mercoledì 14 novembre 2012

Primarie del centrosinistra: l'appello a pezzi.

Oggi ho voluto perdere un'oretta ad analizzare da un punto di vista strutturale l'appello degli elettori dell'Italia Bene Comune la sottoscrizione del quale (unitamente all'iscrizione all'Albo degli elettori e al contributo minimo di due euro), consente di ottenere il certificato di “Elettore del centrosinistra” il che, a sua volta, dà la possibilità di votare il 25 novembre per le primarie della coalizione del centrosinistra (spero di aver riassunto bene dalle istruzioni del sito ufficiale). A parte la aleatorietà di definizione di “Elettore del centrosinistra” (io lo sono stato in passato e, chissà, forse lo sarò nuovamente in futuro, ora come ora tendenzialmente non lo sono, ma potenzialmente potrei esserlo in aprile, specie se le primarie saranno vinte da Matteo Renzi, insomma: non è così semplice... e poi: chi ottiene il “Certificato di elettore del centrosinistra” deve restituirlo il giorno, magari nel 2013 o 2014, in cui si rendesse conto di non volere più votare per il centrosinistra o può conservarlo per futuri utilizzi? Tralascio per carità di patria l'osservazione che anche la stessa definizione di “centrosinistra” è tutt'altro che univoca...) ma insomma, a parte tutte queste incertezze, l'appello ha senz'altro il pregio della sintesi: sono solo 175 parole e 1204 caratteri. Niente male. In base al contenuto possiamo scomporre il testo in frasi (quasi delle unità semantiche?) e poi ricomporlo logicamente in cinque parti. Una prima parte dell'appello (ovvero l'inizio e un passaggio successivo verso la metà del testo) è dedicata all'auto-definizione degli elettori del centrosinistra: chi sono, in cosa si riconoscono e in cosa credono. Una seconda parte (siamo già verso il finale del testo) consiste nella dichiarazione di ciò che veramente fanno questi elettori del centrosinistra (che poi è una sola cosa: partecipano alle elezioni primarie). Una terza parte (anche se questa parte nel testo viene prima) è dedicata a cosa vogliono fare (alcune cose hanno intenzione farle direttamente, in prima persona, altre cose fornendo un contributo parziale). Una quarta parte è dedicata a ciò che invece chiedono ad altri di fare (specificatamente agli altri elettori, ai candidati e a tutte le forze del cambiamento e della ricostruzione). Una quinta parte è destinata a spiegare sommariamente perché fanno le cose di cui ai punti 2-4. C'è solo una piccola frase, verso metà, che, apparentemente, esce da questo schema piuttosto lineare. È diversa dalle altre perché non parla di loro, degli elettori del centrosinistra. La frase è questa: “la politica non è tutta uguale”, frase che può essere, per contenuto, ricondotta vagamente a questa quinta parte, quella delle motivazioni. In altre parole: 1) siamo elettori del centrosinistra con le cose in cui crediamo e ci riconosciamo 2) di fatto per ora ci limitiamo a votare alle primarie 3) vogliamo fare una serie di cose (da soli o in compagnia) 4) chiediamo anche ad altri di fare una serie di cose 5) e tutto questo per una serie motivazioni. Veniamo ad analizzare questi cinque punti. 1) Chi sono? In cosa si riconoscono? In cosa credono? Noi, cittadine e cittadini democratici e progressisti. Oggi siamo noi i protagonisti del cambiamento e ne sentiamo la responsabilità. Una prima sommaria identificazione chiede al sottoscrittore di A) essere un cittadino o una cittadina (possono votare alle primarie i cittadini europei residenti in Italia o di altri paesi se in possesso di permessi di soggiorno) e poi B) di essere democratico e progressista. Mentre questa prima frase sembra indicare i prerequisiti alla sottoscrizione (se non sei un cittadino democratico e progressista, non firmare e non votare alle primarie), la seconda frase: Oggi siamo noi i protagonisti del cambiamento e ne sentiamo la responsabilità consiste in una specie di promemoria da parte degli estensori ai sottoscrittori dell'appello: “guardate cittadini che i cittadini democratici e progressisti, OGGI, volenti o nolenti, C) sono protagonisti del cambiamento e D) ne sentono la responsabilità. Non so se tutti gli elettori del centrosinistra hanno questa sensazione di protagonismo. In ogni caso se qualcuno firma l'appello garantisce al resto del mondo di sentire al responsabilità di essere un protagonista del cambiamento (e non uno che lo aspetta dall'alto). Ci riconosciamo nella Costituzione repubblicana, in un progetto di società di pace, di libertà, di eguaglianza, di laicità, di giustizia, di progresso e di solidarietà. Questi cittadini si riconoscono in due cose: A) nella Costituzione e poi B) nel progetto di una società basata su sette elementi: pace, libertà, eguaglianza, laicità, giustizia, progresso e solidarietà. Crediamo nel valore del lavoro, nello spirito solidaristico e nel riconoscimento del merito. E poi credono in tre cose: A) valore del lavoro B) spirito solidaristico (leggermente ridondante con il settimo degli elementi di cui sopra, ma repetita juvant) C) riconoscimento del merito. Ovviamente il riconoscimento del merito instaura un rapporto dialettico con l'eguaglianza, cioè il terzo dei sette elementi del progetto di società di cui sopra. Il problema, in altri termini, può essere definito così: secondo il centrosinistra la persona che merita davvero molto deve poi ottenere davvero molto di più di chi merita poco, per un principio di meritocrazia? Oppure appena appena un po' di più, in base a un principio di uguaglianza? Oppure bisogna garantire a entrambi il minimo sindacale, per un principio di eguaglianza, e poi per il resto, l'eccedenza, ce la si gioca in base al merito? Oppure ancora a entrambi va garantito un equo punto di partenza e poi chi più merita, più otterrà fosse anche 100 a 1? Lo spettro è ampio e non si può certamente definire meglio in 175 parole, ma ci basti sapere che il principio del merito e quello dell'uguaglianza sono entrambi tenuti in considerazione dal centrosinistra. 2) Cosa fanno effettivamente? partecipiamo alle elezioni primarie per la scelta del candidato comune alla Presidenza del Consiglio Scorrendo il testo questa è l'unica AZIONE effettiva che viene posta in atto (aldilà delle cose in cui credono, che vogliono fare, che chiedono ad altri di fare, eccetera). Tutto sommato ha senso: se io firmo l'appello, pur condividendo l'orizzonte culturale, gli auspici, le richieste, le intenzioni, non è detto che abbia fisicamente voglia di fare molto altro, seduta stante. 3) Cosa vogliono fare? Vogliamo archiviare la lunga stagione berlusconiana e sconfiggere ogni forma di populismo. Vogliamo contribuire al cambiamento dell’Italia, alla ricostruzione delle sue istituzioni, a un forte impegno del nostro Paese per un’Europa federale e democratica. Vogliamo che i nostri rappresentanti siano scelti per le loro capacità e per la loro onestà. Hanno intenzione di fare seic cose. E dicono, apparentemente, di volere fare da soli le prime due: A) archiviare la lunga stagione berlusconiana B) sconfiggere ogni forma di populismo. Immagino che lo vogliano fare magari anche con un cambiamento culturale, ma soprattutto con un voto al centrosinistra (quindi di fatto pur sempre tramite una delega). Per le seconde tre si limitano a “voler contribuire”: C) cambiamento dell'Italia D) ricostruzione delle istituzioni E) impegno dell'Italia per un Europa federale e democratica. Ricordiamoci che loro si sono autodefiniti: democratici e progressisti. L'Europa invece la vogliono democratica e federale. Allora perché non si sono definiti federalisti? La sesta cosa che vogliono fare è F) scegliere i rappresentanti in base a capacità e onestà. Qui non è chiarissimo se ci si riferisce alle primarie o anche alle successive elezioni. Sarei propenso a pensare che sia la seconda ipotesi. In ogni caso, oltre all'impegno personale del sottoscrittore a scegliere candidati capaci e onesti, qui viene espresso un appello che si rivolge (non è esplicito, ma deve essere necessariamente così) in prima battuta ai vertici stessi dei partiti del centrosinistra perché scelgano candidati capaci e onesti (specialmente, immagino, se si andrà a votare con i listini chiusi), ma in ultima istanza, anche agli altri elettori delle primarie e delle successive elezioni (specialmente se si voterà con le preferenze) perché sappiano eleggere candidati capaci onesti. A una lettura ancora più approfondita l'appello pare anche rivolgersi a tutti gli italiani, anche quelli del centrodestra. Ovvero loro del centrosinistra vogliono che TUTTI i nostri rappresentanti (in parlamento, anche quelli di altri partiti) siano scelti in base a competenza e onestà. 4) Cosa chiedono agli altri di fare Chiediamo che i candidati dell’Italia Bene Comune rispettino gli impegni contenuti nella Carta d'Intenti. Rivolgiamo un appello a tutte le forze del cambiamento e della ricostruzione a sostenere il centrosinistra e il candidato scelto dalle primarie alle prossime elezioni politiche. Sono due le cose che chiedono agli altri di fare A) la seconda richiesta è quella di chiedere il rispetto della carta d'Intenti (e ci mancherebbe) da parte dei candidati; B) segue un appello a tutte le forze del cambiamento e della ricostruzione a sostenere il centrosinistra e il candidato scelto dalle primarie alle prossime elezioni politiche. Questo non è chiarissimo, io ci leggo un appello agli altri partiti di area (sinistra, centrosinistra e centro) che non hanno partecipato alle primarie di sostenere il candidato che emerge dalle primarie (ammesso e non concesso che si vada a votare con un metodo che prevede l'indicazione del presidente del consiglio). 5) Perché lo fanno? La politica non è tutta uguale. Per questi motivi partecipiamo alle elezioni primarie per la scelta del candidato comune alla Presidenza del Consiglio. Per l'Italia. Bene Comune. Abbiamo visto sopra che l'unica cosa che viene effettivamente fatta dai sottoscrittori è partecipare alle primarie. Perché lo fanno emerge soprattutto dal proprio profilo (punto 1) e dalle proprie aspirazioni (punti 3 e 4) alcune delle quali sono auto-evidenti (ad esempio non c'è bisogno di spiegare perché si aspira ad avere rappresentanti capaci e onesti). Nello spiegarci questo ci ricordano (ecco la frase anomala!) che la politica non è tutta uguale: che il centrosinistra comunque ha qualcosa in più degli altri. E infine fanno tutto questo perché hanno una visione dell'Italia come un bene comune, un condominio. E adesso, se avete ancora la forza di leggere, ecco il testo ricomposto. I) Noi, cittadine e cittadini democratici e progressisti, oggi siamo i protagonisti del cambiamento e ne sentiamo la responsabilità. Ci riconosciamo in A) Costituzione repubblicana, B) un progetto di società di 1) pace 2) libertà 3) eguaglianza 4) laicità, 5) giustizia 6) progresso 7) solidarietà. Crediamo in A) valore del lavoro B) spirito solidaristico C) riconoscimento del merito. II) Partecipiamo alle elezioni primarie per la scelta del candidato comune alla Presidenza del Consiglio III) Vogliamo 1) archiviare la lunga stagione berlusconiana 2) sconfiggere ogni forma di populismo; 3) contribuire al cambiamento dell’Italia, 4) alla ricostruzione delle sue istituzioni, 5) a un forte impegno del nostro Paese per un’Europa federale e democratica 6) che i nostri rappresentanti siano scelti per le loro capacità e per la loro onestà. IV) 1) Chiediamo che i candidati dell’Italia Bene Comune rispettino gli impegni contenuti nella Carta d'Intenti 2) Rivolgiamo un appello a tutte le forze del cambiamento e della ricostruzione a sostenere il centrosinistra e il candidato scelto dalle primarie alle prossime elezioni politiche. V) 1) Per questi motivi 2) La politica non è tutta uguale. 3) Per l'Italia. Bene Comune.

martedì 7 agosto 2012

Le due petizioni di Caterpillar AM Olimpico.

1. Squadra unica europea alle Olimpadi di Rio 2016: firma qui.
2. Daniele Molmenti portabandiera della cerimonia di chiusura. Firma qui.

mercoledì 6 giugno 2012

Organizza e vinci (che combinazioni!)

Anche se il mio amico Luca Gattuso contesta questa ipotesi, bisogna ammettere che le coincidenze iniziano a essere molte.
La mia tesi è questa: l'organizzazione di grandi eventi, sportivi, economici e sociali, attira inesorabilmente i successi nel calcio. Il fatto era già noto, ma l'ultima conferma è stata particolarmente roboante e allora partiamo proprio da questa.

Londra. Partiamo cioè dal fatto che - finora - nessuna squadra di calcio della città di Londra aveva mai vinto la Coppa dei Campioni (da qualche anno il torneo si chiama Champions League, ma quella che alza la squadra campione d'Europa si chiama ancora Coppa dei Campioni). Si trattava di una vera anomalia, anche perché il calcio moderno nasce nel Regno Unito, Londra del Regno Unito è la capitale e molte importanti squadre inglesi vengono proprio dalla capitale: a partire dall'Arsenal e dal Chelsea, che avevano raggiunto in passato la finale della Coppa dei Campioni, fino allo stesso Tottenham Hotspur, vincitore di altri tornei europei, per finire con il West Ham, il Crystal Palace, il Fulham, il Queens Park Rangers, il Millwall. Senza considerare che altre squadre inglesi, come il Liverpool e il Manchester United, ma perfino il Nottingham Forest e l'Aston Villa, si erano tolte la grande soddisfazione di laurearsi campioni d'Europa. Guardando poi fuori dall'Inghilterra ci sono città come Milano che, tra Milan e Inter, è stata per ben dieci volte campionessa europea, Madrid nove, Monaco e Amsterdam quattro, Lisbona e Porto due, Bucarest, Belgrado, Glasgow, Amburgo, Dortmund, Eindhoven, Marsiglia o Rotterdam una. Insomma che Londra non avesse mai avuto questo privilegio, con tanta tradizione e tante squadre a disposizione, era un paradosso della storia. Perché il tabù venisse infranto dal fato (e chi ha seguito le vicende dell'ultima edizione del torneo sa quanto il fato abbia giocato un ruolo importante dal principio fino all'ultimo atto, cioè fino ai calci di rigore tra Bayern Monaco, che giocava nel suo stadio, e Chelsea) si è dovuta organizzare un'Olimpiade a Londra. La prima da quando esiste un campionato europeo di calcio per club. Olimpiadi di Londra 2012, Chelsea campione d'Europa del 2012. Una coincidenza, si dirà.
Grecia. Ma torniamo indietro di qualche anno. Parliamo di campionati europei di calcio per nazioni. Era il 2004 e il torneo si svolgeva in Portogallo. Alla partita inaugurale il Portogallo, padrone di casa, viene battuto dalla Grecia. Un caso anomalo, si pensò, ma la palla è rotonda, si sa. Il palmarès della Grecia era risibile e non autorizzava a sogni: fino a quel momento la squadra ellenica si era qualificata solo una volta alla fase finale degli europei e una sola volta alla fase finale dei mondiali. In entrambi casi uscendo subito al primo turno. La vittoria della Grecia era data da 80 fino 150 contro 1. Ma i bookmaker e gli esperti non avevano tenuto conto dell'effetto Olimpiadi. Sì, perché quell'anno ad Atene, poche settimane dopo gli europei, si sarebbero svolte le Olimpiadi di Atene. Così, dopo un torneo a dir poco incredibile, Portogallo (sottolineiamo ancora una volta: padrone di casa) e Grecia si trovarono una seconda volta faccia a faccia nella finale. Già questo fatto che partita inaugurale e finale siano coincise è molto bizzarro, ancora più bizzarro è che la strafavorita squadra di casa venga battuta, e per la seconda volta con lo stesso punteggio (0-1)!, da una delle squadra meno considerate del torneo: la Grecia che, grazie all'effetto Olimpiadi, si laurea campione d'Europa. A sorpresa è dire poco.
Genova. Veniamo in Italia. La città di Genova è stata la prima a vincere, grazie al glorioso Genoa Cricket and Football Club, il primo campionato italiano di calcio e, dopo Milano e Torino è quella che ha raccolto più vittorie. Ma l'ultima, fino a qualche anno fa, era lo scudetto del 1924 portato a casa dal Genoa. La Sampdoria non aveva mai vinto il campionato. Mai fino all'Expo di Genova del 1992. Qui i puristi delle date possono storcere un po' il naso, perché la Sampdoria vince il suo primo scudetto l'anno prima rispetto all'Expo, nella stagione 1990-91, ma c'era un disegno anche per questo. Intanto quando l'Expo di Genova apre i battenti, il 15 maggio 1992, la Sampdoria ha, ancora per pochi giorni, lo scudetto sulle maglie, ma soprattutto, sta per toccare il vertice della sua parabola calcistica di tutti i tempi: la finale della Coppa dei Campioni contro il Barcellona, nel tempio del calcio di Wembley. Una finale che si disputa solo cinque giorni dopo l'inaugurazione dell'Expo e che i blucerchiati perdono, solo ai supplementari grazie a una bomba su punizione di Rambo Koeman e solo perché... l'effetto Olimpiade batte l'effetto Expo!
Barcellona. Infatti l'avversaria della Sampdoria è il Barcellona, la fortissima squadra spagnola. Fortissima, ma non abbastanza forte da vincere una Coppa dei Campioni. Tanti trofei nazionali, Coppe delle Fiere, Coppa delle Coppe, anche una finale di Coppa Campioni, nel 1961 persa contro il Benfica di Eusebio, ma mai una vittoria. Mai fino all'arrivo a Barcellona delle Olimpiadi, che prendono il via nella città catalana, il 25 luglio 1992, due mesi dopo la prima vittoria della Coppa Campioni. Insomma: anche il fortissimo club blaugrana (che attualmente, nonostante la sfortunata eliminazione in semifinale di quest'anno, è pur sempre la squadra più forte del mondo), ha avuto bisogno di un'Olimpiade per aprire la serie dei suoi successi europei.
Italia. Tornando in Italia, va certamente segnalato il fatto che Juventus, Inter, Milan e Lazio hanno vinto un campionato in occasione del proprio centesimo anniversario di fondazione (che combinazione!), anzi a essere più precisi: la Juventus e l'Inter hanno passato il giorno del proprio centesimo compleanno, rispettivamente nel novembre 1997 e nel marzo 2008, già con lo scudetto sulle maglie e poi hanno vinto anche il campionato che era in corso in quel momento, il Milan ha passato il compleanno con lo scudetto, nel dicembre 1999, ma poi non è riuscito a vincere il campionato in corso, quello del 1999-2000, che è stato vinto dalla Lazio, che non ha spento le candeline con lo scudetto sulla maglia, il 9 gennaio 2000, ma se l'è cucito poco dopo, il 14 maggio 2000.
Roma. Sulla vittoria della Lazio, e su quella della Roma, l'anno successivo, si potrebbe poi fare un discorso particolare, perché in oltre cento anni di storia del calcio italiano non era mai accaduto che lo scudetto rimanesse a Roma per più di un anno. Perché questo accadesse fu necessario celebrare a Roma il grande Giubileo del 2000, il grande evento della Chiesa Cattolica che ha aperto il terzo millennio e che ha fruttato uno di seguito all'altro lo scudetto della Lazio nel 1999-2000 e quello della Roma del 2000-2001.
Milano. Con tante coincidenze favorevoli i cugini rossoneri faranno sicuramente bottino pieno per l'Expo di Milano del 2015. A questo punto sarebbe per loro una vera beffa non vincere nulla. Ma non accadrà.

Riepilogando:
1) Coppa dei Campioni a una squadra di Londra (mai successo prima) in coincidenza con la prima Olimpiade organizzata a Londra (2012) da quando esiste la Coppa Campioni;
2) Coppa Europa alla Grecia (mai successo prima, Grecia risultati sempre scadenti in precedenza) in coincidenza con l'Olimpiade di Atene (2004);
3) Scudetto e poi finale di Coppa Campioni per la Sampdoria (mai successo prima, e lontanissimo dall'accadere sia prima che dopo) in corrispondenza con l'Expo di Genova del 1992;
4) Coppa Campioni del Barcellona (mai successo prima) in coincidenza con le Olimpiadi di Barcellona del 1992;
5) Scudetti a Juventus, Inter, Milan e Lazio in corrispondenza con i centesimi anniversari delle squadre;
6) Scudetto per due volte nella città di Roma (mai successo prima) in occasione del Giubileo 2000.

martedì 15 maggio 2012

Travaglio, Riotta, Grillo: ma allora vale tutto!

In questo simpatico belpaesello riusciamo a creare dibattito anche su fatti facilmente verificabili (o sui numeri!). Riusciamo a dividerci anche su fatti come decidere se l'immagine che ho pubblicato è la copertina di un numero di Tex o di Rin Tin Tin. Se c'è dibattito anche su questo allora vale tutto!

Capisco dividersi su fenomeni complessi come le misure da intraprendere per la crescita (tagli alla spesa pubblica o politiche keynesiane?) o terribilmente drammatici come l'analisi dei suicidi economici (anche se lì qualche numero lo abbiamo messo a posto).  Ma, per la miseria, non serve il dibattito (o un tribunale!) per capire se la ricostruzione di Marco Travaglio nell'ultima puntata di Servizio Pubblico sul trattamento riservato dal TG1 delle ore 20 al primo V-Day dell'8 settembre 2007 era corretta del tutto, in parte o per nulla.

Ricapitoliamo.

1.  Il 10 maggio, a Servizio Pubblico, Marco Travaglio racconta come l'8 settembre 2007 il V-Day sia stato trascurato dai principali TG italiani e espone dettagliatamente cosa è andato in onda quella sera al TG1 (Qui il video di Servizio Pubblico: chi non ha tempo di vederselo tutto può limitarsi ai 72 secondi da 1:08 a 2:30 e qui l'edizione integrale del TG1 delle 20 di quella sera con il pezzo sul Vaffa-Day da 14:52 a 15:23).

2. La ricostruzione di Travaglio è giudicata non corretta da Gianni Riotta, (allora direttore del TG1) che nel corso della stessa serata lancia alcuni tweet di precisazione, tra cui i seguenti: "Basta guardare il Tg. Notizia edizione 20, un editoriale alle 20 edizione principale e uno speciale di un'ora di Luverà a TV7" "TG1 da me diretto diede notizie V day ore 20 con commento. Approfondì con un'ora di Tv7 speciale. Grillo rifiutò intervista a Luverà" "Per chi insiste con bugie su Tg 1 e Grillo ho fede nei tribunali della Repubblica. Andiamo e vediamo Tg 1, servizio, commento e speciale TV7" "Li portiamo in tribunale e così si rinfrescano memoria". 

3. Il giorno dopo Riotta pubblica sul Corriere una sua ricostruzione dettagliata, alla quale controrisponde Marco Travaglio (entrambi reperibili qui).

4. Infine, sabato 12 maggio Il Fatto Quotidiano pubblica un articolo di Marco Travaglio intitolato Riottamazione in cui vengono ricostruiti tutti i punti di cui sopra soffermandosi in particolare su altri noti commentatori che, nella serata del 10 maggio, spalleggiavano le smentite di Riotta a Travaglio stesso.

Fare il giro dei cinque link è un'operazione che richiede 10 minuti: chiunque può farsi un'idea e decidere se abbia ragione uno o l'altro. Mi sembra assurdo che si siano invocati i tribunali (invocati, a dire il vero, prima da una parte e solo poi dall'altra) per una questione che chiunque (specie ora che abbiamo i filmati disponibili) può facilmente verificare. Ci sono già tanti problemi complessi su cui dividersi, almeno sulle cose oggettive non dovrebbe essere difficile stabilire chi ha ragione.

PS: Secondo me adesso la palla è finita decisamente in uno dei due campi (non dico quale). Chi sta in quel campo deve sfoderare un nuovo colpo o concedere cavallerescamente il punto all'avversario ammettendo di avere sbagliato. Ma mi sa che il preannuncio di querela con cui si chiude il pezzo di Travaglio non dà spazio a questa soluzione.

PPS: Nei vari altri giornali e blog dove si dà conto di questa polemica la maggior parte dei commenti dei lettori vertono sulla simpatia o l'antipatia o l'arroganza o la supponenza di Travaglio, di Riotta o persino di Beppe Grillo. Cari lettori degli altri blog, chi se ne frega se uno o più di questi vi stanno antipatici? Per una volta non potete limitarvi a dire chi è, qui, che ha preso un granchio? Magari è stato quello che vi sta più simpatico dei tre!

venerdì 11 maggio 2012

Suicidi economici: dove sta la verità?

L'argomento è tristissimo, ma la polemica è vera e non è giusto accontentarsi della prima spiegazione. Riepiloghiamo:

I SUICIDI PER MOTIVI ECONOMICI SONO AUMENTATI.
Da alcune settimane viene segnalato da più parti un preoccupante incremento dei suicidi per ragioni economiche (alcuni commentatori sottolineano la diffusione del fenomeno in particolare tra gli imprenditori in crisi).
Tra chi denuncia questo fenomeno, va ricordata prima di tutti la CGIA di Mestre e in secondo luogo quello che considero uno dei miei punti di riferimento: Oscar Giannino sul suo blog e a Radio24, che sulla base di questa grave emergenza sociale ha lanciato la campagna "Disperati mai".
Non solo: sull'onda di questo allarme, abbiamo assistito a un vero fiorire di meritevoli iniziative di sostegno, anche psicologico, nei confronti degli imprenditori in difficoltà da parte dei sindacati, delle associazioni industriali, delle camere di commercio, fino a manifestazioni più criticabili
come questa da parte de La Destra.
Questi link risalgono agli ultimi giorni, ma la polemica era stata sollevata già a metà aprile e aveva provocato questo scivolone da parte di Mario Monti che già il 18 aprile aveva sottolineato che in Grecia si stava peggio che da noi, perché là i suicidi per la crisi sono stati ben 1725. Un'uscita davvero opinabile.
Successivamente, il 4 maggio, a Bologna c'è stata la marcia dei parenti delle vittime dei suicidi dovuti alla crisi, evento che non ha avuto sufficiente copertura mediatica, come sottolineato dagli stessi osservatori di cui sopra. Ovviamente queste morti vengono imputate, pur se non direttamente, al governo sia per la pressione fiscale impressionante che mette in ginocchio gli imprenditori sia per "una totale incapacità di comprendere il paese reale" (testuale di Nicola Porro, oggi intervistato da Oscar Giannino a Nove in punto). Di certo uscite come quella di Monti sui suicidi in Grecia NON aiutano.

NO, I SUICIDI PER MOTIVI ECONOMICI NON SONO AUMENTATI. Dopo l'esposizione di alcuni dubbi sollevati da Filippo Facci in un primo e in un secondo commento sul Post, due giorni fa è uscito un articolo di Wired, poi ripreso da molti (tra cui la Repubblica che ha approfondito l'argomento con il sociologo Marzio Barbagli e anche il mio amico blogger Matteo Bordone), che ha sottolineato come, da dati Istat e Eures dal 1 gennaio all'8 maggio 2012, i suicidi "per ragioni economiche" fossero "soltanto" 38. Così ho calcolato che, proiettato su tutto l'anno, questo dato parziale ci porterebbe a un totale di 108 al 31 dicembre 2012. Mentre nel 2010 (ultimo dato Istat disponibile) questi morti erano stati 187 e nel 2009 addirittura 198. Quindi non ci sarebbe alcuna "emergenza suicidi economici". A ulteriore supporto di questa posizione l'articolo di Wired segnala che non c'è nessuna correlazione diretta tra la situazione economica e l'incidenza dei suicidi sulla popolazione di un paese: per dire Finlandia e Germania, con economie più floride, hanno quattro volte e due volte più suicidi di noi, mentre la Grecia, dove la crisi è al top, ne ha molti meno di noi: anzi risulta essere il paese con meno suicidi d'Europa!

Queste le due posizioni. Ma chi ha ragione, o meglio: quali sono i punti ancora da chiarire per stabilire chi ha ragione? Volutamente, per ora, non tratto del cosiddetto "Effetto Werther" (l'effetto di emulazione) perché esula in parte dal problema in senso stretto.

1. Il primo dato è che l'articolo di Wired non precisa da dove esca questo 38 come numero dei suicidi (fino all'8 maggio 2012) legati alle difficoltà economiche. Più avanti nell'articolo linka correttamente l'analisi Istat del 2010 e quella Eures, ma non si capisce la fonte di quel numero. Inoltre nell'articolo manca anche il totale dei suicidi in senso assoluto (di cui quelli economici sono un sottoinsieme).

2. Se fosse confermato come dato comparabile con quelli Istat del 2010 avremmo però davvero una diminuzione e non aumento di questi suicidi per ragioni economiche (che nel 2010 erano 187 su 3048 totali e nel 2009 addirittura 198 su 2986) mentre quest'anno la proiezione ci porterebbe a 108. Va detto però che le classificazioni vengono fatte dalle forze dell'ordine ed è spesso difficile trovare un singolo movente a un atto così complesso (si parla, correttamente, di fenomeno multifattoriale). Però verosimilmente i criteri dovrebbero essere rimasti invariati attraverso gli anni e quindi non si capisce perché (escludendo nuovi criteri o direttive dall'alto che nessuno segnala) quest'anno meno suicidi dovrebbero essere stati catalogati come "economici". Per maggiore precisione, come si vede a pagina 3 di questo documento i dati "anomali" si riscontrano proprio tra il 2008 e il 2010 gli unici anni in cui si toccano i 150-198 suicidi economici, mentre negli anni precedenti si stava sempre non lontano dai 100. Se la tendenza del 2012 fosse confermata si tratterebbe quasi di un "ritorno alla normalità". Ma i dubbi su quel 38 restano!

3. Ribadisco qualche dubbio su quel 38, non vorrei che fosse in qualche modo in relazione con il 32 segnalato dalla CGIA qualche giorno prima come numero degli imprenditori suicidati dall'inizio dell'anno, che è tutt'altra cosa: un imprenditore si può suicidare per motivi NON economici e viceversa un suicidio per motivi economici può essere commesso da un NON imprenditore. Se fosse così sarebbe un bell'equivoco. A non fare chiarezza contribuiscono agenzie come questa dove si cita 138 e non 38 e si mischiano le due categorie.

4. Se fosse confermato quel 38 però, non potremmo non segnalare (e con dolore, visto l'affetto e la stima che ho nei confronti di Giannino) lo sfruttamento di una non-notizia per ragioni di polemica politico-economica che non avrebbe affatto bisogno di questi mezzi per avere facilmente ragione, visto che gli imprenditori in crisi sono DAVVERO TANTI, che la pressione fiscale è DAVVERO DISUMANA e i tagli alla spesa pubblica sono DAVVERO INDIFFERIBILI e che il governo a più riprese ha mostrato una distanza siderale con la pancia del paese, da cui, ad esempio, deriva parte del successo del M5S alle amministrative. Ma se questa storia dell'aumento dei suicidi fosse falsa, sarebbe una bolla mediatica imperdonabile, proprio per la delicatezza della materia trattata, una mancanza di rispetto innanzitutto per quelle persone e poi per chi legge. Sarebbe interessante capire come si riesce da un punto di vista mediatico a illuminare metodicamente un fenomeno che magari, da un punto di vista numerico è assolutamente nella media. Tanto per dire, su una cosa così, l'aumento della criminalità a Roma Alemanno ci ha vinto prima un'elezione e poi una grossa gatta da pelare. Io però ancora non credo del tutto che ci sia stata un'operazione del genere.

Insomma non sono ancora riuscito a farmi un'opinione precisa, intanto per quel dubbio sul numero 38 e poi per la mancanza del numero totale di suicidi nel 2012. Se qualcuno ha dati più precisi per cortesia li posti per cercare di rimettere le caselle a posto.

5. Resta un'ultima e non banale curiosità: se dai dati riportati da Wired (che li riprendeva da Eures) la Grecia è il paese con il più basso numero di suicidi in Europa, cosa diavolo ha detto Monti il 18 aprile? Quel 1725 a cosa si riferisce esattamente e con quale dato italiano va comparato?

Update del 14 maggio: Oggi abbiamo avuto ospite a Caterpillar AM Daniela Cipolloni, l'autrice dell'articolo di Wired. Nel corso dell'intervista (podcast scaricabile qui) la Cipolloni ci ha spiegato che i 38 suicidi economici presi da lei in considerazione dal 1 gennaio all'8 maggio 2012, non sono un anticipazione dei dati Istat del 2012, ma sono semplicemente quelli riportati dalla CGIA di Mestre, come suicidi riguardanti imprenditori o professionisti e non sono pertanto TUTTI i suicidi economici del 2012. Restano fuori ad esempio lavoratori dipendenti, pensionati e soprattutto disoccupati (teoricamente potrebbe esserci anche qualche caso di falso positivo: imprenditori suicidati per ragioni non economiche). Il dato quindi non è comparabile con i dati Istat relativi al 2009 o al 2010 (rispettivamente 198 e 187). Per essere sicuri di essere di fronte a un aumento o a una diminuzione dovremo pertanto aspettare il report Istat relativo al 2012 che, se il ritmo di pubblicazione è quello attuale, uscirà nel marzo 2014. Resta da capire perché nessuno dei media ha parlato di picco di suicidi nel corso del 2009 o perlomeno l'anno scorso quando sono usciti i dati Istat relativi al 2009 con un numero di suicidi economici quasi raddoppiato rispetto al 2007 (118) e più che raddoppiato rispetto al 2004 (98) come sottolinea anche Mario Calabresi Insomma ho percepito prima un po' di voglia di montare il caso da una parte e ora di smontarlo dall'altra, per fortuna c'è anche, da parte di tutti, la consapevolezza che si tratta di un fenomeno complesso e che le semplificazioni, anche numeriche, devono lasciare il posto ad analisi e soluzioni più articolate e rispettose. Almeno fino a che non usciranno i numeri "veri".

Update del 29 aprile 2016:
L'articolo risale al maggio 2012 (oggi è stato fatto un minimo editing per renderlo più leggibile), ma questo fenomeno della segnalazione dell'aumento dei "suicidi economici" è tornato alla ribalta recentemente. Nel frattempo, infatti, sono successe alcune cose:
a) L'Istat ha smesso di calcolare i suicidi economici (l'ultimo dato quindi resta quello del 2010 e il consuntivo 2012 che attendevamo nell'articolo non arriverà mai). Inoltre Istat ha cambiato i criteri di rilevazione dei suicidi in generale, anche per renderli comparabili con quelle delle altre nazioni, utilizzando solo la fonte sanitaria (e non più quella giudiziaria che tendeva a sottostimare il fenomeno). Si legga qui
b) In mancanza della fonte Istat, altri istituti, in particolare l'Osservatorio sui suicidi del sociologo Ferrigni, continua a raccogliere i dati sui suicidi economici, come ci riportano il Fatto quotidiano (qui) e Linkiesta (qui). Ma, in particolare questo secondo articolo, a firma di Riccardo Puglisi, solleva forti dubbi e mancanza di documentazione e supporto scientifico sui dati raccolti da Ferrigni. Insomma: a distanza di 3-4 si sospetta nuovamente qualcuno di creare allarmismo sui suicidi economici. Certo l'interruzione della raccolta dei dati da parte Istat non aiuta a dirimere la questione.

venerdì 27 aprile 2012

Se tanto mi dà Santa.

Dare consigli, da ateo, alla Chiesa Cattolica (e in generale alle chiese cristiane) su come fare proseliti, è peggio che tentare di vendere caloriferi agli eschimesi, è peggio della pioggia sul bagnato, è peggio che tirarsi un boomerang addosso per mostrare al mondo quanto si è precisi nel farlo tornare indietro.
Il mio però non è esattamente un consiglio su come conquistare nuovi fedeli, ma più precisamente un consiglio su come NON perderne in tenera età.
È nozione comune che nella vita di ogni piccolo cattolico moderno, almeno nella stragrande maggioranza dei paesi occidentali, l'insorgere della seconda dentizione si associa con il verificarsi di una delle più grandi disillusioni della vita, un evento che spesso coincide con la perdita dell'innocenza e il definitivo smarrimento nella fiducia nel prossimo: la presa di coscienza che non è Babbo Natale (o, ai miei tempi, Gesù Bambino, Santa Lucia o la Befana) a portare i regali la notte di Natale.
Dal momento stesso in cui ha luogo la sconvolgente scoperta, viene improvvisamente valorizzata quella strana diffidenza che si era già fatta strada nella mente del giovane soggetto nel corso delle settimane precedenti (il disvelamento non arriva quasi mai inaspettato, alcune domande "tecniche" riguardanti la pervietà del camino, la tabella di marcia delle renne, l'apparente ubiquità del vecchio, eccetera, si affastellano tumultuose), mentre la fiducia riposta nei genitori (e in generale negli adulti) viene scossa alle radici. "Avevo fatto bene a diffidare di loro negli ultimi tempi, avevo fatto male a fidarmi, quando ero piccolo".
Insomma: la diffidenza assume rapidamente il ruolo di valore fondante della propria identità adulta.
Passano gli anni, magari quattro, magari otto, e c'è un'altra storia che non torna: la storia di questo giovane uomo nato da una ragazza vergine in Palestina, il quale dice cose molto giuste, ma riesce anche a trasformare l'acqua in vino, a moltiplicare i pani e i pesci, a resuscitare il suo amico Lazzaro e in conclusione perfino se stesso (senza peraltro farsi poi rivedere, una volta resuscitato, dalla folla in piazza a Gerusalemme, ma soltanto ai suoi scarsi discepoli). Una storia che, beh, suona davvero strana. E chi l'ha raccontata al piccolo? Ancora una volta i genitori e altri adulti. Gli stessi che volevano fargli credere che i regali li porta Babbo Natale o persino lo stesso Gesù Bambino! Ma se Gesù, come ora il ragazzetto sa, non è nemmeno capace di portare due giocattolini, perché dovrebbe essere capace di resuscitare dai morti e ascendere al cielo? "Ci sono caduto l'altra volta, perché ero piccolo, ma stavolta non mi fregano più!". Certo, tesoro.
Sembra molto legittimo che nella prima adolescenza molti ragazzi perdano la fede, se sono stati già gabbati, a loro tempo, con la panzana di Babbo Natale e Gesù Bambino.
Concludendo: se la Chiesa Cattolica vuole evitare che molti adolescenti perdano la fede nella prima adolescenza deve combattere come la peste tutte queste manfrine sui regali di Natale e istruire le famiglie più fedeli a dismettere tali pratiche fondando la comunicazione con i bambini sulla verità e la fiducia reciproca: i regali li portano i genitori, ma Gesù è risorto davvero.
Per dire.

lunedì 19 marzo 2012

Tutto in una notte (una storia vera)



Per apprezzare al meglio questa storia è necessario prima di tutto metterne bene a fuoco i tempi, i luoghi, le situazioni e anche i soldi. Sì, perché nell'ottobre del 1988 (settimana più, settimana meno) i tempi della mia vita erano strettissimi, le distanze enormi, le situazioni complicate e i soldi davvero pochi.

Per i luoghi ho fatto una mappa, per il resto potete casomai prendere qualche appunto.

Nell'ottobre del 1988 avevo venticinque anni e di giorno, dalle otto e mezza alle quattro, lavoravo come educatore alla Fondazione Don Gnocchi di Inverigo (lettera C sulla mappa), altissima Brianza. Il tardo pomeriggio e la sera invece collaboravo, per un paio di giorni alla settimana, con Radio Popolare, la storica emittente milanese, che allora trasmetteva dalla centralissima Piazza Santo Stefano (lettera D).

Io a Milano, dalle parti di piazza Udine, ci sono anche nato, ma nel 1977, quando avevo quattordici anni, mio padre seguendo gli spostamenti dell'IBM per cui lavorava, ci aveva deportato da Milano a Vimercate (lettera L), una placida cittadina della bassa Brianza. Adesso in auto da piazza Udine a Vimercate ci si mettono venti minuti, ma il trasloco da Milano alla provincia mi aveva causato un trauma pressoché irrimediabile, perché mi era piombato sulla testa proprio alle porte dell'adolescenza.

Così nel 1985, circa tre anni prima dei fatti che sto per raccontare, non appena avevo iniziato a lavorare e a mettere da parte qualche lira, avevo lasciato un po' alla chetichella la casa dove abitavo con i miei, per trasferirmi di nuovo a Milano, zona Fiera (lettera A), in un appartamento condiviso con Elena, una mia cara amica e la sua amica Luisa. Il trilocale di via Tiziano era presto diventato un punto di riferimento nella Milano degli anni ottanta: ci passava un sacco di gente di tutti i tipi, compresi alcuni che avevano o che avrebbero fatto strada come lo stesso Massimo Cirri, grazie al quale avevo iniziato a muovere i primi passi in radio o Carlo Taranto, che non era ancora il signor Carlo della Gialappa's Band oppure il celebre Bifo di Radio Alice il quale una volta si era portato dietro persino il filosofo francese Felix Guattari, ma sicuramente mi dimentico qualcuno. Ognuno dei tre abitanti disponeva di una propria stanza e non c'era alcun legame sentimentale tra di noi, ma la situazione logistica aveva creato qualche imbarazzo quando poi, alla fine del 1987, mi ero fidanzato con Piera, la ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie, una collega della Fondazione Don Gnocchi che abitava a Giussano (lettera I). In particolare la sua famiglia, brianzola doc, alla notizia che lei aveva iniziato a vedersi un tizio che conviveva con altre due ragazze, era rimasta colpita come un pugile raggiunto da un uppercut e, per qualche mese, aveva fatto di tutto per ostacolare la nostra frequentazione. Così, per riconquistare il favore dei futuri suoceri, ma anche per risparmiare due lire in vista del matrimonio, proprio qualche settimana prima dei fatti che sto per narrare avevo accettato obtorto collo di tornare a casa dei miei, mettendo fine ai ruggenti giorni milanesi per avviarmi a una tradizionale vita piccolo borghese.

Me l'ero comunque presa comoda e mi ero concesso qualche settimana per mollare del tutto la casa di via Tiziano e ogni tanto, per comodità, anche se avevo restituito le chiavi alle mie amiche, mi capitava ancora di passare la notte lì. Ne era nato un simpatico tira e molla tra me e Piera la quale arrivava talvolta al punto di minacciarmi di fare una telefonata di controllo a casa dei miei, la mattina verso le 7.15, prima che passassi a prenderla per andare assieme al lavoro, per verificare se avevo passato la notte davvero a Vimercate. Col telefono fisso, ovviamente: i cellulari erano ancora un oggetto misterioso, a quel tempo. Ora lo riterrei un inaccettabile sopruso, allora lo prendevo come un atto d'amore e di attaccamento nei miei confronti.

La sua dolce minaccia era stata reiterata anche nel pomeriggio di quel mercoledì 13 ottobre 1988. La data è fittizia, ma non lontana da quella reale, che adesso non posso ricostruire con esattezza. Siamo finalmente arrivati al giorno X, ma andiamo per passi, partendo dal risveglio.

La mattina di mercoledì 13 ottobre si apre per me verso le 7. Sveglia, doccia e colazione a Vimercate, nella casa dei miei, da poco tornata ad essere ancora "casa mia". Mezz'ora scarsa di auto per passare a prendere Piera a Giussano e poi altri dieci minuti in auto assieme per raggiungere la sede della Don Gnocchi a Inverigo. Sono le 4 del pomeriggio quando la riaccompagno a casa e mi dirigo verso Milano, per partecipare a Notturnover, un programma di Radio Popolare, che andava in onda dalle 11 alle 2 di notte. Nel salutare Piera ottengo da lei l'affettuosa minaccia di cui sopra: “Guarda che domattina ti chiamo per vedere se hai dormito dai tuoi”. In effetti qualsiasi persona assennata, finendo di trasmettere alle 2 a Milano, con la prospettiva di tornare a lavorare la mattina seguente alle 8.30 a Inverigo e disponendo di una casa in città, non sarebbe di certo tornata a dormire a Vimercate. Ma evidentemente volevo dimostrare al mondo, e a lei, che ero in grado di tenere fede a un patto, per quanto oneroso.

Notturnover era un vero sconquasso, un format per certi versi geniale: consisteva in una “conduzione a due” della durata di tre ore (dalle 11 alle 2 di notte), punteggiata da una serie di “corrispondenze” da parte di 3-4 inviati in giro per la città che collegandosi dai vari teatri, cinema o palazzetti dello sport, tramite telefoni a gettoni (o erano già a moneta?) oppure rientrando fisicamente in studio, rendevano edotti gli ascoltatori di tutto ciò che si muoveva nella notte milanese. Normalmente ogni bravo inviato disponeva di un registratore portatile a cassette: il mitico Sony Walkman. Radio Popolare ne aveva un certo numero da distribuire di volta in volta, ma molti inviati se ne erano comprato uno per conto loro. Con il Walkman l'inviato, poteva realizzare interviste volanti fuori dai cinema o dai teatri e poi, una volta rientrato in studio, proporle direttamente, senza troppi montaggi. Ricordo ancora quella volta che ero riuscito a intrufolarmi nei camerini della Scala al termine della prima del Guglielmo Tell, (qualche mese dopo i nostri fatti, a Sant'Ambrogio 1988), intervistando prima Luca Ronconi e poi Mike Bongiorno il quale aveva persino salutato gli ascoltatori di Radio Popolare, che erano quanto di più lontano dalla sua visione del mondo ci potesse essere. La registrazione di Ronconi era stata un gioiellino, ma durante quella di Bongiorno avevo purtroppo tenuto la pausa inserita, così nessuno sarebbe mai riuscito ad ascoltare i saluti di Mike a Radio Popolare. La cosa curiosa è che Radio Popolare risarciva i due conduttori di Notturnover con un gettone di 50.000 lire, ma non gli inviati. A volte mi capitava di fare il conduttore (ero in onda ad esempio la notte che cadde il muro di Berlino), ma il 13 ottobre 1988 ero un normale inviato, quindi lavoravo gratis.

Quella sera però potevo usufruire di una strumentazione tecnologica incredibile, perché quella sera la mia missione da inviato di Notturnover era di quelle davvero speciali.

Così finita la mia giornata di lavoro, scaricata Piera nella sua casa giussanese dopo l'abituale razione di baci e minacce e rivolta verso Milano la prua della fantastica Peugeot 305 beige che il babbo mi aveva ceduto (una volta acquistata una prestigiosa Alfa 75), giungevo in piazza Santo Stefano verso le 5.30, ansioso di mettere le mani su ciò che di meglio la tecnologia dell'epoca metteva a disposizione per le esterne: LA VALIGETTA!

LA VALIGETTA! Si trattava di un vero e proprio studio mobile, un mixer che era predisposto per essere collegato a una normale presa telefonica e che consentiva di effettuare corrispondenze da qualsiasi luogo purché fosse connesso alla rete della SIP (come allora si chiamava la Telecom). Era uno strumento leggendario, di cui si parlava sottovoce e con rispetto nei corridoi della radio. Alcuni dubitavano persino della sua esistenza. Io stesso, in oltre diciotto anni di collaborazione con Radio Popolare, lo avrei utilizzato soltanto due volte.

Da qualche tempo Notturnover, oltre alle varie rassegne culturali, aveva iniziato a seguire le gesta di chi la notte faceva un lavoro interessante. Io avevo proposto di raccontare per una sera le avventure di un mio amico, Doriano, che come volontario gestiva le emergenze sanitarie al centralino della sede della Croce Viola in Viale Liguria (lettera B). La mia proposta era stata accettata: tra un collegamento e l'altro, nell'arco delle tre ore del programma, sarei anche dovuto salire sulle ambulanze, seguendo le varie uscite dei volontari per poi riferirne, una volta tornato nella sede della Croce Viola, tramite LA VALIGETTA. Oggi si potrebbero tranquillamente effettuare le corrispondenze direttamente dall'ambulanza o dai luoghi delle operazioni tramite un normale cellulare, allora era tutto molto più scomodo. Ci voleva LA VALIGETTA.

Una volta concordati con Sergio Ferrentino, allora coordinatore di Notturnover, gli ultimi particolari del servizio che sto per fare, vengo invitato a passare dall'ufficio del tecnico, Emanuele Consolaro, il quale mi spiega passo-passo le operazioni necessarie all'utilizzo della VALIGETTA. Al termine della breve lezione Consolaro mi consegna l'ambito dispositivo. Nell'affidarmelo pronuncia le testuali parole: “Attento Marco, che costa UN MILIONE”. Bum! Un milione, ragazzi, era una cifra stellare, la ricompensa del Signor Bonaventura. La fredda traduzione negli attuali cinquecento euro, matematicamente ineccepibile, non è soltanto irriverente è assolutamente offensiva.

Si tratta in ogni caso della seconda minaccia del giorno. Due cose non devo fare quella sera: 1) dormire in qualsiasi posto diverso dalla casa dei miei e 2) smarrire o danneggiare LA VALIGETTA.

Depositato con tutte le cure del caso sul pianale del baule della mia 305 l'oscuro oggetto del desiderio di qualsiasi inviato di Radio Popolare, raggiungo verso le 7, l'amico Doriano che mi aspetta nella sede della Croce Viola.

Facciamo uno spuntino in un bar al termine del quale Doriano mi presenta gli altri volontari della Croce Viola. Mi spiega come lavorano: io prendo appunti e poi passo a testare la connessione della VALIGETTA. Tutto perfetto. E così, ridendo e scherzando, arrivano le 11: siamo in onda.

Alla sala operativa della Croce Viola quella sera arrivano poche chiamate, ma effettuiamo lo stesso un paio di collegamenti per raccontare la vita dei volontari, poi – finalmente – c'è da effettuare un intervento! C'è stata una piccola esplosione in un negozio dalle parti di Viale Monterosa. Arriviamo sul posto: non ci sono feriti. Forse è un avvertimento del racket: roba da polizia comunque, non da ambulanza. Torniamo in sede e, sempre tramite LA VALIGETTA, io e Doriano riferiamo dell'uscita agli ascoltatori di Radio Popolare.

Alle 2 di notte la trasmissione finisce. Io mi sento stanchissimo: in fondo sono in piedi dalle 7 senza essere mai passato da casa e la prospettiva di dovermi svegliare tra poche ore, precisamente alle 7.15 con la telefonata di Piera, inizia a crearmi qualche disagio. Anche perché raggiungere casa dei miei a Vimercate partendo da viale Liguria richiede non meno di 40 minuti.

Sono circa le 2.15 quando, nel riporre nuovamente LA VALIGETTA sul pianale del baule della 305, mi rendo conto che sta per iniziare a piovere. Chiudo velocemente il baule, saluto in fretta gli amici della Croce Viola e volo verso est sperando di gabbare sul tempo il fortunale.

Ma quello che si sta abbattendo su Milano non è un normale temporale: è un uragano tropicale. Davanti al mio parabrezza nel giro di pochi istanti si forma un vero e proprio muro liquido e i viali di Milano si costellano in brevissimo tempo di profonde pozze d'acqua. Sfreccio all'impazzata su Viale Liguria, viale Tibaldi, viale Toscana, viale Isonzo. Percorro all'incirca quattro chilometri. Le sospensioni alla francese, molto morbide, della Peugeot 305 seguono perfettamente il profilo ondulato della strada. Forse troppo perfettamente, perché poco prima di arrivare in Piazzale Lodi una ondulazione più profonda delle altre causa una forte imbarcata del muso dell'auto che si ritrova totalmente immerso nell'acqua di una pozza: un tuffo incredibile dovuto un po' alla profondità stessa della pozza, ma soprattutto all'effetto spruzzo causato dalla notevole velocità del mezzo. (Punto E)

La 305 ha un sussulto e poi si blocca.

Mentre scendo dall'auto mi rendo conto che la pioggia sta scemando. Per fortuna, certo, ma ormai il danno è fatto. Apro il cofano e tento con uno straccio di asciugare l'asciugabile, a partire dalle candele. Sto portando a compimento questa difficile missione conteggiando mentalmente quante ore di sonno restano a mia disposizione (non più di quattro) quando mi si accosta una Renault 9 grigia dalla quale spunta il volto di un trenta-trentacinquenne di chiara origine magrebina, vestito però come un impiegato di Saronno: completo grigio e camicia bianca, senza cravatta, ma abbastanza curato. Il tizio mi guarda, abbassa il finestrino e mi chiede qualcosa tipo: “Vuoi fare l'amore, vero?”.

Io no, non voglio fare l'amore o forse anche sì, ma non in quel momento e certamente non con lui. E gli dico grosso modo: “No, non ci siamo. Lo vedi o no che ho un altro problema, adesso?”. Lui sembra totalmente ignorare il cofano spalancato, gli attrezzi, lo straccio e le candele. E insiste: “Lo so, fate tutti così, ma volete fare l'amore”.

Ah, allora si è accorto che sto cercando di riparare la macchina, ma ritiene che sia un pretesto che mi sono inventato lì per lì, per non dare troppo nell'occhio, ma la verità è che voglio fare l'amore con tipi come lui. Insiste e mi spiega che quella zona è tipica per incontri di questo tipo. In effetti, mi si apre come un link mentale: Parco Ravizza, l'area verde che mi sono appena lasciato alle spalle nella mia folle corsa, mi è noto, fin dai tempi delle scuole medie, come luogo di incontri tra omosessuali.

Quello che non capisco bene è se lui si stia offrendo a pagamento, oppure gratis o se sia disposto addirittura a pagare per avermi. Lentamente, ma inesorabilmente, la prima ipotesi inizia a prevalere nella mia mente. Vuole essere pagato. E insiste. Almeno tre o quattro altre volte.

Lo fa in maniera strana, quasi con cortesia, lasciando un minuto, anche due, tra una proposta e l'altra, mentre io asciugo le candele ad una ad una, senza guardarlo in faccia. La trattativa continua, unilateralmente. Poi, a un certo punto capisco che non ne posso più: apro il portafogli, guardo quanto c'è dentro, cerco di immaginare quanto lui possa ricavare dalla copula con uno sconosciuto e decido di dargli la metà di quella somma: “Senti queste sono ventimila lire. Te le do se te ne vai.”. Ho già i miei cazzi, ci manca solo che me ne propongano un altro proprio in questo momento.

Lui prende le venti carte e fa per andarsene. Ma a quel punto, sarà l'effetto dei soldi tra le mani, il suo sguardo si illumina, come se fosse caduto un velo che gli impediva di ragionare correttamente. E mi fa, esibendo una sagacia che appariva fino a quel momento totalmente obnubilata: “Ma tu hai bisogno di aiuto?”

E certo, coglione, che ho bisogno di aiuto. Secondo te cosa sto facendo qui? Ah già, per te stavo cercando di rimorchiare. Ma lui adesso è un altro uomo: non più un decerebrato insistente, ma un ragazzo sveglio e collaborativo. Ha un'idea: “Ti spingo da dietro con la mia macchina”. L'idea, sui due piedi, non mi fa impazzire: si tratta di trasferire sui mezzi di locomozione la posizione che avrebbero verosimilmente assunto i nostri corpi se avessi aderito alla sua proposta originaria, salvo particolari predilezioni sue che non mi sembra il caso di stare a prendere in considerazione in quel momento anche perché poi, ripensandoci, la sua non mi sembra affatto una cattiva idea.

Così lui risale velocemente in macchina, effettua una breve retromarcia, mette il muso della sua Renault esattamente dietro al paraurti posteriore della mia Peugeot e inizia a spingere come temo sia solito fare. Sulle prime la 305, nonostante le spinte e la precedente parziale asciugatura delle candele, sembra non reagire, ma alla fine ha come un fremito. La spinta della Renault, a quel punto, si fa da continua a intermittente, con piccoli urti tra le due auto, fino a che, come in una sorta di orgasmo meccanico, quella troia della 305 non si mette definitivamente in marcia, sia pure a strappi. Premo l'acceleratore per dare il triplo del gas normale e per evitare ricadute nel buio dell'immobilità e così, urlando di gioia, supero piazzale Lodi e imbocco viale Umbria. Il tizio si accosta, io scendo dalla macchina e, in un impeto di generosità, apro il portafogli e decido di dargli anche l'altra metà della cifra che immagino costituisca il suo onorario standard. In fondo ha fatto il suo dovere e per darmi una mano ha rinunciato ad altri, immagino lauti, proventi. “Tieni, eccoti altre ventimila lire e grazie!”.

Risalgo in macchina: niente. Come “niente”?. Niente cazzo! La 305 non riparte. Sono le 3.10, anche partendo adesso non sarei a casa prima delle 4. Ma partire è una verbo che la mia 305 non sa coniugare, al momento. “L'avevo detto che eri una troia”. La spingo sul marciapiede, sulla destra di viale Umbria, poco dopo Piazzale Lodi. (Punto F sulla cartina).

Che fare? Mi guardo in tasca, mi sono rimaste poco meno di diecimila lire e un bancomat. Devo raggiungere Vimercate, ma come? Mi viene in mente che dall'altra parte della città, intesa come nord-ovest, visto che qui siamo a sud-est, nella casa di Via Tiziano la mia amica Elena, ha forse un'auto da prestarmi. Ma sono le tre di notte. E vabbè, ubi maior... vado a una cabina, la quale si mangia la moneta (o il mio gettone, non ricordo). Ne cerco a piedi un'altra, di cabina, la trovo e chiamo via Tiziano. Elena si sveglia, immagino che mi mandi mentalmente a quel paese, però mi risponde molto carinamente che sì, mi presta la sua Citroën Visa, purché gliela riporti il giorno dopo.

L'unico modo per raggiungere via Tiziano è il taxi. Chiamo e dopo un po' ne arriva uno. Sono le 3.30. Salgo, guardo il tassametro e riguardo dentro al mio portafogli ottenendo ben poco conforto: è una gara a inseguimento tra i pochissimi soldi che mi sono rimasti e la corsa del tassametro, già partito dall'alto di una chiamata notturna. A circa un chilometro da via Tiziano sono costretto a proporre al tassista: “Mi lasci giù qui oppure mi porti a un bancomat, ho finito i soldi”. Lui mi guarda con l'espressione da: “Ma guarda te se proprio a me deve capitare questo barbone” e mi porta a spese sue fino al portone di Elena. Mi scarica, io citofono, salgo, Elena le mi dà le chiavi: “Riportamela domani. Ah, non c'è benza”.

Solo le 3.40: ho l'automobile, ho un bancomat. Mi mancano i soldi e la benzina. Arrivo previsto a Vimercate: 4.20. Ore di sonno stimate: due e mezza. Mi dirigo al bancomat di via Domodossola (punto G, e vabbè...): devo prendere le banconote per la pompa notturna.

E qui capisco che la mia nottata sta svoltando: basta sfortuna. Entrando nel loculo del cash dispenser il bancomat mi cade su una griglia del marciapiade. Ma cade di piatto, senza infilarsi nella grata!!! Lo recupero e prelevo.

Faccio benzina all'automatico di viale Belisario e mi lancio verso Vimercate, schifando l'opzione autostrada e passando attraverso via Poliziano e via Cenisio fino a raggiungere il Cimitero Monumentale, altro luogo di incontri non strettamente etero, davanti al quale la Visa bianca di Elena improvvisamente si affloscia come una belva feroce colpita dal sonnifero del veterinario e non si muove più.

Mi sembra di rivivere la scena di poco prima: spingo a fatica il bolso mezzo meccanico sul marciapiede di via Ceresio (punto H) e decido finalmente di mandare affanculo l'universo mondo, di chiamare un altro taxi e di farmi riportare direttamente a Vimercate: costi quel che costi, me ne sbatto!

Alle 4 in punto arriva il taxista (al quale spiego solo l'ultima parte della serata: la Visa in panne). Quando gli chiedo di portarmi a Vimercate, quello pretende di essere pagato in anticipo. Mentre estraggo il portafogli, ora gonfio di banconote, mi dico: “Cazzo, mi costerà UN MILIONE”.

UN MILIONE. UN MILIONE, UN MILIONE... No, cazzo.

Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo.

UN MILIONE come LA VALIGETTA!

LA VALIGETTA, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo.

Sì perché dall'altra parte della città c'è un'altra macchina ferma su un altro marciapiede, ripiena di VALIGETTA: un ritrovato della scienza e della tecnica del valore di un MILIONE. Chiedo al tassista, la cui fiducia nei miei confronti resta ferma attorno allo zero, di portarmi sì a Vimercate, passando però per Viale Umbria. E chiedendogli questo gli sventolo una mazzetta di banconote fruscianti, come uno qualsiasi dei magnaccia della zona, tra i quali ormai lui mi annovera di certo.

Mi trovo costretto a raccontargli l'intero susseguirsi degli eventi della nottata, per giustificare ai suoi occhi l'operazione di travaso di una VALIGETTA da una macchina ferma su marciapiede al suo taxi il tutto ad opera di un tizio stravolto, io, prelevato da un'altra auto ferma su marciapiede dall'altra parte della città. Mentre racconto, il tassista annuisce come si fa nei confronti dei pazzi: “Sì, sì, sì, certo, come no”.

Arrivo a Vimercate verso le 5.15, erogo qualcosa di non lontano dalle ottantamila lire al tassista e mi butto sfinito su un letto dopo ventidue ore di veglia, di lavoro, di radio e di inseguimenti attendendo il dolce suono della telefonata di controllo di Piera. Che però alle 7.15 non arriva: “Io di te mi fido”, si giustificherà quando ci vediamo.

Nel corso della mattinata dal lavoro chiamo Elena per avvisarla del guasto alla sua auto. “Ah sì, scusa, mi sono dimenticata di dirti che il mio ex-fidanzato, un elettrauto, ha installato un piccolo interruttore antifurto che va pigiato dopo la messa in moto, altrimenti non arriva la benzina al motore”.

Il pomeriggio successivo, dopo un'altra giornata di lavoro a Inverigo, ripercorro a ritroso i luoghi della mia avventura notturna, recuperando auto lasciate abbandonate sui marciapiedi di Milano. Gli stessi luoghi hanno tutta un'altra aria alle 5 del pomeriggio.

martedì 14 febbraio 2012

Anagrammi valentiniani


Anche se è un tema un po' privato e anche se oggi ho proposto in onda l'abolizione di S.Valentino (ricorrenza molesta sia per i single che per le coppie, per opposti motivi) piacciavi in questo 14 febbraio gustare alcuni anagrammi estraibili dal nome e cognome di mia moglie Piera Rigamonti a ognuno dei quali ho aggiunto un piccolo commento.
NARRO IMPIEGATI: si riferisce alla sua attitudine a raccontare le sue vicissitudini da dipendente comunale;
GENITORI MA PARI: rivendica l'eguale importanza del ruolo materno e di quello paterno;
RIPAGA I MENTIRÒ: ammette che le capiterà di dire qualche innocente bugia, ma sa come farsi perdonare;
NE RIPAGA I MORTI: fa onore ai suoi antenati;
PERÒ ANIMA TIGRI: il suo stile educativo infonde carattere;
PAGINE MARONITI: è il titolo della rivista che fonderebbe dovendo trasferirsi a Beirut;
MARRONI PIEGATI: racconta tutta la difficoltà della vita coniugale.
Poi un trittico alimentare:
GIRATI, IMPANERÒ: non vuole che la si guardi mentre cucina;
MAI PER RIGATONI: non ama tutti i tipi di pasta;
MANGERÒ I PIRATI: ha gusti alimentari particolari ma fieri.
Infine il mio preferito:
PAR MARITI GENIO: e su questo ci sono pochi dubbi.

sabato 11 febbraio 2012

RSS Graffiti farà al caso mio? (reloaded)


Quando ho raggiunto i 5000 amici su Facebook ho aperto una pagina fan, non perché io debba avere dei fan, ma perché la pagina fan non ha questo limite dei 5000. Però in molti, la maggior parte ascoltatori di Radio2, continuano a chiedermi l'amicizia sul profilo principale (ho circa 400 persone in "lista d'attesa") schifando la mia pagina fan anche perché io tengo aggiornato il profilo e molto meno la pagina fan.
Sarà anche vero che condividere gli aggiornamenti dal profilo alla pagina, tramite il tasto condividi seguito da altri due semplici clic, è tutto sommato semplice, ma io sono molto pigro e poi quando mi collego da fuori l'operazione richiede un po' di tempo.
Così da qualche settimana sto cercando invano un'applicazione che lo faccia in automatico. A quel punto potrei chiedere agli amici in lista d'attesa di sottoscrivere la pagina fan senza rischio di perdersi nemmeno uno dei miei "preziosi" aggiornamenti (l'alternativa per loro potrebbe essere quella di sottoscrivere gli aggiornamenti senza chiedere l'amicizia, ma mi piaceva l'idea di invitare comunque tutti alla pagina fan).
Nel mio vagabondare in rete mi imbatto in questo RSS Graffiti che sulle prime sembra fare al caso mio: sembra cioè riuscire ad aggiornare in automatico ogni pagina fan di cui sono amministratore (tra cui la mia), per conto del mio profilo.
Ma quando vado a settare la fonte di origine del materiale che deve essere pubblicato sulla mia pagina fan, mi rendo conto che l'origine non può essere il mio profilo principale di facebook in quanto non è un feed RSS.
In compenso questo blog lo è! E così riesco a settare questo blog perché i suoi aggiornamenti possano essere automaticamente riverberati sulla mia pagina fan.
Era una funzione che era già presente su facebook, ma poi era stata rimossa. Adesso RSS Graffiti, stando alla teoria, dovrebbe averla ripristinata. Speriamo.
Questo post infatti è stato scritto solo per vedere se funziona.
Resta però aperto l'altro problema: come traghettare materiale da Facebook a Facebook, cioè da profilo Facebook a pagina fan Facebook?

giovedì 12 gennaio 2012

di a da in con su per tra fra


Lo so che in questo momento ci sono altre priorità nel paese, ma la mia proposta è di introdurre urgentemente nuove arbitrarie preposizioni nella lingua italiana.
I complementi sono decisamente troppi, diverse decine e, non essendo l'italiano una lingua agglutinante come il finlandese che ha ben 15 casi, dobbiamo fare quasi tutto con le preposizioni, con l'aggiunta di qualche occasionale avverbio e locuzione a supporto.
Insomma: le povere nove preposizioni classiche (di a da in con su per tra fra) faticano a coprire tutti i complementi senza ambiguità.
Ad esempio "di" (dei libri, dei cani) copre ambiguamente alcune forme del complemento di specificazione, del complemento di argomento e del complemento partitivo (e altri).
E allora, ad esempio, perché non introdurre, arbitrariamente, la preposizione semplice "u" per il complemento di argomento?
Esempio: Abbiamo parlato ul film di Pedro Almodovar. Fammi sapere ull'esito dei tuoi esami.
E la preposizione "fe" per il complemento d'agente riservando il "da" per il moto da luogo.
Esempio: il libro è letto fe Matteo. Bob è stato colpito fella zia di John.
Non sarebbe meraviglioso?

mercoledì 11 gennaio 2012

Promemoria

Lo so che prima o poi mi ricapiterà di resettare i valori di fabbrica del mio router netgear DN2000. E allora invece di stare a richiamare l'155 di wind-infostrada ecco un promemoria sui valori.
Pagina Basic Settings:
Does Your Internet Connection Require A Login: Yes
Encapsulation: PPPoE
Login: qualsiasi
Password: qualsiasi
Service Name: infostrada
Idle Timeout: 0
Internet IP Address: Get Dynamically from ISP
Domain Name Server (DNS) Address: Get Automatically From ISP
NAT (Network Address Translation): Enable
Pagina ADSL Settings:
Multiplexing Method: LLC-Based
VPI: 8
VCI: 35