La vicenda di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo e del presunto riscatto che sarebbe stato pagato per la loro liberazione ha suscitato
reazioni contrastanti che vanno dalla gioia incondizionata per lo scampato pericolo fino al rammarico, con molte critiche, per l'eventuale pagamento del riscatto.
Riassumendo in quattro punti sintetici le critiche di quest'ultima sezione dell'opinione pubblica, l'eventuale scelta di pagare un riscatto avrebbe questi gravi difetti: 1) sprecherebbe fondi pubblici meglio utilizzabili
altrimenti (scuola, sanità, assistenza, ecc.); 2) indirizzerebbe questi
fondi verso organizzazioni che quasi sicuramente li utilizzeranno per
nuove azioni criminali; 3) distinguerebbe l'Italia come paese
disposto a trattare, il che esporrebbe maggiormente i cittadini
italiani a nuovi futuri rischi di rapimento, rispetto ai cittadini di
altri paesi occidentali; 4) ridurrebbe il prestigio e la considerazione del nostro paese, già non altissimi, agli occhi dell'opinione pubblica e delle diplomazie degli altri paesi alleati.
Ora, cercando di salire di livello di astrazione dal
caso singolo al caso generale, vorrei cercare di trovare delle
linee guida per accompagnarci nella valutazione dell'eventuale pagamento del riscatto, ammesso e non concesso che sia stato effettivamente pagato. In merito ho solo opinioni provvisorie, ma perlomeno cerchiamo di esporle con ordine.
In linea del tutto generale: i cittadini italiani che si trovano
in difficoltà, o addirittura in pericolo di vita, nello svolgere attività pericolose hanno diritto a un supporto? E se sì il supporto deve essere gratuito (ovvero pagato dalle istituzioni) o a carico dello stesso cittadino?
Per rimanere in termini generali si prenda ad esempio il soccorso alpino. L'alpinismo (nelle sue molteplici forme che vanno dall'escursionismo all'arrampicata estrema, passando per il trekking e lo sci alpinismo) è un'attività piacevole e faticosa, ma anche notoriamente pericolosa: ogni anno provoca decine di morti (il solo Everest ha causato oltre 200 morti in 93 anni). Per quanto riguarda i soccorsi, in Italia, abbiamo regole diverse: in alcune regioni il soccorso è gratuito, in altre è gratuito, ma solo se c'è un
ricovero, in altre si fa pagare secondo tariffe che crescono quanto maggiore è stata l'imprudenza dell'alpinista. Si tenga conto che, in particolare l'intervento di un elicottero, può costare diverse centinaia di euro. Molti alpinisti infatti si fanno l'assicurazione o
si iscrivono al CAI che permette loro di avere soccorsi a prezzi scontati.
A me sembra del tutto ragionevole:
A) fare pagare agli alpinisti (i
quali svolgono un'attività ricreativa, nobilissima, ma non di pubblica attività) il costo dell'eventuale soccorso;
B) graduare le tariffe a seconda del livello di
imprudenza mostrata (anche se poi questa valutazione impone alle
istituzioni ulteriori costi relativi alla commissione che valuta l'imprudenza: verificando se lo scarpone era quello giusto, se
il sentiero era indicato bene, se l'allarme valanghe era stato ben
diramato ecc., ecc.; senza contare poi eventuali ricorsi degli alpinisti, tanto che
non so se poi il gioco vale la candela).
C) più in generale
sono d'accordo con l'idea che tutti gli alpinisti debbano essere
assicurati, oppure debbano firmare una liberatoria in cui si assumono tutti gli oneri connessi al loro soccorso.
Quanto detto per
l'alpinismo deve valere anche per tutte le altre attività rischiose, dalle immersioni subacquee al turismo in zone a rischio (non ricordo ad esempio tutte queste polemiche nel caso del presunto riscatto che sarebbe stato pagato, la Farnesina ha sempre smentito, per la turista italiana Sandra Mariani, rapita in Algeria nel 2011 e liberata nel Burkina Faso nel 2012). E, certo, vale anche gli
interventi “umanitari” in altri paesi.
Ma, pensandoci
meglio, il caso dell'eventuale riscatto di Greta e Vanessa è diverso
dall'alpinismo perché, anche se fossero state assicurate o
miliardarie di famiglia, il pagamento avrebbe finanziato non il
soccorso alpino (di pubblica utilità), ma associazioni criminali,
ricadendo nella critica 2) dell'elenco iniziale: appunto finanziamento ai
criminali.
Seguendo questo ragionamento, lo Stato non solo avrebbe dovuto rifiutarsi di pagare (per
evitare le critiche 3) trattiamo, quindi siamo più esposti e 4) le diplomazie straniere ci
disprezzano). Ma, proprio per evitare di finanziare i criminali,
(critica 2) avrebbe dovuto persino bloccare i beni delle famiglie e
impedire alle eventuali assicurazioni di intervenire in tal senso.
In quest'ottica non ha molto senso la posizione di chi dice:
“paghiamo il riscatto, ma facciamo pagare l'intervento alle
famiglie delle ragazze”, se non – forse – solo nell'intento di
dissuadere future emulazioni (ma resterebbe comunque aperta la porta
all'emulazione dei rampolli filo-islamisti di ricche famiglie: tempo
fa ce n'era uno molto celebre). No, se la si pensa così, si doveva fare il tifo perché lo Stato bloccasse anche i fondi privati, come si fa con le famiglie che subiscono un rapimento in Italia.
Restano però aperti altri due punti. Il
primo è relativo al rischio che le attività umanitarie possono in
qualche modo supportare una delle fazioni in gioco in teatri di
guerra. Qui servirebbero altre informazioni, ma possiamo comunque
cercare di impostare un discorso in linea generale, prendendo il caso più estremo: ovvero il caso in cui il nostro paese sia direttamente coinvolto nelle operazioni militari. Nel corso
dell'operazione Allied Force del 1999 in cui l'Italia era coinvolta
direttamente, in ambito NATO, nell'attacco alla Jugoslavia, un
cittadino italiano che avesse avuto una sensibilità diversa da
quella delle istituzioni del paese, avrebbe potuto legittimamente
mandare derrate alimentari e cerotti a Belgrado? O avrebbe potuto
fare un bonifico alla croce rossa jugoslava? Non lo so, ma sarei
curioso di saperlo.
Immagino che ci sia tutta una gradualità,
per quanto riguarda il livello di autorizzazione tra gli interventi
di tipo umanitario da parte delle ONG. Ci saranno quelle addirittura incoraggiate (e magari parzialmente sovvenzionate), quelle autorizzate, quelle tollerate, giù, giù fino a
quelle del tutto vietate dalle istituzioni. Horryaty, quella di Greta e Vanessa non eratra le 232 ONG in qualche modo “riconosciute” dalla Farnesina.
Perché poteva comunque operare? Fino a che punto i singoli
cittadini, o le associazioni, possono svolgere in paesi stranieri
attività umanitarie che vanno in un senso diverso da quello deciso
centralmente? Come si decide se incoraggiarle, autorizzarle,
tollerarle o vietarle?
L'ultima questione discende
strettamente connessa: quale atteggiamento devono assumere le
istituzioni verso un intervento come quello di Greta e Vanessa
qualora fosse (e secondo le ultime notizie, vedi il Fatto Quotidiano di ieri, lo era), non solo finalizzato
a scopi umanitari, ma a incoraggiare l'opposizione al regime di
Assad? Teoricamente quella era la fazione da incoraggiare: ovvero la terza
via rispetto al regime di un dittatore sanguinario e i
fondamentalisti islamici. Ma innanzitutto la politica estera di un
paese non può essere lasciata alla libera iniziativa di qualche
cittadino, per quanto bene intenzionato, e in secondo luogo questa
“terza via” ora pare in seria difficoltà e “infiltrata”
dalla seconda (filo-islamica), vedi il Fatto Quotidiano di oggi: le ragazze avevano il progetto di distribuire kit di pronto soccorso ai combattenti dell'Esercito Libero anti-Assad, il "Free Syrian Army": composito raggruppamento di milizie ora sostenuto dall'Occidente, ma sempre più allo sbando, secondo gli osservatori, e, a causa di questo, sempre più infiltrato dagli estremisti islamici. (pag. 2 - Angela Camuso).
Quindi è di tutta evidenza che nello stesso cul de sac di Greta
e Vanessa si sono infilate (sia nelle guerre contro l'Iraq, sia durante
la cosiddetta Primavera araba), anche gran parte delle diplomazie occidentali. Nella speranza/illusione di appoggiare
l'opposizione ai dittatori "laici", come Saddam Hussein,
Assad, Mubarak, Gheddafi, hanno confidato in un'opposizione
democratica filo-occidentale, trascurando il fatto che, tranne forse
in Tunisia, l'opposizione ai dittatori “laici”, era di fatto
monopolizzata (o comunque minoritaria) rispetto ai fondamentalisti. E
ovunque tenti di affermarsi questa terza via è sempre in pericolo da due lati: autoritarismo militare da una parte; fondamentalismo dall'altra. C'è chi arriva addirittura a ipotizzare che anche le stesse Greta e Vanessa fossero solo pedine eterodirette in questo
maldestro gioco occidentale di appoggiare l'opposizione ad Assad e che
finisce per favorire i terroristi. O che loro siano state tradite
dalle stesse organizzazioni, ormai del tutto inaffidabili, per cui
pensavano di lavorare.
Detto tutto questo e sottolineato che
Greta e Vanessa hanno sbagliato su tutta la linea per come si sono mosse (sia pure con
qualche giustificazione, visto che la fazione che volevano appoggiare era quella, almeno sulla carta, più democratica), io continuo a pensare che in occasioni come
queste sia inevitabile (più che giusto, inevitabile) fare qualsiasi cosa per salvare anche il nostro connazionale più imprudente e se c'è da mandare soccorsi costosissimi lo si faccia. Così come si farebbe per recuperare un alpinista in fondo un crepaccio (o forse si arriverebbe solo fino a un determinato ammontare di euro nei soccorsi? E se sì, chi lo stabilisce?) E persino se c'è da pagare un riscatto, lo si faccia e un secondo dopo si combatta contro quei criminali ancora più duramente. Almeno per ora.
Certo, c'è il rischio-emulazione, (la critica numero 3 dell'elenco iniziale: sapendo che paghiamo, lo rifaranno). Ma possiamo ridurlo regolamentando più severamente le missioni delle ONG nei paesi a rischio. Bloccare i fondi delle famiglie è servito a ridurre i rapimenti in Italia, ma qui da noi è diverso: perché gli italiani, lo dice la parola stessa, in Italia ci vivono. Invece se paghi un riscatto in Siria, puoi difenderti mandando sempre meno italiani in Siria (salvo quelli inquadrati in eventuali missioni militari).
In ogni caso, spero che i terroristi li abbiano persi immediatamente, ma non rimpiango i 20 centesimi pro capite che sarebbero stati spesi per il riscatto: Oscar Giannino, in un tweet, ha calcolato che corrispondono a poco più di 15 minuti di aumento del debito pubblico. Per ora.
Ma da domattina occorrerà regolamentare con assoluto rigore le attività delle ONG, ivi compresi gli eventuali costi connessi.
Certo, c'è il rischio-emulazione, (la critica numero 3 dell'elenco iniziale: sapendo che paghiamo, lo rifaranno). Ma possiamo ridurlo regolamentando più severamente le missioni delle ONG nei paesi a rischio. Bloccare i fondi delle famiglie è servito a ridurre i rapimenti in Italia, ma qui da noi è diverso: perché gli italiani, lo dice la parola stessa, in Italia ci vivono. Invece se paghi un riscatto in Siria, puoi difenderti mandando sempre meno italiani in Siria (salvo quelli inquadrati in eventuali missioni militari).
In ogni caso, spero che i terroristi li abbiano persi immediatamente, ma non rimpiango i 20 centesimi pro capite che sarebbero stati spesi per il riscatto: Oscar Giannino, in un tweet, ha calcolato che corrispondono a poco più di 15 minuti di aumento del debito pubblico. Per ora.
Ma da domattina occorrerà regolamentare con assoluto rigore le attività delle ONG, ivi compresi gli eventuali costi connessi.
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