martedì 31 marzo 2015

Il periscopio sbuca e vince

Periscope entra e vince: due giorni fa non sapevamo della sua esistenza, oggi non riusciamo già più farne a meno. A partire da noi stessi di Caterpillar AM (che stamattina, grazie all'insistenza di Filippo Solibello ci abbiamo dato dentro già dalle 7:45), ho visto alcune delle migliori menti della mia generazione (Fiorello Rosario, Fiorello Beppe, Nicola Savino, Andrea Delogu, Elisa D'Ospina, Matteo Caccia, Zoro e tanti altri) divertirsi a mandare in rete (in broadcast) i loro streaming. Tra l'una e l'altra delle performance di questi amici/colleghi ho visto affascinanti reportage di mura di carceri turche e di giovanotti americani che si allenavano. Niente male per il primo giorno di utilizzo. 

Ora già domattina noi di Caterpillar AM proveremo a dare una svolta creativa al mezzo, stay tuned come si dice. Ma sarà solo l'inizio.

Ora io non ho provato a usare Meerkat, l'antesignano, a cui Periscope pare proprio avere fatto le scarpe nella culla. Ero (e sono) però un discreto fan di Google Hangout On Air, un'applicazione per certi versi analoga, dalle infinite potenzialità, che avrebbe potuto avere lo stesso successo fulminante se solo fosse stata più semplice da usare.

Nelle due foto a fianco Rosario Fiorello si aggiudica il derby con il fratello Beppe. Stamattina verso le 9:30 erano su Periscope entrambi, ma mentre Rosario (qui a sinistra) faceva sfracelli passeggiando a Vicenza, Beppe era ancora alle prese con test senza immagini (a destra),

Cosa fa, in breve (qui e qui la spiega lunga), Periscope? Da quello che sono riuscito a capire (e a fare vedi qui sotto il mio quinto test con Napo):  
Periscope manda in rete le immagini in movimento e la voce che tu riprendi, tipicamente con uno smarthpone o un tablet. E chi le vede? Fondamentalmente, in prima battuta, i tuoi follower di twitter che hanno deciso di seguirti anche su Periscope (che a Twitter è strettamente collegato, cosa che Meerkat non aveva). Ma poi anche tanti "sconosciuti" che ti trovano direttamente su Periscope. E chi li avverte? O un tweet su Twitter (che, quando le cose vanno bene parte in contemporanea con la tua trasmissione o broadcast), oppure uno specifico cinguettio di Periscope, ma molti ti trovano senza che tu li avverta. Cosa possono fare gli spettatori? Possono mandarti dei messaggi (che vedi tu, ma anche gli altri spettatori) e dei cuoricini a mo' di mi piace.

Dimenticavo: Le tue quattro trasmissioni più recenti restano online per visioni "in differita".

Come riassunto di base penso che possa bastare.

Google Hangout On Air, nella sua funzione di base, non è molto differente: anche lui trasmette in rete le immagini  in movimento e la voce che tu riprendi, tipicamente con uno smarthpone o un tablet. Inoltre, diversamente da Periscope, è in grado di collegare fino a 9 persone in contemporanea dentro il tuo streaming e sta a te decidere chi mandare in primo piano e chi tenere nei riquadri sotto. Quindi, riepilogando, ci sei tu, il regista, altre 8 persone dentro lo streaming, e tutto il mondo fuori che può vedervi quando vai in broadcast. Come ti vedono? Collegandosi a Youtube. Sulla carta assomiglia più a una conference call in cui ci sono fino a 9 persone a parlare e alla cui conversazione assiste tutto il mondo. Nulla vieta però alle 9 persone di non rimanere sedute al tavolo, ma di muoversi nel mondo (come tipicamente fanno quelli di Periscope) e, magari fare delle performance musicali ognuno nella propria location. Anche qui per chi vede dall'esterno, è possibile mandare messaggi e fare domande ai 9 partecipanti. Ripeto: le potenzialità sono enormi. Si pensi alla combinazione: Giornalista musicale a Milano, intervista rock star a Londra, altri 7 fortunati fan sono dentro la conference call. Tutto il resto del mondo vede la cosa su YouTube e pone domande. Eppure questa applicazione che è attiva già da qualche anno, non ha avuto il successo immediato di Periscope. Perché? Perché è molto farraginosa da usare, almeno in prima battuta, tra utenze di Google+ e collegamento con YouTube, qualche problemino nell'invio degli avvisi e un'interfaccia generale ammazza marketing (già di per sé non eccelso).

Insomma Periscope fa meglio e in modo estremamente semplice alcune delle cose che Google Hangout On Air non è riuscito a convincere molti utenti a fare. Un'occasione mezza persa (ma non definitivamente) da una parte, una cascata travolgente dall'altra.

giovedì 26 marzo 2015

Bufale e antibufale (il Ghana, lo Zambia e Gesù).


Ormai è chiaro anche ai sassi che la notizia del turista italiano Antonio Boretti che portando i sandali, una sciarpa e la barba lunga, sarebbe stato scambiato per Gesù, adorato come tale e ricoperto di doni dalla gente di Chipata (Zambia) è una vera bufala.

Ciononostante ilgiornale.it (complimenti vivissimi), l'huffington post (che se non altro, diversamente da il Giornale, riporta in fondo al pezzo che la notizia potrebbe essere una bufala) e altri media online italiani, come blitz quotidiano, continuano a mantenere la storia sui propri siti. 

Ma perché? Con ogni probabilità sarà giunta anche a loro la voce che molti altri siti come il Messaggerobufale.netViaggi News li hanno additati come estensori di notizie false. Però io credo che abbiano comunque una certa convenienza lasciare le pagine online. Anche se la notizia è falsa, le pagine sono così tanto linkate dai siti che lo segnalano (vedi questo mio stesso post) che avranno un bel numero di click "gratis" da parte di utenti che vanno a vedere di persona quanto sono stati tonti al Giornale o all'Huffington a pubblicare una notizia falsa. E visto che il loro unico scopo è quello di portare a casa dei click, ogni accesso alla pagina si trasforma in piccolo premio all'incompetenza. 

Ma mi pare che nemmeno i numerosi siti che hanno denunciato la bufala abbiano dato il meglio di sé al 100%. 

Tutti hanno scoperto che la notizia originale risale al marzo 2014 e secondo loro era stata lanciata da una serie di siti nigeriani come il Nigerian Watch o Nigeria Films (segnalo subito che in tutti questi passaggi la foto rimane la stessa ed è quella che riporto qua sopra). Secondo questa versione "originale" del marzo 2014 i fatti si svolgevano non nello Zambia, ma in Ghana (a Taifa o a Dansoman) e l'uomo scambiato per Gesù era, di fatto, non un turista italiano, ma un attore che stava girando un film proprio su Gesù Cristo. 

Poi, sempre secondo i siti bene informati, inspiegabilmente la notizia, dopo un anno di silenzio, era stata "rilanciata" in inglese dal Malawi Voice il 18 marzo 2015, spostandola però dal Ghana allo Zambia, (e dall'attore al turista italiano), ma mantenendo la stessa foto (il nome Antonio Boretti, per dire, sembra proprio un'invenzione del Malawi Voice datata 18 marzo 2015). E poi dal Malawi, forse attraverso qualche passaggio intermedio, il contagio della notizia aveva raggiunto Giornale, Huffington Post e altri siti italiani il 25 marzo. Fin qui la spiegazione dei siti che avevano fatto debunking, sgamando la bufala iniziale.
Cercando però più a fondo con la foto (Google da qualche anno ti permette di cercare tramite immagini), ho scoperto che la più vecchia fonte delle notizie è costituita da un altro sito, non nigeriano, ma ghanese. Cioè non è un lancio dei primi di marzo 2014  (come riportano i nostri siti antibufala) ma del 27 febbraio 2014 e il primo sito a raccontare la storia appare essere Ghana Nation con un pezzo a firma di una donna: Maureen Abotsi, cliccando sul nome della quale appare però, stranamente, il profilo di un uomo, tale Dan Soko che sembra essere il pusher primario della notizia, nella sua versione originaria, quella del febbraio 2014.

Ora tutti gli antibufala, oltre a non centrare il nome del "paziente zero", nella loro lodevole azione, gettano sì un meritato fango sul rilancio (con spostamento nello Zambia) effettuato nel 2015 (Malawi-il Giornale- Huffington Post), ma nessuno mette in dubbio la veridicità della notizia "originale" del 2014 (quella ambientata in Ghana).

Nessuno di loro, ad esempio, si è messo a cercare se effettivamente si stesse girando un film su Gesù in Ghana l'anno scorso 
(e se sì, quale) e se sia completamente vero che l'attore sia stato adorato e ricoperto di doni, in Ghana, nel febbraio 2014. O se qualcuno ha fatto questo controllo io non l'ho trovato. Tra l'altro: come si chiamerà questa star del cinema? Si tratta di un bianco: possibile che nessuno dei siti italiani lo abbia riconosciuto? Gli indizi ci portano a pensare che anche nella versione del 2014 la notizia sia una vera bufala. Ma, una volta puntato il dito contro i siti che avevano creduto alla bufala del 2015 ("turista italiano nello Zambia"), anche questi siti sembrano abboccare alla bufala del 2014 ("attore in Ghana").

PS: il Malawi Voice, nella sua sfrontatezza, non solo ha falsificato la notizia spostandola nel tempo avanti di un anno e nello spazio dal Ghana (ammesso che fosse vera anche lì) allo Zambia, ma si è appropriato anche della foto, ponendo la URL del proprio sito stampigliata in rosso sulla foto, come si può notare allargando l'immagine qui sopra (di solito non pubblico foto coperte da copyright, ma questa volta occorre proprio farlo, visto quanto è farlocco quel copyright).

Si dirà: beh, ma lì è l'Africa. Beh, amici, questa pratica è in voga anche in Italia. Il 9 febbraio 2013 ho scattato una foto a Oscar Giannino nel corso di un flash mob di FARE, poi l'ho twittata
e me la sono ritrovata qualche ora dopo in questa fotogallery del Corriere.it (e vabbè...), senza che me lo chiedessero (e vabbè...), CON IL LORO COPYRIGHT (ennò!)

martedì 24 marzo 2015

Non ho avuto un attimo


Come a quasi tutte le persone che conosco, capita anche a me di non riuscire a tener fede alla promessa di fare una certa cosa. La pigrizia, la dimenticanza, la mancanza di tempo mi portano talvolta a dare buca.

Spesso sono proprio i migliori amici, che presuppongo essere più comprensivi nei miei confronti, a farne le spese. Con un tempo limitato a disposizione, forse sbagliando, preferisco tener fede agli obblighi verso gli estranei, per non fare brutta figura con loro, trascurando le richieste degli amici, confidando nel perdono di chi mi vuole bene. "Mandami l'indirizzo di quell'albergo a Sanremo", "Ti ho spedito una copia del mio ultimo libro di racconti per bambini di tre anni, mi dici cosa ne pensi?" "Tutte le mattine mi alleno al Parco di Trenno vieni con me una volta?". La mia risposta, lì per lì positiva, si tramuta, nel corso dei giorni, delle settimane, dei mesi, in una plateale inadempienza.

Quando poi mi capita di rincontrare l'amico o l'amica, la giustificazione standard è: "mi spiace, ma non ho avuto un attimo". Ma riflettendoci bene, questo è vero fino a un certo punto. Lo so io, ma lo comprende anche l'amico e l'amica che, specialmente in tempi di social network, ha avuto modo di apprezzare quanto del mio tempo recente è stato speso, ad esempio, nella stesura di 
tweet, aggiornamenti di status e post di scarsa utilità sociale, proprio come questo. 

La verità è che NON è vero che "non ho avuto un attimo", ma è vero che quando ho avuto l'attimo non mi è venuto in mente di fare quella cosa lì.  Questa è la vera verità, il più delle volte (opzione 1).

Oppure (opzione 2, caso più raro), mi è venuto sì in mente, ma mi risultava troppo scomodo o stancante fare esattamente quella cosa lì in quel momento.

Nessun amico vero è così stronzo da risponderti: "Ah Marco, tu non hai avuto un attimo? E allora perché da quel giorno in cui te l'ho chiesto hai già scritto dodici post sul tuo blog?".

Ma qualora l'amico fosse così urticante da chiedermelo io potrei quindi rispondere senza sentirmi particolarmente in colpa: "quelle poche volte in cui ero libero non mi è venuto in mente" (opzione 1) oppure "quando avevo del tempo libero ero troppo stanco per leggere i tuoi racconti per bambini di tre anni, ma non abbastanza stanco da non riuscire scrivere i miei post" (opzione 2). E se questa seconda spiegazione sembra strana, chiunque ammetterà che anche dopo una cena in cui si è riempito a dismisura, magicamente un posto per il dolce, chi ama i dolci, lo trova sempre.

Poi ci sono anche (ma personalmente sono piuttosto rare), le volte in cui ho dato scientemente bassa priorità a quella promessa (opzione 3). In questi casi faccio fatica ad ammettere la mia inadempienza, però spero sempre che gli amici veri possano capire.

Per descrivere questa condizione dello spirito, ovvero il falso non-ho-avuto-un-attimismo, manca una parola. Share, il programma di Gianluca Neri e Daniela Collu (Stazzitta) a Radio2, censisce nella rubrica Come non detto proposte di parole che colmano questi buchi lessicali. Sabato 14 ne ho proposte due che avevo nel cassetto da tempo (ci avevo scritto anche dei post): il penultimismo (la soddisfazione di avere almeno uno che sta peggio di te, tipica dei media italiani quando escono le statistiche sul PIL o sulla libertà di stampa) e il correlato scansapalismo (l'opinabile virtù di chi evita l'errore più diffuso e se ne bulla, ma ne commette altri, come il ristoratore milanese che non eccede con la rucola, però cucina male).

Ora però dobbiamo trovare il termine che descrive la condizione di chi, come me, non fa qualcosa, ma non esattamente perché "non ha avuto un attimo". Proposte?

sabato 21 marzo 2015

La difesa dell'Inter e il disimpegno elaborato


Nella partita di andata degli ottavi di finale di Europa League contro il Wolfsburg, al 63' minuto, sul risultato di 1-1, l'Inter ha subìto l'ennesimo gol originato dalla scelta di non rinviare la palla lunga in avanti, quando questa si trova tra i piedi del portiere, preferendo il "disimpegno elaborato" (o, come alcuni amano dire, scegliendo di "ripartire dalla difesa").

Ancora una volta una scelta erronea ha portato al gol, in questo caso un gol particolarmente pesante perché, in ultima analisi, è stata la causa prima (non certo l'unica) dell'eliminazione dell'Inter dall'Europa League, con l'abbandono dell'ultimo traguardo stagionale della squadra di Mancini (forse non tutti ricordano che fino a quel momento, e si era già oltre un terzo dei 180 minuti totali, l'Inter non solo aveva la qualificazione dalla propria parte, ma era andata vicinissima al gol dell'1-2 che avrebbe potuto indirizzare la sfida in ben altra direzione).

Certo, diranno subito i miei piccoli lettori, c'è stato un madornale errore tecnico da parte di Carrizo (poi raddoppiato da un altro tipo di errore sul calcio di punizione successivo), ma la mia opinione è che se tendiamo ad alzare esponenzialmente il numero di tentativi di "disimpegno elaborato", è inevitabile anche per la migliore difesa (e quella dell'Inter non è una delle migliori), commettere qualche errore. E commettere un errore in quella zona del campo porta quasi sempre a un pericolo grave o ad un gol.

La tesi che cercherò di sostenere in questo non brevissimo post è che quando la palla si trova tra i piedi del portiere, o dell'ultimo difensore, e ci sono degli avversari nelle vicinanze è meglio allontanare quanto possibile (e quanto prima) il pallone dall'area. E anche quando la palla si trova tra le mani del portiere è meglio un rinvio lungo che non un passaggio al difensore più vicino. Questo vale in generale, ma a maggior ragione vale per l'Inter di queste stagioni. Vediamo perché.

1. Partiamo dai dati di fatto. L'Inter nelle ultime due stagioni (quindi a partire da quando l'allenatore era ancora Mazzarri) ha subìto svariati gol originati dalla pressione degli avversari sul portiere o sui difensori centrali e dalla pervicace decisione (immagino indotta dall'allenatore) di non allontanare il pallone. Non ho con me tutte le statistiche, ma, solo a memoria, ricordo il primo gol subito contro il Torino nel 2-2 della stagione 2013-14, il gol subito nell'1-1 a Palermo con un pressing su Vidic, il primo gol subito nel 2-2 casalingo contro il Napoli (nato da una rimessa laterale regalata per il pressing sul difensore), fino al gol contro il Wolfsburg, ma sono certo di scordarne diversi, senza contare diversi altri casi in cui la scelta di attuare "disimpegni elaborati" ha portato comunque a rischi gravi, con gol sventati a fatica. Insomma: se le altre squadre hanno particolari problemi, che so, sui calci piazzati, l'Inter sembra avere questo particolare problema: quello di subire particolarmente il pressing degli attaccanti avversari quando la palla circola tra difensori e portieri. 

Ci sarebbe una buona notizia: a differenza dei calci piazzati che sono in gran parte inevitabili, qui – teoricamente – si potrebbe facilmente limitare di gran lunga il rischio A) evitando il ricorso al passaggio indietro (che di per sé comporta qualche rischio, vedi i gol subiti a Livorno, lo scorso anno e contro l'Udinese a San Siro quest'anno), ma soprattutto B) dando istruzioni (ovvero concedendo il permesso) ai centrali, agli esterni difensivi e, in particolare, ai portieri di battere lungo senza costringerli al "disimpegno elaborato" o all'appoggio verso il compagno più vicino, spesso pressato.


2. Come dicevo, queste considerazioni hanno, a mio avviso, validità in generale, ma si applicano perfettamente alla situazione dell'Inter recente, vista la estrema vulnerabilità degli interpreti. Ora so perfettamente che questa impostazione nasce dal fatto che non è più disponibile la qualità di calcio che aveva Julio Cesar (da un suo rinvio lungo nacque, ad esempio, il primo gol dell'Inter nella finale di Champions League di Madrid): è vero che né Handanovic, né Carrizo sono dei fulmini di guerra con i piedi e i loro rinvii sono spesso scadenti, ma ci sono soluzioni migliori per affrontare questa difficoltà. All'arrivo di Mancini sembrava che fosse stata incentivato il rilancio lungo con le mani (almeno quando il portiere può toccarla con le mani) e Handanovic sembrava cavarsela bene. Poi, inspiegabilmente, si è tornati all'appoggio verso il difensore.

3. Ma quanto è pericolosa questa tecnica? Il calcolo è presto fatto, semplificando al massimo basta prendere tre variabili a partita.


A. la percentuale di volte che una squadra tenta di attuare il disimpegno elaborato (esempio il 100%)

B. la percentuale di volte che gli avversari tentano di ostacolarti (esempio l'80%)

C. la percentuale di volte che il pressing degli avversari va a buon fine (esempio il 20%)


Traduciamo l'esempio con le percentuali in numeri assoluti:
- Se hai 20 volte la palla in difesa e sempre (il 100% delle volte) provi a fare il "disimpegno elaborato", allora devi effettuarne 20 a partita.
- Se l'avversario va in pressing l'80% delle volte significa che ci prova 16 volte.
- Se riesce a metterti in difficoltà il 20% delle volte (il 20% di 16 volte è 3,2) significa lasciare agli avversari 3-4 azioni pericolose nei pressi della porta: un'enormità.


4. Ora poi - questo è il punto a cui tengo maggiormente - i tre numeri, le tre percentuali NON sono affatto indipendenti. Vediamo perché.



Mettiamoci nei panni degli allenatori avversari: se io so che l'Inter attua questa tattica sempre (le 20 volte a partita) e se so che ha una percentuale alta di volte che va in difficoltà (20%), allora dirò ai miei giocatori di attuare il pressing non l'80% delle volte (che è già un numero alto), ma addirittura il 90% o il 100%. In modo da massimizzare il numero di occasioni prodotte.

Ed è esattamente quello che succede.

Con le altre squadre questo accade meno: o perché hanno un minor numero di "disimpegni elaborati" o perché hanno una percentuale di successo maggiore. Spesso entrambe le cose.

Mettiamoci ora nei panni degli allenatori che invece di affrontare l'Inter devono affrontare la Juve: se io so che la Juve non fa 20, ma, poniamo, 10 disimpegni elaborati e se so che la loro percentuale di insuccesso è non del 20, ma del 10%, questo porta a preventivare solo 1 occasione a partita anche provando a fare il pressing il 100% delle volte. Ma io, da bravo allenatore, suggerirò ai miei giocatori di non sprecare troppe energie a contrastare la Juve in quel frangente, perché tanto lo fanno poco e quelle poche volte se la cavano quindi invece dell'80% dei tentativi di pressing che si becca l'Inter, la Juve ne avrà, che so, il 30%, abbattendo ulteriormente a 0,3 il numero di occasioni offerte da questo schema potenzialmente suicida nell'arco di una partita.

Insomma: Mancini deve accettare il fatto che l'Inter si è ormai guadagnata la "nomea" di squadra che prova sempre a effettuare uno schema che la mette in difficoltà e questo moltiplica gli sforzi dell'avversario attirato da un alto ritorno economico degli investimenti in energie applicati nel contrasto di questo schema. E accettato il fatto Mancini deve correre ai ripari.

Visto che è molto più difficile migliorare la qualità di esecuzione dello schema, devi entrare nella testa e nei piedi di Juan Jesus e soci, io proporrei per questa fase di ridurre il numero di tentativi di "disimpegno elaborato" a partita e di rinviare il pallone appena possibile. Questo dovrebbe bastare a disincentivare il tentativo di pressing avversari e, in ultima analisi, il numero totale di occasioni regalate a partita. Dovendo fronteggiare un minor numero di tentativi di pressing, col tempo i giocatori potranno aumentare la percentuale di "disimpegni elaborati" effettuati a regola d'arte, innescando così un circolo virtuoso. L'alternativa c'è e consiste nell'acquistare domattina giocatori migliori.

5. Resta un ultimo aspetto da affrontare: tutti queste difficoltà, a che pro? Cioè: qual è il vantaggio che Mancini (e prima di lui Mazzarri) pensano di ottenere in contropartita utilizzando ossessivamente i "disimpegni elaborati"? Deve trattarsi di qualcosa di estremamente prezioso, se si insiste nel portare avanti questa tecnica così rischiosa.

Gli unici due vantaggi che vedo sono i seguenti: A. stancare e/o sorprendere la squadra avversaria impegnata nel pressing (ma finora direi che non ha funzionato, visti i risultati) B. quello di poter iniziare a impostare l'azione partendo "dalla difesa". Ora questo vantaggio può essere sfruttato se davanti alla difesa hai Andrea Pirlo in giornata di grazia, non il pur bravo Gary Medel. Anche perché, partendo dalla difesa, quando avanzi ti trovi l'avversario schierato in assetto difensivo quindi devi faticare non poco a costruire un'azione di successo contro tutta una squadra che si difende (sia pressando alto, sia chiudendosi nella propria metà campo). Tanto è vero un gran numeri dei gol su azione, nel calcio moderno, avviene in modo opposto: tramite la riconquista del pallone e la ripartenza rapida, sorprendendo l'avversario che si trova magari in uscita dalla propria metà campo e viene colto in un atteggiamento tattico predisposto esclusivamente alla costruzione, con la difesa ancora male organizzata. Insomma: Mancini sceglie una tecnica rischiosa, che i propri calciatori interpretano spesso male, incentivando gli avversari a provarci sempre, in cambio di cosa? Per avere in cambio un vantaggio del tutto teorico?

Per tutti questi motivi l'Inter dovrebbe abbandonare il fraseggio in difesa, il "disimpegno elaborato", l'appoggio del portiere verso il difensore più vicino, per tornare al rilancio, al rinvio lungo, allo spazzatutto del difensore, almeno finché non riuscirà a cancellare la nomea (purtroppo giustamente guadagnata) di squadra che si incarta in difesa.