sabato 5 marzo 2016

Il buono (a parlare), il brutto (della rete) e il cattivo (cibo): un post lungo e pedante


Il sabato mattina abbiamo qualche minuto in più per leggere giornali e consultare la rete e mettere in relazione un po' di notizie: oggi ne ho scelte tre.




"Le chiacchiere dei gufi stanno a zero", scriveva Renzi qualche giorno fa su Facebook, commentando il dato sulla crescita del PIL 2015 leggermente superiore al previsto (0,8% contro 0,7%). Quasi da subito alcuni miei amici del giro degli economisti, avevano notato che quel magro incremento era dovuto al fatto di aver preso l'incremento grezzo ISTAT (di scarso valore statistico perché non tiene conto del numero dei giorni lavorato). Di fatto la crescita sarà dello 0,6%. Ora la differenza è risibile (anche perché poi si parla di uno 0,64 contro uno 0,76, enfatizzati dagli arrotondamenti), quindi noi che badiamo al sodo possiamo ampiamente sbattercene: l'Italia continua ad andare sensibilmente peggio della media dei paesi europei, ma quello che intristisce è vedere la cresta che viene montata "contro i gufi", quando il dato (errato) conforta, salvo tornare con la coda tra le gambe solo qualche giorno dopo. L'altro aspetto riguarda il rilievo (e la tempestività) da parte dei media nel dare le due notizie: prima quella "gonfiata" (buona) e poi quella reale (meno buona), tanto che ancora oggi dei tre giornali che ho in mano (Corriere della Sera, la Repubblica e il Fatto Quotidiano) è solo il terzo (il solito gufo) che mette la notizia della bufala in prima pagina (peraltro ben 2-3 giorni dopo che se ne parla in rete).



Lo stesso Fatto Quotidiano però ha poco da ringalluzzirsi: nella stessa prima pagina, in taglio basso ci propone MASTERCHEF, VINCE LA "SCARPETTA" - CUCINA IN TV Trionfa Erica e il Paese si indigna subito con il cuoco a firma di Selvaggia Lucarelli. Ora, a casa mia Masterchef piace, mia figlia e io lo guardiamo in differita - in uno dei rari momenti di vita comune - il venerdì a pranzo (lei ne va pazza, anche se con MySky fa dei giganteschi avanti veloce sui pezzi più "teorici") ed il pezzo è scritto pure bene: sottolinea due elementi fondamentali, e cioè che Masterchef è l'unico talent al mondo in cui lo spettatore non sa proprio una beata cippa della materia valutata dai giudici, visto che fino a prova contraria sono loro ad assaggiare (a differenza dei giudici dei talent sul canto o sul ballo, contro i quali il pubblico, dopo ogni verdetto, potrebbe avere legittimamente da opinare) e che dei tre concorrenti della finale Lorenzo (per cui facevamo il tifo) partiva con lo svantaggio di non aver avuto tragedie familiari con cui commuovere il pubblico (quando è uscito, da terzo classificato, a casa mia si è spenta la TV, senza aspettare di vedere chi avesse vinto tra Alida e Erica). Quindi la mia famiglia sarebbe perfettamente in target sull'argomento e in linea con l'ondata di riprovazione, descritta e irrisa dalla Lucarelli. Detto questo, titolare il paese si indigna, sia pure con una tonnellata di ironia, solo perché è arrivata qualche decina di tweet di disappunto, significa forse non avere capito che non solo il Paese reale, ma persino la maggior parte di noi privilegiati perdigiorno che segue Masterchef, tende a indignarsi per altro: che so, notizie come questa (quella dell'imprenditore calabrese anti-ndrangheta che si è visto bruciare il magazzino per l'ennesima volta). Insomma la Lucarelli fa benissimo a prendersela con chi si accalora per questa puttanata, quello che contesto è la reale consistenza numerica di chi si accalora (salvo voler confondere i quattro gatti di Twitter-Masterchef con il paese reale).

Considerando le prime due notizie, prende una luce strana la terza, che ci arriva dalla rete. Io, pur essendo follower twitter del World Economic Forum l'ho vista solo dopo quattro rimbalzi: (1. il sito del World Economic Forum pubblica un pezzo dal titolo Can we save Europe from digital mediocrity?  2. Il pezzo viene linkato da un tweet di quattro ore fa dello stesso WEF; 3. Michele Boldrin lo ritwitta 4. Il retweet di Boldrin viene postato in automatico sulla sua pagina Facebook che mi notifica la novità: anche se avrei potuto intercettare la notizia agli step 2 e 3, l'ho beccata al 4 ma poco importa). Qual è la notizia (o parte di essa)? Ma che l'Italia è al terzo posto, dietro Bulgaria e Romania tra i 16 paesi d'Europa presi in esame dallo studio, a livello di digital divide, ovvero di arretratezza in campo IT-TLC. Terzi, ovviamente, partendo dal basso. Partendo dall'alto siamo quattordicesimi su sedici, ma prendendo in esame i 143 paesi del mondo siamo 55esimi: i dati si possono facilmente ricavare dall'immagine. 

Certo se della rete IL PAESE facesse l'utilizzo che ci racconta la Lucarelli, cioè spendere il tempo a protestare contro i giudici di Masterchef, allora tutto sommato ci sarebbe poco da rammaricarsi. Il problema è che computer, telefoni e rete, nel 2016 servono, grosso modo, per fare qualcosa di abbastanza insolito: lavorare. Se invece di fare gli sbanfa per uno 0,1% in più (che poi si rivela essere uno 0,1% in meno) i nostri politici si occupassero di colmare questo gap informatico - anche solo con la Spagna per il momento! - forse le cose andrebbero un po' meglio da queste parti. Se si volesse poi attribuire a qualcuno di preciso la colpa del digital divide in questo paese potremmo tranquillamente prendere il 1994 come data di partenza e notare che da quel giorno ci hanno governato solo otto uomini. Ecco l'elenco e il numero di giorni per ripartirne equamente le responsabilità:


3340 Berlusconi
1609 Prodi
741 Renzi
716 Amato
552 D'Alema
529 Monti
486 Dini
300 Letta


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