giovedì 15 maggio 2014

Perché ci piace una canzone


Ieri, qui, ho cercato di spiegare perché, talvolta, non mi piace una canzone, anche se scritta o eseguita da artisti di mio gradimento. Analizzando un piccolo gruppo di canzoni a me sgradite ho scoperto che un tratto comune di questi brani è una certa particolare ripetitività. Ripeto qui per sicurezza che non tutte le canzoni ripetitive sono brutte, né che tutte le canzoni brutte sono ripetitive, ma molte canzoni brutte sono ripetitive.

Trovo anche che una certa ripetitività sia accettabile nelle ballate popolari e cantautorali, e anche nella musica elettronica, ma non in quella pop e rock. Ad esempio l'elettronica Around The World in cui i Daft Punk ostinatamente (l'avverbio non è scelto a caso) ripetono il titolo della canzone, fa certamente schifo, ma non tanto schifo quanto la già citata, nell'altro articolo, You Get What You Give dei New Radicals.

Per converso le canzoni che mi sembrano, all'orecchio, suddivise in tanti piccoli moduli l'uno diverso dall'altro tendono a piacermi. Utilizzo definizioni del tutto dilettantistiche rispetto alla scienza musicologica, ma credo che siano sufficienti a descrivere una sensazione che ricordo di aver provato fin dall'età di nove anni. Era la primavera del 1972, infatti, quando, a Hit Parade, su Radio2, ascoltavo You're So Vain di Carly Simon. Il brano mi piace ancora abbastanza, ma allora mi faceva letteralmente impazzire proprio perché (diversamente dai brani "ripetitivi") mi sembrava composto da tanti pezzettini ognuno dei quali musicalmente piacevole e soprattutto diverso dal precedente e dal successivo.

Lo paragonavo mentalmente a quelle piste da sci molto lunghe formate da numerosi segmenti molto diversi l'uno dall'altro: il muro tra le rocce, il traversino nel boschetto, il tratto nell'alpeggio, e così via: piste che ho sempre preferito a quelle lunghe, dritte e tutte uguali.

Questo era l'elenco dei pezzi in cui mentalmente suddividevo You're So Vain (oggi li ho contati e sono nove, alcuni dei quali ripetuti):

Strofa:
1 You walked into the party
2 like you were walking onto a yacht
1 Your hat strategically dipped below one eye
2 Your scarflette was apricot
3 You had one eye in the mirror as
4 you watched yourself go by
5 And all the girls dreamed that
6 they'd be your partner
6 They'd be your partner, (and...)

Ritornello:
7 You're so vain,
8 you probably think this song is about you
7 You're so vain, (ripetuto dal coro)
8 I'll bet you think this song is about you
9 Don't you? don't you?

Il tutto ripetuto per tre volte. Bellissimo.

Per salire ulteriormente di livello una delle mie canzoni preferite dei Beatles è Happiness Is a Warm Gun che è di fatto composta da quattro sezioni distinte:
un'introduzione di finger-picking in stile folk che passa dalla sconsolata tristezza del mi minore a un rabbioso la maggiore; una sezione lidia in la in 3/8 contenente blueseggianti irregolarità di fraseggio («I need a fix»); uno sviluppo in tempo raddoppiato nella stessa tonalità e - più o meno - in stile rock («Mother superior»); e una lunga conclusione in do maggiore che impiega una sequenza doo-woop standard. (da Ian MacDonald, The Beatles - L'opera completa)
La prima parte arriva a 0:42, la seconda fino a 1:13, la terza fino a 1:34 e la quarta fino alla fine 2:46.

C'è abbastanza varietà da un blocco all'altro (totalmente diversi l'uno dall'altro, tranne forse alcune affinità tra il secondo e il terzo) e anche all'interno degli stessi, sia pure con alcune ripetizioni («Mother superior jump the gun» ripetuto ben 6 volte, tra l'altro un numero non molto utilizzato nel rock dove prevalgono i multipli di 4, e che infatti lascia un senso di incompiuto) da mandarmi in brodo di giuggiole.

Con questo non voglio dire che tutte le canzoni belle abbiano strutture così complesse: anzim sono meno le canzoni belle e complesse di quelle brutte e ripetitive, e forse questa è una preferenza tutta mia, ma credo proprio di no.

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