si possono trovare sul sito del FMI ovvero qui? Io l'ho fatto e posso garantire che si tratta di un'esperienza istruttiva e che potrà tornarci utile in seguito. Dai, chi se la sente? Non vorrete passare solo per abili polemisti, vero?

mercoledì 11 giugno 2014

Ah, questa Finlandia. Ma come farà? (Bagnai e dintorni parte terza)


Il mio precedente intervento si chiudeva invitando il professor Ponti a spiegare meglio un suo tweet in cui, parlando di ricerca e sviluppo, diceva testualmente: il privato pretende un ROI di mercato (magari a tre mesi), il pubblico no (se è sovrano). A questo tweet io avevo risposto ricordandogli che (dati del 2011) la Finlandia, che non ha più una propria politica monetaria sovrana, ha speso in ricerca e sviluppo il 3.1% del PIL contro un misero 1,6% della Norvegia la quale, essendo fuori dall'Eurozona (e fuori dalla UE) ha una propria banca centrale e una politica monetaria autonoma.

Ecco, in rosso, la risposta di Ponti (si trova anche nei commenti al precedente post, mi sono permesso di correggere qualche piccolo refuso) ed alcuni miei commenti (in nero). Fate attenzione al colore: in rosso è sempre Ponti anche se all'inizio mi cita (tra virgolette).

Sono sinceramente lusingato da tanta attenzione, troppo onore. Lasciamo perdere "adepto",e "fare il grosso", che pure meriterebbero...

Ammetto che i due virgolettati (miei) erano un po' irrispettosi e guasconi, ma venivano in risposta ad affermazioni che avevo trovato vagamente indisponenti. Sono comunque d'accordo a chiudere qui questo aspetto, che non ci fa fare passi avanti nel merito. (Nella foto a lato la festa di inaugurazione dell'Eurovision Song Contest 2014 a Copenhagen),

Concentriamoci sulla domanda finale: "Se Ponti, che sul suo profilo twitter dice di fare il professore di diritto amministrativo e non il picchiatore o l'usciere (con il massimo rispetto per gli uscieri) mi legge qui, provi innanzitutto a spiegarmi perché ritiene che soltanto se "è sovrano" il pubblico potrebbe investire nella ricerca e nello sviluppo"

A me la risposta appare di una banalità disarmante, ma va comunque data. Grazie. Per sovranità monetaria si intende la possibilità, per lo stato, di fissare (più o meno direttamente, ma comunque controllando l'esito) i tassi di interesse ai quali lo Stato medesimo remunera i titoli del debito che emette (in modo inesatto e fuorviante si dice "stampare moneta"). Nel nostro paese funzionava così prima del "divorzio" tra Banca d'Italia e Tesoro. Bene, lo sapevamo già, ma mi può star bene come definizione: del resto l'onere della definizione spettava a chi ha introdotto il tema della sovranità.

Ora, se io (stato) posso finanziarmi a queste condizioni, dispongo di consistenti margini di manovra nel finanziare gli investimenti, e potrò più agevolmente (e con maggiori mezzi) dedicarmi a finanziare tutte quelle forme di investimento cui il privato invece NON si dedica perché NON garantiscono un ritorno certo, o significativo. I casi sono molteplici (ricerca curiosity oriented, beni comuni, infrastrutture), in cui o manca il profitto (perché lo stato non intende guadagnare) oppure il profitto non è certo (non lo so chi e quando scoprirà che cosa, e che profitti ciò potrà generare).
Qui per me si fa un po' di confusione mescolando due argomenti. 1) Il primo argomento è attinente al quesito: chi finanzia quella parte di ricerca che non ha un ritorno immediato? Lo farà il sig. X (imprenditore privato) o lo Stato Y?. Non c'è dubbio, neanche da parte mia, che sia più facile che sia lo Stato. Il caso più tipico è quello della ricerca sulle malattie rare. L'industria farmaceutica ha ovvie difficoltà a investire milioni per tentare (senza garanzie di successo) di creare farmaci per curare una malattia che ha poche decine di pazienti. Le istituzioni pubbliche, che giustamente hanno come missione quella di tentare di non lasciare indietro nessuno, possono contribuire, magari sostenendo economicamente la ricerca della società del sig. X (ora però non dimentichiamoci che in moltissimi paesi esistono fondazioni tipo la Fondazione Telethon, che supportano la ricerca sulle malattie rare grazie al sostegno dei privati cittadini e questo avviene sia in Stati con sovranità monetaria sia in stati senza sovranità monetaria). In ogni caso, ripeto, non ho nessuna difficoltà ad ammettere che è più facile che sia il pubblico che non il privato a finanziare quella parte della ricerca che non ha un ritorno immediato. Non accetto invece l'affermazione che gli stati "sovrani" abbiano meno difficoltà a finanziarla rispetto agli stati non sovrani. E il caso Finlandia-Norvegia è lì a dimostrarlo: la Finlandia, non sovrana, spende il doppio del proprio PIL in ricerca e sviluppo rispetto alla confinante Norvegia. Insomma: Stato Y batte Sig. X, ma non necessariamente batte Stato W. 2) il secondo argomento è attinente a un'altra domanda: io, Stato, in generale, (indipendentemente da come poi spendo) come mi finanzio? Ma questo piano va tenuto ben distinto dal primo.

Ora, se invece lo Stato decide di finanziarsi SUL MERCATO FINANZIARIO, cioè rinuncia alla sovranità monetaria, cioè si fa prestare i soldi sul mercato ed alle condizioni di mercato, ecco che i margini di manovra si riducono notevolmente. perché i capitali privati vogliono essere remunerati. 

perché il tasso lo stabilisce il mercato (e non più lo Stato). 

Qui siamo ancora in pieno "argomento 2". L'investitore che deve prendere titoli di Stato finlandesi, difficilmente sarà spaventato dal fatto che siano al sesto posto nel mondo per ricerca e sviluppo. Comprerà titoli di Stato finlandesi (stato non monetariamente sovrano), indipendentemente da come spendono i soldi gli amici di Helsinki, facendo una valutazione sul tasso proposto e sul rischio che il debito non venga onorato. La stessa cosa verrà fatta quando valuterà l'acquisto di titoli norvegesi (stato con sovranità monetaria).
Ora ci troviamo di fronte a una situazione particolare: la Finlandia, che A) non è stato monetariamente sovrano, e che B) spende quasi il doppio della Norvegia in ricerca e sviluppo, ha - oggi - uno spread molto più basso della Norvegia.
Cioè oggi, 11 giugno 2014, paga il proprio debito a un tasso medio di 1,607% (spread vs. Bund a 19,7) contro il 2,654% dei norvegesi (spread vs. Bund a 124,4, ovvero un livello - adesso possiamo dirlo - quasi italiano). 
Evidentemente gli investitori non si stanno preoccupando molto del fatto che i finlandesi non abbiano sovranità monetaria e spendono un sacco in ricerca e sviluppo. Anzi: permettendo ai finlandesi di approvvigionarsi a tassi così bassi, i mercati non scoraggiano i finlandesi a proseguire nella loro opera di finanziamento della ricerca.
Questo sembrerebbe contraddire in modo significativo le affermazioni di Ponti. Ma siamo qui ad attendere le sue eventuali controdeduzioni.

Si noti, per altro, che date queste condizioni, quando capita che la necessità di ricorrere alla spesa pubblica si fa più impellente (nei cicli economici avversi), come leva per rilanciare la crescita, è allora che il denaro (sui mercati) finisce per costare di più, perché il ciclo è negativo, l'economia non tira, e gli investimenti sono più rischiosi. Cioè, la rinuncia alla sovranità monetaria (via indipendenza banca centrale) rende più costosa la spesa pubblica proprio quando ce ne è più bisogno (forte, no?)


Su questo posso concordare: la mancata sovranità, in quei momenti tosti, ti toglie un'arma (la svalutazione) il che può avere messo noi, e magari anche la Finlandia, in difficoltà nei momenti peggiori della crisi finanziaria (quando il nostro spread era sopra i 500 punti), ma A) da allora le istituzioni europee hanno studiato migliori misure di salvaguardia, e altre sono in fase di realizzazione B) una volta finita la fase acuta, il fare parte dell'Eurozona, è tornato, come prima della crisi, a dare il vantaggio di permettere noi (e la Finlandia) di finanziare il debito a tassi ragionevoli.

Se a questo ci aggiungiamo: 
1) la rinuncia alla sovranità di cambio, ciò che rende impossibile rilanciare l'economia mediante le esportazioni via svalutazione (quindi, meno probabile la ripresa, quindi più rischioso l'investimento in attività produttive, quindi più costoso il denaro anche per lo stato);
2) la rinuncia alla sovranità fiscale (perché il fiscal compact, che noi ci siamo addirittura autoimposti in costituzione, tagliandoci le palle quando a Bruxelles ci avevano chiesto solo di strizzarle molto forte), con il che - quand'anche lo stato volesse spendere più di quanto incassa, indebitandosi a prezzi di mercato pur di rilanciare l'economia (e fidando sull'effetto del moltiplicatore fiscale, appunto) - non lo si può fare; percui se vuoi spendere di più devi incassare di più in tasse, ma se alzi le tassi deprimi ulteriormente l'economia (austerity, hai presente? citofonare Monti), ergo il denaro costa ancora di più, spirale del debito e via andare...

... ecco che i margini per fare spesa pubblica si sono AZZERATI.

Falso: il caso della Finlandia è lì a dimostrarlo. Sia ben inteso: non sto qui dicendo che la Finlandia sia il paradiso in terra. L'unico punto qui è il livello di spesa pubblica in ricerca e sviluppo/PIL in uno stato dell'Eurozona.

Se lo stato si mette in mano ai mercati per procurarsi le risorse di cui abbisogna (e che gli abbisognano di più quando c'è crisi, cioè quando è più rischioso investire, ed il denaro costa fatalmente di più...) disporrà di minore (o, al limite, di nessuna) capacità di spesa. In particolare, per quella spesa che lui solo (lo stato) sarebbe in grado di fare (perché il privato non la fa).

Nei momenti acuti è vero, ma valgono le considerazioni di cui poco sopra.

Chi è dentro l'euro:
1) o è la Germania (che si finanzia a tassi negativi ormai da 4 anni), ed è quindi sostanzialmente sovrano (visto che la BCE fa gli interessi della Germania)

2) oppure non è più sovrano, e quindi non ha più margini di politica economica, e quindi è nella merda fino al collo.

Falso: il caso della Finlandia è lì a dimostrarlo.

Benedetto Ponti

PS:(basta andare sul sito della mia università, unipg.it, per trasformare rapidamente un "dice di fare il professore" in un "fa il professore") 

Qui non c'era nemmeno l'intento irriverente e un po' guascone da parte mia (vedi primo commento in alto: intendevo semplicemente dire che Ponti, nel suo profilo twitter "ci segnala che fa il professore").

Postilla importante: Perché non sembri che io sono l'unico fissato nel confrontare Svezia e/o Norvegia vs. Finlandia (ma, come dicevo, le comparazioni così "comode" sono poche) prendete questo articolo di fine novembre 2011. Il buon Joe Weisenthal, un anti-eurista convinto, commentando gli spread crescenti (allora) della Finlandia e calanti (allora) della Svezia sottolineava che The only obvious difference between the two: Finland is part of the Eurozone, meaning it can't print its own money. Sweden has no such risk.
Oggi, 11 giugno 2014, non solo le dinamiche si sono invertite, ma anche i valori assoluti degli spread sono diversi: la Finlandia, che è nell'eurozona, sorpresa, ha uno spread più basso della Svezia.

Non sono così folle da dimenticare che ha una sua razionalità l'idea di valutare un fattore nel momento di massimo stress e, oggettivamente, in quel momento, novembre 2011, l'Euro, anche in Finlandia, stava performando male, sotto lo stress dei mercati. Questo è stato confermato anche da Paul De Grauwe, a Trento, all'ultima edizione di Festival Economia di Trento. Dopo aver sottolineato l'importanza di avere una propria Banca Centrale, ad una mia specifica domanda: "Da investitore allora io dovrei essere più preoccupato di investire in Bond finlandesi rispetto a Bond svedesi?", lui ha risposto che in tempi normali non fa molta differenza: la differenza emerge in situazioni di crisi (domanda a 1:20:30 e risposta a 1:27:30) come ad esempio nel 2010-11.

Ora se è certamente razionale valutare l'effetto Euro sotto stress, e non oggi che le cose vanno meglio e lo spread della Finlandia è più basso rispetto a quello della Svezia, dall'altro lato questo è anche ingeneroso per due motivi A) la vita normale è fatta principalmente di tempi normali e meno di tempi di crisi B) va ricordato che per i tempi di crisi le istituzioni europee nel 2011 non si erano ancora attrezzate adeguatamente. Non c'era ancora stato il "Whatever it takes" di Mario Draghi e tutte le misure poste in essere e pianificate successivamente. Certo l'eurozona, come dice De Grauwe concludendo, è ancora molto fragile, ma meno fragile del 2011 e più fragile di quanto lo sarà nel 2020.

martedì 10 giugno 2014

Famo a capisse - (Bagnai e dintorni reloaded)

Nel mio precedente intervento ho cercato di aprire a più dei 140 caratteri la discussione che era nata su twitter dopo la presentazione a Pescara del libro di Mario Giordano Non vale una lira, in cui io ho espresso idee diverse dall'altro presentatore Alberto Bagnai e dallo stesso Giordano.

Perché la discussione sia proficua occorre però seguire alcune regole dell'argomentazione senza le quali si fa solo confusione. Se io dico ad esempio: "mi piace Ana Ivanovic, come tennista e come donna", il commento o il tweet successivo da parte di un'altra persona non può essere: "Ardemagni, come ti ha spiegato Bagnai, Maria Sharapova è brutta ed è un uomo". Primo perché io sto parlando di Ana Ivanovic e non di Maria Sharapova, secondo perché, anche se non ricordo esattamente cosa abbia detto Bagnai, è fuori discussione che la Sharapova sia una donna e secondo me pure molto carina, anche se non al livello della Ivanovic (nella foto la tennista serba posa con l'autore del post).

A questo proposito è esemplare un flam nato su twitter e che riporto poco più sotto.

Nel corso della presentazione io ho cercato di spiegare, forse non riuscendoci del tutto, che per un paese come l'Italia (ma l'esempio può valere per qualsiasi paese) riuscire a piazzare titoli di stato a tassi non altissimi, non è poi questa sciagura (anzi). Dipende poi cosa ci fa il governo con quei soldi: i denari possono essere utilizzati per investimenti produttivi (tanto per dire, la banda larga) o buttati nel cesso come spesso accade. Allo stesso modo il debito privato: in regime di tassi bassi, le aziende possono acquisire asset strategici o dilapidare i soldi presi a prestito (nelle varie forme previste come prestiti, obbligazioni ecc.). Anche le famiglie possono spendere in consumi e mattone oppure mandare i figli a studiare in università prestigiose e investire sul futuro. Insomma dipende dai casi. Ovviamente anche il sistema creditizio ha le sue responsabilità nell'indirizzare e nell'erogare credito in un senso o nell'altro.

In ogni caso, di per sé, avere tassi bassi, per chi prende a prestito è, intuitivamente, un vantaggio. Chiunque sarebbe felice di sapere che la banca gli ha abbassato il tasso del mutuo. Per Bagnai vale invece un ragionamento anti-intuitivo: un tasso basso è un'arma a doppio taglio può indurre Stato e privati a indebitarsi troppo (tipicamente a favore di paesi forti, come la Germania, che ne approfitterebbero). Cito testualmente: agli apostoli della “credibilità” come valore assoluto va ricordato in modo estremamente pragmatico che forse per certi paesi sarebbe stato meglio essere meno credibili e indebitarsi di meno. (Tratto da Un external compact per rilanciare l'Europa).  

Io capisco il punto sollevato e però resto della mia idea: tutto dipende da cosa ci fai con quei soldi e cito, nella presentazione il caso della Silicon Valley. Se i soldi li usi ad esempio per favorire la nascita di un polo di ricerca informatica o li adoperi per fare la banda larga, magari è possibile rientrare in tempi non biblici e incentivare lo sviluppo del Paese.

Su questa premessa, ecco cosa succede su twitter.

1) Mi scrive un certo Benedetto Ponti, copiando Bagnai, e citando un articolo della Mazzucato (che abbiamo sentito recentemente al Festival Economia a Trento) in cui si ricorda quanto sia sorprendentemente importante lo Stato, con i suoi investimenti, anche in casi di successo privato come la Apple.
Questo tweet non smentisce affatto quello che dico. Io dico: è un bene avere prestiti a tassi ragionevoli (che tu sia privato o pubblico) basta non buttare poi i soldi nel cesso. Ma Ponti, forse pensando che io sia un fan degli investimenti solo privati, anche in ambito di ricerca e sviluppo, dice questa cosa pensando di confutarmi. (Il fatto che io non sia del tutto persuaso, come Zingales sempre a Trento, dell'intervento della Mazzucato è qui del tutto irrilevante). 

Pur non confutandomi Ponti riceve 8 retweet e 3 favoriti dai soliti amici di Bagnai.

2) Io gli rispondo: sottolineando che per me il punto importante non è intervento pubblico o privato, ma il fatto che indebitarsi, anche con la Germania!, che tu sia pubblico o privato, non è questa sciagura se i soldi li investi in fattori produttivi, che rendono. E scrivo 
3) A questo punto interviene niente meno che Bagnai in persona, il quale compie lo stesso errore del proprio adepto. Si mette infatti a sottolineare nuovamente il fatto che l'investimento pubblico possa dare grossi frutti. Che - lo ripeto alla nausea - non era per me oggetto di discussione.


Anche Bagnai, pur equivocando, ottiene comunque i suoi bravi 5 retweet e 4 favoriti.

4) Tralascio un paio di interventi di colore, uno dei quali mi dà, indirettamente dello zuccone, un altro esprime delle perplessità sulla Mazzucato e viene rintuzzato da Bagnai. Io cerco di riportare la discussione al tema originario: 
La verità è che non so più che fare. Forse Ponti, e pure Bagnai, avendomi battezzato come un neoliberista integralista pensano che io sia contro ogni tipo di investimento pubblico. Come faccio a spiegare a Ponti che io sono felicissimo se lo Stato (sia pure gli USA) investe, e soprattutto lo fa in maniera proficua, in ricerca & sviluppo? Anche se forse sarebbe ancora meglio se investisse proporzionalmente di più sulla scuola e l'università, ma sarebbe un discorso lungo. 

5) E così ecco arrivare altri due tweet di Ponti:
Va bene e allora?

6) Il secondo è questo:
Sono stanco, e non ho voglia di litigare. 

7)  E allora dico una banalità che nei miei intenti dovrebbe smorzare la polemica
Intendendo: no agli integralismi pro privato o pro pubblico. 

8) Lui invece si offende e risponde piccato:
Certo, a volte il privato cerca un ritorno economico sull'investimento (ROI) a breve, mentre le grandi opere richiedono anni per essere ripagate ed è forse giusto che le finanzi lo Stato o che comunque sia lo Stato a coordinare gli investimenti pubblici e privati. L'importante è sempre non buttare i soldi. Poi però Ponti aggiunge una postilla: che lo Stato non pretende di rientrare nell'investimento a tre mesi SE E' SOVRANO. Intendendo con questo se ha la sovranità monetaria (in pratica, nel nostro caso, se è fuori dall'Eurozona). Quindi, seguendo il suo ragionamento, la Svezia e la Norvegia, che hanno le loro corone, possono permettersi di investire di più in ricerca e sviluppo della Finlandia che sta nell'Euro (trovo che i paesi scandinavi offrano le comparazioni più facili perché ci sono Islanda e Norvegia fuori UE, Danimarca e Svezia nella UE ma fuori Eurozona e Finlandia nell'Eurozona, e hanno climi, culture - a parte la lingua finlandese - e dimensioni paragonabili). Ma, sorpresa delle sorprese, Svezia (che è sovrana monetariamente) e Finlandia (che è nell'eurozona) sono quinta e sesta nel mondo per investimenti in ricerca e sviluppo sul Pil (rispettivamente 3,3% e 3,1%) mentre la Norvegia è ventiduesima con solo l'1,6% (dati 2011). 

9) Quindi essere nell'Euro per la Finlandia non costituisce un fattore che le impedisce di investire in ricerca, checché ne dica Ponti... E glielo segnalo con l'ennesimo tweet, piuttosto spazientito
10) Lui però legge solo le prime parole del mio tweet. Pensa che io non abbia capito cosa significa "sovrano" (mentre sono già tre passi avanti e gli ho dimostrato che essere "sovrani" non conta un accidente, quando arrivi agli investimenti in ricerca e sviluppo) e fa il grosso, dicendo che Bagnai me l'ha spiegato.
11) Cerco di fargli un disegnino con questo tweet, chiamandolo "tesoro". Se non la si butta un po' sull'affetto...
12) Lui però, non contento, mi risponde ancora, replicando al mio "tesoro". Che caro!
13) Niente da fare. Decido che con twitter non ci si intende, specie se si è deciso fin dall'inizio di non capire e di cercare maldestramente di far passare gli altri per cretini. E decido di passare sul blog. Almeno i caratteri sono tanti. 
Se Ponti, che sul suo profilo twitter dice di fare il professore di diritto amministrativo e non il picchiatore o l'usciere (con il massimo rispetto per gli uscieri) mi legge qui, provi innanzitutto a spiegarmi perché ritiene che soltanto se "è sovrano" il pubblico potrebbe investire nella ricerca e nello sviluppo.

Ps: sempre per sottolineare la supponenza di questa simpatica combriccola, anche un altro di loro, tale Petrone, mi segnala su twitter l'intervento della Mazzucato a Trento, dicendomi che lui se lo sta ascoltando in spiaggia e dandomi del giornalista pigro. Ora io a Trento c'ero e la Mazzucato l'ho ascoltata, sia pure in registrata (c'era qualcosa in contemporanea che mi interessava di più) e non mi ha convinto granché. Chissà se c'erano anche Petrone e Ponti.

lunedì 9 giugno 2014

Non solo Euro (Bagnai e dintorni)

Avendo accettato il cortese invito del professor Alberto Bagnai a partecipare alla presentazione (sabato scorso a Pescara) del libro del direttore Mario Giordano Non vale una lira ed avendo espresso, in quella sede, alcune perplessità a riconoscere la centralità del ruolo dell'Euro nella spiegazione della nascita e della persistenza della crisi italiana ho ricevuto, e non me ne lamento affatto, alcune decine di tweet avversi da parte di chi invece condivide le idee di Bagnai, idee che sono largamente riprese anche nel libro, dall'intento più divulgativo, di Giordano.

Ad alcuni ho tentato di rispondere direttamente, ma siccome discutere su twitter è piuttosto disagevole (se metti in copia 2-3 persone ti restano anche meno di 100 caratteri) ad altri ho scritto che avrei provato a ragionare su questo blog a partire da oggi. Dato che mi piace tenere fede, quando possibile, alla parola data, eccoci qua.

Una serie di doverose premesse.

1) Come ho ricordato sabato in apertura, non sono un economista, non sono nemmeno laureato e non sono neanche un giornalista, ma un semplice autore e conduttore radiofonico (occasionalmente televisivo). Le mie eventuali obiezioni sono quelle di un normale lettore di Bagnai e Giordano (anche se non esclusivamente loro). Ovviamente la presentazione avrebbe avuto ben altro livello di dettaglio se fosse stato presente in prima persona un economista portatore di eventuali obiezioni più scientifiche. Va detto che, sia pure tardivamente, un tentativo in tal senso era stato fatto invitando due accademici dalle visioni diverse, ma le loro agende erano già occupate. Così come era occupata l'agenda di Bagnai quando l'avevo invitato un anno fa in Brianza. Ma forse il futuro ci potrà riservare delle sorprese in merito. Di fatto non è chiaro chi potrebbe essere l'eventuale antagonista ideale secondo Bagnai. Cioè: con chi vuole confrontarsi il professore visto che ci ricorda sempre che questi temi sono materia non da generici "economisti", ma di esperti di economia monetaria internazionale? Inoltre un tweet lo stesso Bagnai mi scrive: "tu proprio non riesci ad afferrare che "economista pro-euro" è come "medico pro-cancro"? Non delegare: approfondisci!". Quindi l'arduo compito di chi vorrà organizzare il prossimo dibattito sarà quello di riuscire a trovare un esperto di economia monetaria internazionale, possibilmente italiano, che non la pensa come Bagnai e che però non si spaventi a sentirsi dare del medico pro-cancro. In bocca al lupo, ma ce la faremo.

2) Dalla mia partecipazione alla presentazione e al successivo dibattito sui social network non cavo una lira (se non una deliziosa cena a base di pesce offerta da Bagnai, che ringrazio nuovamente anche qui: la foto ci ritrae poco dopo la fine della cena) e lo faccio solo perché mi piace confrontarmi, cercare di capire e avere pretesti per studiare di più.

3) Di questi temi non parliamo praticamente mai in radio, quindi non c'è alcun tentativo da parte mia di influenzare nessuno (faccio fatica a formarmi un'opinione per conto mio!) o di sfruttare i vantaggi derivanti dal contatto quotidiano col pubblico. 

4) Peraltro da parte mia non c'è nessuna difesa di posizione precostituite e, potenzialmente, posso cambiare idea anche domattina. Di fatto però non sono ancora riuscito a persuadermi che il fattore Euro sia così centrale nella spiegazione della nascita e perdurare della crisi. A mio modesto avviso sono ancora del parere che l'Euro abbia portato un vantaggio (basso spread per 10 anni) e uno svantaggio (per dirla breve: l'impossibilità di svalutare). Ora io sono sempre curioso di capire se, nel caso italiano, e poi caso per caso, il primo compensi il secondo o viceversa. E anche di capire addirittura anche se il primo sia un vero vantaggio e il secondo un vero svantaggio. Diciamo che una idea me la sono fatta e, per il momento, non coincide con quella di Bagnai. Ma poi in mezzo a questi due elementi c'è la lunghissima lista dei problemi italiani (cito in ordine sparso: bassa produttività, basso tasso di scolarizzazione, qualità della classe politica e della pubblica amministrazione, burocrazia, pressione fiscale, evasione fiscale, corruzione, criminalità organizzata, lentezza della giustizia, dimensioni delle nostre aziende, specializzazione delle nostre aziende in settori a basso contenuto tecnologico, qualità delle infrastrutture, qualità del sistema del credito, a partire dal controllo delle fondazioni bancarie, disoccupazione, scarsa partecipazione di giovani e donne al mercato del lavoro, difficoltà di giovani e donne ad accedere in tempi equi ai ruoli dirigenziali sia nel pubblico che nel privato, scarsa informatizzazione ecc.) tutti fattori che, sempre a mio modesto avviso, spiegano meglio la nascita e persistenza della crisi del nostro paese.

5) Ci sarà sempre qualcuno che mi dirà di studiare ulteriormente. Il suggerimento è sempre valido Ma se ci si pensa bene, ormai questi temi sono diventati anche oggetto di campagna elettorale, con alcuni partiti (su tutti Lega Nord e Fratelli d'Italia) che hanno sposato i temi anti-euro. Quindi non solo i lettori di Giordano e Bagnai sono in qualche modo "autorizzati" a dire la loro, ma anche la platea molto più estesa degli elettori, ovvero tutti noi. Qui se non ho i titoli accademici, ho qualche diritto come lettore e tantissimo diritto come elettore di spiegare se un'idea mi convince o meno. Anche se è sempre meglio farlo continuando a leggere e a documentarsi.

6) Ma dato che, nonostante tutti gli sforzi, resto un non esperto, ma un semplice lettore sono dispostissimo ad accettare di leggere ulteriori dati e commenti che cerchino di farmi cambiare idea. Mi si può anche dare dell'ignorante, del masochista, dell'analfabeta economico, dell'affetto da pochezza intellettuale, del ritardato (è stato fatto). Ma, vedi punto 2, non del prezzolato. Se ho scelto (per ora!) delle idee l'ho fatto per intima convinzione. Non perché qualcuno me l'ha imposto o mi ha pagato per farlo.

Queste le lunghissime premesse (mi sono sfogato dopo le ristrettezze dei 140 caratteri). Quindi chi vuole partecipare qui può farlo. Anche se io non lo sono stato, chiedo a tutti di essere brevi nei commenti e, se possibile di attenersi a un atteggiamento argomentativo e rispettoso.

Ci sono almeno 4-5 punti che vorrei trattare nel dettaglio. Ma tra tutti i tweet non favorevoli ricevuti, avrei scelto di partire da uno dei meno offensivi, perché, al di là dei toni più pacati, e dell'apparente banalità, mi sembra il primo a cui dobbiamo cercare di rispondere. Che tipo di società vogliamo?

 16 h
Ma tutti hanno ragione Dal loro pt d vista! Dipende TU cosa vuoi,tipo d società