venerdì 23 ottobre 2009

Come mandare in vacca un dibattito televisivo - Lezione 2

Per chi si fosse perso la prima puntata.
Un altro metodo infallibile per creare una densa cortina di fumo (quando ci si trova in un momento di difficoltà nel corso di un dibattito politico in tv) consiste buttar lì una frase che sia al tempo stesso irritante per l'avversario, ma impossibile da verificare al volo per il conduttore. Perfetta allo scopo: "I media sono tutti di sinistra" o "I media sono tutti di destra". Per dirimere questa infinita diatriba si sono spese decine di ore in dibattiti (e zuffe) televisive. Teoricamente un bravo conduttore dovrebbe essere in grado di fermare ogni discussione basata su affermazioni e numeri non verificati, ma alla fine non lo fa quasi mai. Forse perché non è in grado di farlo o forse perché non gli interessa tanto appurare la verità quanto fare comunque ammuina o forse ancora perché non vuole deprimere il suo gentile ospite, ma intanto la mossa è andata a punto.

Ma la domanda "i media sono di sinistra o di destra?" presenta alcune effettive difficoltà specifiche. Come potremmo tentare di risolverle?

La prima, e più ovvia, soluzione sarebbe quella di istituire un ente riconosciuto da tutti che, su questo tema, emetta un report (che so, mensile), cosicché tutti debbano, al massimo, citarne i dati. Se esistesse un ente del genere in un dibatto televisivo sarebbero accettabili solo frasi come “nonostante la sinistra (o la destra) abbia una leggera prevalenza nei media, vedi relazione dell'ente, siamo riusciti a vincere le elezioni”. Se esistesse un ente del genere. Ma, toh, questo ente c'è già: è l'Osservatorio di Pavia. Ma, evidentemente, quelli che non concordano con i suoi responsi invece di sfidare scientificamente le sue valutazioni fino, eventualmente, a dimostrare che sono false e ottenerne la correzione, preferiscono fare finta di non conoscerle e buttare tutto in confusione come se il dato non esistesse. Perché i conduttori permettono questo? Perché la rissa paga.

Seconda proposta: non ci si vuole basare sull'Osservatorio di Pavia. No problem. Ogni conduttore di dibattito TV può buttare giù una tabella con una lista di media, dove per ogni media (massimo venti però!) vengano indicati due parametri: potere d'influenza e orientamento politico. Vediamo.
Partiamo dal potere d'influenza. TG1 e TG5 hanno insieme un potere d'influenza del 60%, (cito a memoria un dato - credo - ancora dell'osservatorio di Pavia): cioè l'opinione del 60% degli italiani si formerebbe su uno di questi due mezzi. Semplificando brutalmente, è solo un esempio, diciamo che il TG1 vale 30 e il TG5 altri 30 (quindi tutte le altre “righe” della tabella al massimo varranno 40). Poi calcoliamo l'orientamento (per convenzione facciamo che molto di sinistra = 0, equilibrato = 50, molto di destra = 100). A questo punto basta riempire la tabella (oh, è solo un esempio!)

















Media Influenza Orientamento
TG1 30 70 210
TG5 30 70 210

e così via.

Il totale di tutte le righe della colonna di destra darà un valore da 0 a 10000: se sta sotto i 5000 vuol dire che i media pendono a sinistra, se supera i 5000 pendono a destra. Se in un dibattito TV un ospite afferma che pendono dall'altra parte, gli si estrae la tabella, con la quale nel frattempo sarà diventato familiare, e gli si chiede: dov'è che è sbagliata? Lui, se è uomo vero, dirà ad esempio “Avete sovrastimato l'influenza sull'opinione pubblica del Messaggero!” o “Il TG1 non è così di destra!”. A quel punto si passerà, casomai, ad analizzare l'operato del TG1 o del Messaggero più nel dettaglio.

Volendo fare una tabella supersemplificata si potrebbero accorpare tutti i media, toh, il famoso sistema integrato dell'informazione! in una dozzina di righe. Ecco la mia proposta di tabella. Provate a riempirla con i vostri valori. Io i miei li pubblico la prossima volta.

































































Media Influenza Orientamento
1. Grandi TG popolari (TG1 TG2 TG5) + Porta a porta e Matrix


2. Programmi di approfondimento e satira + Rai 3 (con TG3)


3. Resto dei palinsesti TV Rai e Mediaset (compresi TG4 e Studio Aperto)


4. Stampa di sinistra (galassia L'Espresso + altri tipo l'Unità, il Fatto, il Manifesto ecc.)


5. Stampa di destra (il Giornale, Panorama, Libero, il Tempo + altri)


6. Galassia RCS (con il Corriere della Sera)


7. Area Confindustria (il Sole 24 ore, Radio 24)


8. La Stampa


9. Altra stampa a diffusione nazionale (il Messaggero, il Secolo XIX, il Mattino, QN, ecc.)


10. Stampa locale (escluse testate l'Espresso)


11. Stampa cattolica (Famiglia cristiana, Avvenire+altri)


12. Altro (SKY, radio, altre testate, free press, ecc.)


domenica 11 ottobre 2009

Prima pagina

Intendiamoci subito: quando ho per le mani un romanzo di cui mi hanno parlato bene persone fidate sono quasi sempre disposto a capire poco o nulla di quello che sto leggendo, anche per diverse pagine, se la scarsa chiarezza sembra deliberatamente perseguita dall'autore per suscitare nel lettore suspence, spaesamento o quant'altro.
Altre volte però la scarsa comprensibilità non sembra supportata da alcuna precisa intenzione da parte dell'autore, se non una forma di sadismo o di incuria e allora l'irritazione sembra essere l'unica reazione ammissibile.
Non so a voi, ma a me capita soprattutto quanto l'autore fa, o decide di fare, confusione con i nomi o con le descrizioni topologiche. Le classiche situazioni che una fotografia o una mappa con didascalie risolverebbero in un istante.
Sarebbe semplice portare esempi tratti da novelle o romanzi di scarsa qualità e allora citiamo da un vero capolavoro: Infinite Jest di David Foster Wallace, nella traduzione italiana di Edoardo Nesi. In questo caso vincere l'irritazione e andare avanti nella lettura mi è costato parecchio, perché l'incresciosa opacità è comparsa già nella prima pagina, sconcertandomi a freddo.

Il romanzo inizia così:

«Siedo in un ufficio, circondato da teste e corpi. (...) Sono in una stanza fredda nel reparto Amministrazione dell'Università (…) i doppi vetri (…) ci isolano dai rumori (…) che vengono dall'area reception, dove poco fa siamo stati accolti lo zio Charles, il Sig. deLint e io.»

Tre persone all'università, ok. Andiamo avanti:

«All'altro lato di un grande tavolo (…) tre Decani – Ammissione, Affari accademici e Affari Atletici. Non so attribuire le facce.»

Altre tre persone, ti sto seguendo David. Incidentalmente vi assicuro che i puntini delle omissioni non nascondono informazioni che possano aiutarci a dirimere le questioni che porrò in seguito. Insomma l'io narrante siede davanti a un tavolo dietro al quale stanno i tre Decani. Non sappiamo ancora di preciso se zio Charles e il sig. deLint lo abbiano seguito nella stanza o siano rimasti alla reception (ma per uno dei processi attivi del lettore tanto cari a Umberto Eco saremmo propensi a pensare di sì, perlomeno come ipotesi inconscia e provvisoria ). Nemmeno sappiamo ancora perché gli Affari Atletici abbiano entrambe le A maiuscole e quelli accademici no, ma questo mi sembra marginale, per ora. Andiamo avanti (ma vi prometto che rimarremo solo a pagina 1):

«Il resto delle persone presenti nella sala include: il Direttore di Composizione dell'Università, l'allenatore di tennis e il prorettore dell'Accademia, il Sig. A. deLint.»

Altre tre persone, e con queste siamo a nove. Anche se ci chiediamo subito se questo Sig. A. deLint e il Sig. deLint dell'inizio non siano per caso la stessa persona. Anche perché, ricordo, non sappiamo di sicuro se lo zio Charles e il Sig. deLint alla fine siano entrati nella stanza o no. Magari il signor deLint è entrato e lo zio no e qui viene enumerato tra i presenti della stanza. Ma anche qua io prediligerei l'ipotesi che questo A. deLint (nella stanza) sia un altro rispetto al semplice deLint (che non sappiamo di sicuro dove stia). Riepilogando: lui (1) sta davanti al tavolo, zio Charles e Sig. deLint (2 e 3) probabilmente da qualche parte nella stanza, i tre Decani (4-6) dietro al tavolo. E poi ci sono questi tre nuovi personaggi (7-9). Ma vediamo come prosegue il discorso precedente:

«Il resto delle persone presenti nella sala include: il Direttore di Composizione dell'Università, l'allenatore di tennis e il prorettore dell'Accademia, il Sig. A. deLint. C.T. è accanto a me; gli altri sono rispettivamente: seduto, in piedi, in piedi, alla periferia del mio campo visivo.»

Demonio di un David! Qui ci spiega dove stanno - rispetto all'io narrante - ben quattro persone, ma chi minchia sono? Finora ne abbiamo conosciute nove, entrate in scena a gruppi di tre. Anche qui ne hai appena elencate tre, perché subito dopo ci spieghi invece dove stanno quattro (e non tre) persone? Chi è questo C.T. che sta accanto all'io narrante? Un decimo personaggio? No, non può essere, perché un attimo prima avevi finito di fare l'elenco totale dei personaggi che stanno nella sala. Allora deve essere un altro modo di chiamare uno dei nove personaggi già introdotti. Togliamo l'io narrante e i tre decani che gli stanno di fronte, e non accanto, forse anche i deLint, che non dovrebbero poter avere C.T. come iniziali, restano lo zio Charles, (la C. di C.T. potrebbe ben essere quella di Charles) il direttore di Composizione e l'allenatore di tennis. Del resto l'allenatore delle nazionali viene anche definito il C.T. (il commissario tecnico).
Ammettiamo però che sia lo zio. A questo punto sappiamo dove stiano tutti quanti. Tutti, tranne il primo deLint. È andato al bar?
Ma porca zozza, siamo a pagina 1, mi hai già introdotto nove personaggi di cui due probabilmente quasi omonimi, e ora mi tiri fuori un secondo modo di riferirsi a uno dei nove, senza nemmeno dirmi esattamente a quale? C.T. è lo zio? È uno di questi nuovi? E che fine ha fatto il primo deLint? E iniziando così tu vuoi che arrivi a pagina 1177? Ma per favore! (Eppure poi...)

mercoledì 7 ottobre 2009

Punto e a calcio

Nel calcio, è cosa nota, non è prevista l'assegnazione della vittoria "ai punti", come succede, ad esempio, nel pugilato. Sicché un pareggio maturato sul campo provoca la cosiddetta "spartizione della posta" tra la due squadre, come accade nei gironi all'italiana, oppure, negli scontri a eliminazione diretta, richiede la disputa dei tempi supplementari con l'eventuale seguito della celebre "lotteria dei rigori".
Niente da obiettare, l'assegnazione della vittoria "ai punti" non piace a nessuno.
Spesso però, nelle discussioni del dopopartita, ci si accapiglia per stabilire se una vittoria (o una sconfitta) sia stata ottenuta da una squadra con pieno merito o non sia stata piuttosto il frutto della fortuna (o della sfortuna), oppure ci si scontra per determinare quale, tra due squadre che hanno pareggiato, si sia avvicinata di più alla vittoria.
Per dirimere questioni di questo tipo si possono adottare alcuni atteggiamenti:
- si accetta sempre per buono il risultato del campo;
- si accetta per buono il risultato del campo, previo emendamento degli errori arbitrali;
- si valutano parametri oggettivi, da qualche anno disponibili nelle statistiche della partita, ad esempio si confrontano il "numero di tiri" effettuati dalle due squadre, o il "numero di tiri nello specchio", o la "percentuale di possesso palla" eccetera;
- si elabora un metodo di calcolo sulla base degli elementi oggettivi di cui sopra: es. 10 punti per un gol, 5 per un palo o traversa, 2 per un tiro nello specchio, e così via (ipotizzando anche tarature diverse: per un palo o traversa si possono assegnare solo 3 punti, invece dei 5).

Un'idea innovativa potrebbe consistere in questo metodo:
1. tutta la partita viene registrata;
2. alla fine della partita (con i moderni marchingegni si può fare anche con un piccolo delay a partita ancora in corso) si mostra la registrazione a una giuria di - poniamo - 100 persone che non l'hanno vista in diretta (e che non sono emotivamente coinvolte dalle vicende delle due squadre in campo);
3. ogni qualvolta, visionando la registrazione, l'azione di gioco si sviluppa in modo tale che una delle due squadre sembri avere la possibilità di segnare, la regia ferma la registrazione nel momento più vivace dell'azione e ai 100 giurati viene domandato se, secondo loro, l'azione si è poi conclusa con un gol o no.
4. ovviamente più ogni occasione da rete è stata plausibilmente pericolosa, più grande il sarà in numero di risposte positive che otterrà. Poniamo che 70 giurati su 100 ipotizzino che una certa azione si sia conclusa con un gol: in quel caso la squadra che attacca maturerà 70 punti.
5. Le azioni che poi effettivamente si sono concluse con un gol anche nella realtà porteranno sempre 100 punti alla squadra che ha segnato, indipendentemente dal voto dei giurati, ma andranno comunque mostrate alla giuria assieme alle altre, altrimenti alla lunga i giurati capiranno che solo le azioni che non si sono concluse positivamente vengono proposte.

Una volta concluse queste valutazioni si potrà assegnare la "vittoria ai punti".

Se la squadra A ha realizzato un gol e avuto un'occasione in cui il 50% dei giurati ha ipotizzato che si sarebbe potuto segnare un gol, maturerà 150 punti. Mentre la squadra B senza gol, ma con tre occasioni da 90%, matura 270 punti e vince "ai punti" la partita. In altri termini si potrà dire con una certa razionalità che "per il gioco espresso", la squadra B avrebbe meritato di vincere, o che la squadra A ha vinto con una certa fortuna.
Anche se poi, a ben vedere, ci sarà sempre un commentatore che ci farà notare che anche gli attaccanti che hanno sbagliato ben tre occasioni da 90% fanno parte della squadra B, e che quindi B ha perso con merito, o che le tre parate strepitose del portiere della squadra A sono state effettuate pur sempre da un giocatore della squadra A (il portiere, appunto) e che pertanto A ha vinto con merito e si ritorna daccapo. Però un'indicazione di massima sul grado di pericolosità offensiva relativa di A e B questo metodo dovrebbe fornirla. Il problema è quello di trovare 100 sfortunati che vogliano vedersi in differita una partita di cui gli importa poco, ma non si può avere tutto!